Stampa o regime

Meglio un Sallusti al gabbio di una legge sconclusionata?

Alessandro Giuli

Dalle nostre parti diciamo che la galera non s’augura a nessuno, innocente o colpevole. Alessandro Sallusti è entrambe le cose: non ha scritto lui (ma non l’ha nemmeno misconosciuto) l’articolo giudicato diffamatorio da un giudice zelota che ha condannato il direttore del Giornale a 14 mesi di carcere senza la condizionale – al magistrato di sorveglianza, nei prossimi giorni, il compito di stabilire se i domiciliari possono bastare come punizione – ma ha pure il torto, Sallusti, di essere la punta avanzata di quel giornalismo temerario che si pratica nella metà sbagliata del campo politico italiano.

    Dalle nostre parti diciamo che la galera non s’augura a nessuno, innocente o colpevole. Alessandro Sallusti è entrambe le cose: non ha scritto lui (ma non l’ha nemmeno misconosciuto) l’articolo giudicato diffamatorio da un giudice zelota che ha condannato il direttore del Giornale a 14 mesi di carcere senza la condizionale – al magistrato di sorveglianza, nei prossimi giorni, il compito di stabilire se i domiciliari possono bastare come punizione – ma ha pure il torto, Sallusti, di essere la punta avanzata di quel giornalismo temerario che si pratica nella metà sbagliata del campo politico italiano. La parte berlusconiana, con tutte le spregiudicatezze e le intemerate che tale mondo si porta dietro. Può bastare questo a fare di Alessandro Sallusti la vittima dannata da una legge liberticida, nell’essenza, e smisurata nei suoi recessi interpretativi? Non che Sallusti non abbia ricevuto ultimamente qualche pallido cenno di solidarietà, oltre il perimetro della corporazione cui appartiene (apparteniamo), eppure resta nitida la percezione di uno squilibrio. Se Sallusti non fosse Sallusti, se non fosse percepito dalla così detta opinione pubblica egemone (quella minoritaria ma di sinistra, cioè potentissima, descritta due giorni fa da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera) come il più cattivo dei berlusconiani e il più berlusconiano dei cattivi, forse adesso i palazzi di giustizia sarebbero circondati dai maestri cantori della libertà d’opinione in servizio permanente. Compresi i feticisti della Costituzione d’ogni ordine e grado e patrimonio. Se nella caduta vittimistico-narcisistica di Sallusti, sempre agli occhi del giudice collettivo, non fosse implicito un atomo di punizione liberatoria piovuto dall’alto nei confronti di uno che ha servito il Cav. come Telesio Interlandi (il Tevere, la Difesa della razza) volle servire Benito Mussolini durante il Ventennio, oggi la Corte europea per i diritti dell’uomo sarebbe sommersa di lettere, istanze, appelli e ricorsi in favore di un novello Piero Gobetti. Invece nulla, se non la metà di nulla.

    C’è poi un’aggravante ulteriore: l’ordine di arresto domiciliare per il direttore del Giornale giunge nel giorno in cui il Senato riprende a discutere i termini di una nuova legge sulla diffamazione. I sindacati del settore editoriale, Fieg e Fnsi, minacciano scioperi e hanno lanciato un appello affinché il Parlamento ritiri “una pessima legge che introduce norme assurde”. Intorno a questo provvedimento oggettivamente impugnabile – deresponsabilizza i direttori, delegittima i redattori, dilata a dismisura il diritto di replica in bianco del presunto diffamato – si sono moltiplicati i retropensieri. C’è chi vi scorge la furibonda vendetta trasversale del ceto politico bersagliato dai soliti media, chi vi rintraccia un eccesso di degnazione nei confronti del lato forte della gerarchia giornalistica e chi, infine, teme l’irruzione di un bavaglio autoritario, punto e basta. Il caso Sallusti è piantato come un cattivo presentimento sul crocevia dei molteplici sospetti. In queste ore non è difficile ascoltare nei corridoi dell’informazione alcuni adagi cinici, pronunciati per celia o per malanimo, come questo: meglio un Sallusti in galera, oggi, di una legge ammazzagiornali domani. Pavidi o mediocri, coloro che se ne fanno convinti e inerti ripetitori s’illudono di sfuggire a una brutalità soltanto rinviata.