Il buono e il cattivo

In Milan-Juve l'esempio di Montolivo e la normalità di Pirlo

Sandro Bocchio

Chissà come avrà accarezzato quella fascia Riccardo Montolivo. Lui era capitano della Fiorentina, leader riconosciuto intorno a cui ricostruire un progetto, dopo l'addio di Cesare Prandelli. E la fascia consegnatagli contro la Juventus, andando contro anzianità anagrafica e di servizio, è stato il riconoscimento di quanto il centrocampista possa essere importante per i destini attuali e futuri. Un riconoscimento ancor più importante nel confronto contingente con il passato. Perché Andrea Pirlo rappresenta una ferita non ancora rimarginata in casa rossonera.

    Chissà come avrà accarezzato quella fascia Riccardo Montolivo. Lui era capitano della Fiorentina, leader riconosciuto intorno a cui ricostruire un progetto, dopo l'addio di Cesare Prandelli. L'unico su cui puntare senza esitazioni, in periodo di recessione e di dismissioni, per disamoramento dei Della Valle e desiderio di far quadrare i conti. Solo che il centrocampista s'impunta al momento di rinnovare: lui aveva lasciato Bergamo per un salto di qualità, personale e collettivo. Sembrava averlo trovato a Firenze, con la squadra riportata tra le grandi del campionato, con una Champions League ritrovata dopo un'eternità. Solo che, a un certo punto, il centrocampista si era guardato intorno e si era trovato solo. Tremendamente solo. Toni già modernariato d'archivio, a poco a poco sfilati via Frey, Pazzini, Vargas e altri elementi, utili per fare cassa o togliersi ingaggi pesanti. Anche Montolivo allora ha detto basta, per far morire naturalmente un rapporto mai sbocciato definitivamente con una piazza in cui la passione non concepisce le mezze misure: l'unico bianconero amato è quello che mette inesorabilmente di fronte due fazioni, l'una contro l'altra armata. Così è capitato a Montolivo, ritenuto troppo freddo e distaccato per essere degno della maglia viola. Peggio ancora quando è stata guerra aperta con i Della Valle sul contratto: al rifiuto del giocatore ha corrisposto la punizione della società. Degradato, come un militare traditore. Indegno di difendere una causa, anche se sul campo lui è stato inappuntabile fino all'ultimo. Come lo è oggi al Milan, pur in analoga fase di transizione. Montolivo se l'è caricata sulle spalle, durante la settimana come in partita. Il riconoscimento è stato naturale per Allegri: il calcio non ha bisogno di eroi, ma di esempi. E la fascia consegnatagli contro la Juventus, andando contro anzianità anagrafica e di servizio, è stato il riconoscimento di quanto il centrocampista possa essere importante per i destini attuali e futuri.

    Un riconoscimento ancor più importante nel confronto contingente con il passato. Perché Andrea Pirlo rappresenta una ferita non ancora rimarginata in casa rossonera. Il leader silenzioso che lascia per mancato accordo sul nuovo contratto unito a una (mal riposta) sfiducia altrui nella sua tenuta fisica. Il professionista che non solo si mette al servizio della rivale Juventus ma la riporta anche al vertice italiano, proprio a danno di chi l'aveva appena riconquistato. Pirlo incompreso dal Milan, Pirlo mai sopportato da Allegri, Pirlo fenomeno bianconero, Pirlo maestro in azzurro: così erano stati scanditi i tempi nell'ultima stagione. Un favoloso mondo che sembrava non dovesse avere né zone buie né cali di fede. Salvo che la realtà presenta sempre il conto e quella attuale non è più meravigliosamente invincibile. Perché la Champions League distrae energie fisiche e nervose, perché gli avversari sanno quali contromisure adottare, perché gli anni lasciano il segno. E la sconfitta contro il Milan (contro l'attuale Milan, non quello di Ibrahimovic e Thiago Silva) può fare molto male, al di là di un rigore farlocco che fa il paio con un pallone dentro di mezzo metro e giudicato fuori. Dice che il re è nudo. Dice che la normalità spadroneggia se anche Pirlo è normale.