Più Pantheon per tutti

Stefano Di Michele

E’ molto più facile, ormai, farsi una candidatura alle primarie che farsi un Pantheon ideale, da poter decentemente presentare in pubblico. Dopo la magra figura dei cinque candidati del Pd durante il dibattito su Sky – che tra papi e prelati, da Giovanni XXIII al cardinal Martini, e altre varie e tutte bravissime persone, hanno fornito materiale a Maurizio Crozza per una micidiale battuta: “Neanche a Miss Italia danno delle risposte così” – adesso c’è da attendersi, con qualche giustificato timore, visti i tipi e vista la situazione, la calata a valanga dei candidati alle primarie del Pdl.

    E’ molto più facile, ormai, farsi una candidatura alle primarie che farsi un Pantheon ideale, da poter decentemente presentare in pubblico. Dopo la magra figura dei cinque candidati del Pd durante il dibattito su Sky – che tra papi e prelati, da Giovanni XXIII al cardinal Martini, e altre varie e tutte bravissime persone, hanno fornito materiale a Maurizio Crozza per una micidiale battuta: “Neanche a Miss Italia danno delle risposte così” – adesso c’è da attendersi, con qualche giustificato timore, visti i tipi e vista la situazione, la calata a valanga dei candidati alle primarie del Pdl. Qui si prova così a fornire, in caso di svolgimento della temeraria iniziativa – che peraltro al momento, pur fissata per il 16 dicembre, insieme alle renne e al bue e all’asinello, risulta persino meno certa dell’avverarsi della iettatoria profezia dei maya la settimana successiva – qualche non richiesto supporto per come allestire presto e meglio un proprio decente Pantheon. Per cominciare, se a sinistra vanno forte pontefici e cardinali, la destra non può essere da meno. Già il candidato Gianpiero Samorì, in quel di Chianciano, per il lancio dei suoi Moderati in Rivoluzione – il primo esempio di tumulto sociale maturato passando le acque – ha colpito immaginazione e fegato dei presenti evocando per il suo Pantheon, insieme a Berlusconi e a un paio di democristiani di gran conio – nientemeno Galileo Galilei: per ora, il miglior colpo di teatro, anche perché il più inatteso. E dunque, a voler prendere l’esatta misura della visione storica e soprattutto della (infondata) convenienza politica di molti dei candidati pidiellini – e si è visto, di molti dei democratici: dove c’è prete c’è voto – si sarebbe ritenuto più opportuno, casomai, rifarsi al tosto cardinale Bellarmino, pure santo e dottore della chiesa (“il dott. Bellarmino”, avrebbe potuto benissimo dire il Cav.) che Galileo sistemò, non prima di aver dato una ripassata a Giordano Bruno. Perciò Samorì ha avuto non certo una sventatezza politica, quanto un azzardo mediatico: ha rivendicato al suo Pantheon quello che  Vendola e Bersani non ebbero la prontezza di fare, ripartendosi invece il Sacro Collegio.

    Ma ecco: prelati e papi vanno bene, però non tutti vanno bene. Per dire, se con Giovanni XXIII si va sul sicuro, anche con Wojtyla la bella figura è certa, mentre con Ratzinger, soprattutto a destra, è sostanzialmente una sorta di dovuto “presentat’arm!”. Paolo VI è invece scelta rischiosa: un po’ troppo sottile, un po’ troppo complesso, un po’ troppo indeterminato, roba da faticoni democristiani di sinistra, e non a caso, per il suo Pantheon è stato direttamente indicato da Marco Follini – peraltro accompagnato da Roosevelt e Churchill. Ma qui conviene fermarsi, se si vuol provare a fare bella figura mediatica scomodando il trono di Pietro: non è ritenuto opportuno, per esempio, provare ad accasare Pio XII o Pio X e Pio IX: a meno, visto che si parlava di moderati in sollevazione, non li si voglia attruppare dalle parti della Vandea. Per i cardinali è ancora più complicato: Martini è una figura (giornalisticamente, non solo teologicamente) molto particolare: a destra potrebbero forse opporre il cardinale Giacomo Biffi, certo ironico e conservatore, oppure il mitico cardinale Siri, ma pare materiale, ormai scomparso don Gianni Baget Bozzo, poco affine alla sensibilità degli attuali sfidanti post Cav. – impiegatizia falange, a stare alla convinzione berlusconiana. Per il resto, poco si può fare: senza nulla aggiungere e nulla togliere, non è che il cardinale Bertone possa avere realisticamente lo stesso impatto. Il segreto di un Pantheon personale ben strutturato è procedere per categorie, ma nelle categorie scegliere con attenzione. Come i tardi vecchi comunisti degli anni Sessanta, quando si attaccavano alla gloria di Lenin tenendosi a debita distanza dal grigiore di Breznev (e a destra nessuno, per tentativo di compiacenza con il Cav., si faccia tentare dall’associarsi all’icona di Putin), così lo stesso per i presidenti americani: alcuni vanno meglio degli altri. Se qualunque democratico un posticino nel suo Pantheon a Kennedy può sempre riservare, nemmeno gli passa per la testa di fare un pensierino su Lyndon Johnson; così un conservatore può sempre gagliardamente rifarsi a Reagan, a tanti anni di distanza, ma nessuno se la sente di prenotarsi Bush (fosse padre, fosse figlio: vade retro!). Una certa attenzione occorre quando si parla dei democristiani – essendo la storia democristiana finita, ma persistendo pure, arzilli e largamente presenti su entrambi i fronti, i democristiani: vanno certamente evocati, e infatti è frenetica corsa all’accaparramento bipartisan, tanto De Gasperi quanto Moro, certo nessuno si è fatto ancora avanti per rivendicare Andreotti, a parte – ogni eccezione va debitamente segnalata – il senatore Ciarrapico, che però nel suo Pantheon arditamente lo associa,  tra gli altri, a Mussolini; né, per dire, un Mariano Rumor. Casomai Mino Martinazzoli, ecco, ma come per Paolo VI sarebbe troppa classe e un po’ troppo amletismo per i bisogni delle primarie – in questa frenesia linguistica, avrebbe forse detto con (in)comprensibile disincanto il diretto interessato, “ormai da commessi viaggiatori”. 

    La costruzione di un Pantheon, non meno di quello di un amore cantato da Ivano Fossati, è sempre precaria edificazione “come un altare di sabbia in riva al mare”, e dunque richiede attento esame delle candidature che sul nostro personale altare vogliamo issare, e insieme vera empatia con queste personalità. Ci vuole niente, ci vuole poco, è persino opportuno, mettere di mezzo un Gandhi o un Mandela o una Madre Teresa di Calcutta (chi potrebbe mai avere qualcosa da obiettare?), ma il sospetto della via facile, dello svicolare verso l’usato sicuro, subito s’affaccia e muta la nobiltà dell’intenzione nella paraculaggine della resa – un po’ come quando chiedono: qual è il libro di meditazione che ha sul comodino?, e quelli lesti rispondono: la Bibbia – bisognerebbe andare a visionare le camere da letto di tutti questi teologi in erba. Né deve essere di troppa quotidiana e pop evocazione, la cosa – sennò, come dei Fabio Fazio pre-Saviano, si finisce col porre sul piedistallo tutta la truppa dei Cugini di Campagna o il Mottarello con lo stecchetto. Così, siccome il sollecitare a ognuno l’esternazione sul proprio Pantheon ideale è anche giochino stupidino  di società (come a scuola con cose-animali-colori), il giorno dopo la pur magra, oltre che seriosa, resa sulla faccenda dei “fantastici cinque” su Sky (avessero in realtà, nel loro Pantheon, già piazzato idealmente Spiderman e l’Incredibile Hulk?), sui siti internet era tutto un fiorire di vanitose sollecitazioni: tu nel tuo Pantheon chi metteresti?, con ammasso tardo-adolescenziale di Che Guevara e Beatles e pure “Gola profonda”. Ma lo stesso, se uno alla bisogna si vuol prestare, nel momento decisivo bisogna pure che si presti al meglio. Per evitare il giorno dopo retromarce, aggiunte, sostituzioni. Come è successo al sempre poetico non meno che pratico Vendola, che davanti alle telecamere ha fatto il nome del cardinale Martini, poi nelle ore successive ha proceduto a un deciso frenetico adeguamento: “Nel mio Pantheon ci sono anche Pier Paolo Pasolini, sono andato proprio ieri sulla sua tomba, ed Enrico Berlinguer…”, anzi, “la tomba di Pier Paolo Pasolini a Casarsa è una parte del mio Pantheon…” – una tomba in un Pantheon personale: ma chi si crede di essere, Nichi, il Cav. con il mausoleo ad Arcore? Per non dire poi dell’aggiornamento, non rivendicato ma non per questo meno mediaticamente esibito, fatto da Matteo Renzi – che su Sky aveva optato per Mandela, e tanto di cappello, e su “Lina, 29 anni, blogger tunisina” – una blogger tunisina, o bellino, ma’ icchè tu dici?, anche se l’Unità, qualche giorno prima, assicurava nella sua titolazione: “Renzi, un Pantheon tra Obama e Troisi” – poi ha svoltato per l’oasi. Ma a farla corta, dopo una campagna tutta muscoli e anagrafe e rottamazione, ecco che al traguardo si presenta sulle pagine di Oggi (che annuncia “il video esclusivo del backstage”, manco per le riprese del “Titanic”) abbracciato alle sue simpatiche e gagliarde nonne, annunciando “non rottamerò i nonni” – un po’ idealmente ripassando dall’esaltazione dei neo paninari alla riscoperta della ribollita.

    Come si vede, casistica vasta, errori sempre possibili, esclusioni dolorose – e con sano conservatorismo è stato D’Alema il giorno dopo a rimproverare, prospettando  “un Pantheon ricco” a disposizione del centrosinistra, le surreali sortite di quelli di Sky: “Se dovessi dire io, dal mio punto di vista, indicherei Moro e Berlinguer”. E’ dubbio che la folla dei candidati alle primarie del Pdl (tanto numerosa che, a volerli fumettisticamente ritrarre, più che ai “fantastici 5” bisognerebbe ricorrere ai 101 dalmata, non uno di meno, di Peggy e Pongo) sia adeguatamente attrezzata. Una cosa è chiara: a richiesta di Pantheon proprio sarebbe d’uopo innanzi tutto far strada per primo, nell’intronazione, al Cav. – vuoi per dedizione che insiste, vuoi per gratitudine dovuta: tutti nobili candidati sono, ma nel furore berlusconiano che permane  sulle zucche mutate in deputati non si scherza. Del resto, il Cav. di suoi Pantheon, in vent’anni – per pressante richiesta altrui, per sentita vocazione propria – ne ha edificati circa diecimila, come i templi nella valle di Bagan, e dalla Thatcher a Napoleone a Giustiniano di nulla si è privato, dove c’era da ben figurare ha provato a piazzarsi. Esaurita questa parte, diciamo devozionale, resta campo libero ai dieci o undici o dodici candidati pidielle – ed è qui, dove la necessità sostituisce la devozione, che bisogna porre massima attenzione. Intanto, differenziarsi dai colleghi democratici: non rimpiangere il Papa già prenotato, tenersi un po’ appartati anche rispetto alle grandi figure politiche – ché i giorni son quelli dell’antipolitica – e a farsi degasperiani di complemento serve a poco, a farsi liberali rinati meno ancora suggestiona. Per dire, Giancarlo Galan, che liberale si proclama e veneto è di sicuro, e molto su queste primarie ha avuto da ridire, potrebbe a sorpresa metter di mezzo il genio del suo corregionale Carlo Goldoni e farsi evocativo della “baruffe chiozzotte” a sintesi del parapiglia circostante – così territoriale da sostenere, insieme, la polemica politica e la denominazione d’origine controllata. Giorgia Meloni dovrebbe sicuramente evitare tutto il bric-à-brac della brava giovane di destra – per carità i Tolkien e gli elfi e gli anelli signorili, tutta una saga e tutta una lagna, e volendo lei molto agguerrita presentarsi, ricorrere magari al personaggio di Quino, la contestatrice bambina Malfalda, capelli ispidi e grinta che si mangia tutti gli altri candidati in un boccone, facendo pure felicemente suo lo slogan che accompagna la riproduzione del pestifero e saggio personaggio su calendari e tazze: “Oggi mordo!” – aho, in campana, so’ Giorgia e mozzico!

    Avendo poco da perdere, e conservando ormai della bella stagione forzista solo la “felice memoria”, come dei morti di famiglia nei romanzi dell’Ottocento, si corre il rischio di sbracare del tutto o s’incrocia la possibilità d’innovare alla grande – nessuna situazione in politica è troppo disperante da risultare del tutto e per sempre persa: avendo in passato ricavato penicillina dalla muffa, non è detto che da questa sorta di “musichiere” montato nel cortile di Palazzo Grazioli, tra le proteste condominiali del padrone di casa, non ne possa venire fuori qualcosa di buono. Se non per il paese, per i cavalieri minori saliti in giostra. Ma azzardare serve, mentre s’imbarca acqua; conservare affonda. Per dire, Michaela Biancofiore, che idealmente cavalca alla testa delle amazzoni berlusconiane, “praticavano l’arte militare fin dalla fanciullezza”, si faccia perciò guerriera fino in fondo – così da andare storicamente a ripescare, pur fornita di diploma magistrale, e in Giurisprudenza laureanda, Antiope o Ippolita o Pentesilea, con le loro tristi ma belle sorti, senza stare a deviare per Madre Teresa o Lady D. o mamma Rosa, tutto giusto e tutto scontato: deve fronteggiare Galileo, mica Quagliariello. Al limite, se vuol abbandonare l’incerta epica per la solida scienza, al cannocchiale dell’astronomo può sempre opporre il microscopio di Madame Curie. Non meno deve azzardare Alessandro Cattaneo, sindaco di Pavia, settore “formattatore” – da intendersi come i rottamatori moderati: che rottamano, ma con giudizio; che smontano, ma con buonsenso; che avanzano, ma con velocità da crociera. Più idraulici che tappano, che sfasciacarrozze che smontano. Aria da bravo ragazzo, faccia perfetta da fototessera, ingegnere – e come ti sbagli?, immagine da genero ideale, compagno per il ballo delle debuttanti. E’ come Clark Kent senza la tuta di Superman. Un po’ di rock gli manca, una fialetta di kryptonite gli gioverebbe – e si avverte, un principio di azzardo senza scivolare nel bunga bunga. Capace di buttare fuori, a richiesta di Pantheon,  una serie di nomi tutti rassicuranti e però con un principio di sonnolenza dentro. Potrebbe far la sorpresa delle primarie, ecco, se non mettesse di mezzo don Sturzo e De Gaulle (il generale porta ancora i segni dell’innamoramento finiano di vent’anni fa), le autonomie locali, piuttosto Steve Jobs e addirittura Marilyn Manson. O svalvolare da tutt’altra parte, e farsi, per esempio – visto che, partiti con Galileo, la scienza incontra – estimatore di Athanasius Kircher: li stenderebbe in blocco, potrebbero scambiarlo per l’Umberto Eco pidielle, senza più rischiare di confondere pettinatura e nodo della sua cravatta con quelli di Alessandro Proto – che comunque già Alfano ha segato via.
    Santanchè e Sgarbi e compagnia vociante di consigli non hanno affatto bisogno – e De Gasperi a loro non verrebbe in mente mai. Mediaticamente, hanno mortaretti per fare primarie pure dopo la profezia dei maya – magari trova un posto da ideale maestro a Flavio Briatore: sei fuori! sei fuori!, o persino al mite ovino a sgarbiana esortazione: capra! capra! capra! Guido Crosetto è piemontese e liberale, e Einaudi sempre la sua ombra stende – se sei piemontese e liberale hai meno possibilità di scamparla della bagna cauda e della nutella, ma di suo è già abbastanza grandicello (in una foto da sottosegretario con la mimetica addosso pareva la cartina dell’Afghanistan settentrionale – a grandezza naturale, però) e portato a qualche sortita poco ortodossa che forse ci risparmierà la solita mezza pera sempre einaudiana. Gli starebbe bene affiancato qualcosa di vicino ma di visivamente opposto: stupire con Paolo Conte, farsi conoscitore del Gramsci torinese dell’Ordine Nuovo, riportare in auge Macario. Sennò, c’è sempre don Giovanni Bosco – e almeno una contentezza per il salesiano cardinal Bertone.

    Ma il problema più grosso è quello di Angelino Alfano. E’ troppo giudizioso – e si sa, il Cav., che ormai lo scruta come Enrico VIII guardava la Bolena a rottura di matrimonio avvenuto, ha piuttosto un debole per gli scavezzacolli. Metterà di mezzo Pirandello (sono compaesani) e De Gasperi, non c’è scampo. Ma ha due carte di riserva:  nessuno tra i politici finora lo ha fatto, e così nel suo Pantheon ideale potrebbe sistemare Tommaso Moro – vero che fece una brutta fine, e un’ombra del filo di lama s’intravede anche sulla sua nuca tricologicamente spopolata – ma è pur sempre il santo protettore dei politici – e non poco bisogno del celesto soccorso Angelino ha. E andare dritto alla lotta, citando tra i suoi riferimenti l’amato Francesco Guccini – si faccia locomotiva proletaria che, infine,  procede a bomba contro il padronale jet privato. E comunque, se un riferimento all’isola natale vuol fare, assai meglio di Pirandello sarebbe per lui Vitaliano Brancati: un “Angelino il Caldo” avrebbe già più facile terreno nel torrido confronto con l’infuocato Cav.