Tutti gli smottamenti (un po' estremisti) dei tedeschi sull'eurocrisi
Atene piange, Merkel non ride
Nella notte Unione europea e Fondo monetario internazionale hanno trovato un'intesa di massima sul dossier Grecia, dando così il via libera all'esborso di 34,4 miliardi di euro di aiuti internazionali al paese. Le misure su cui ci si è accordati includono il riacquisto da parte della Grecia di una quota dei bond in circolazione e una riduzione dei tassi d'interesse sui prestiti per Atene (a livelli così bassi che forse – spiega il Financial Times – comporterenno perdite per alcuni paesi creditori), così da tagliare il rapporto debito pubblico/pil del paese al 124 per cento entro il 2020, rendendolo più sostenibile.
Nella notte Unione europea e Fondo monetario internazionale hanno trovato un'intesa di massima sul dossier Grecia, dando così il via libera all'esborso di 34,4 miliardi di euro di aiuti internazionali al paese. Le misure su cui ci si è accordati includono il riacquisto da parte della Grecia di una quota dei bond in circolazione e una riduzione dei tassi d'interesse sui prestiti per Atene (a livelli così bassi che forse – spiega il Financial Times – comporterenno perdite per alcuni paesi creditori), così da tagliare il rapporto debito pubblico/pil del paese al 124 per cento entro il 2020, rendendolo più sostenibile.
Ieri, nel giorno in cui l’Eurogruppo avrebbe finalmente dovuto dare il via libera all’ennesima tranche di aiuti internazionali ad Atene, dopo due tavoli di negoziato inconcludenti, il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, si è affrettato a negare che in agenda vi fosse anche una discussione circa un nuovo taglio del debito greco (haircut), tale da coinvolgere questa volta anche i creditori pubblici. L’obiettivo sarebbe quello di riportare il rapporto debito/pil greco dal 144 per cento al 70 per cento entro il 2020. Benché domenica scorsa la versione telematica del settimanale tedesco Spiegel desse per certo un accordo in tal senso tra la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale, le elezioni federali del 2013 sembrano essere di ostacolo a una soluzione che obbligherebbe anche Berlino, che ad Atene ha dato aiuti come gli altri stati dell’Eurozona, a dire addio a qualche decina di miliardi dei contribuenti.
Resta il fatto che, come documentato dai media teutonici, il tema continua a dividere politici ed economisti. Quasi tutti però sono d’accordo sulla necessità che il governo “dica la verità ai cittadini”, ossia informi gli elettori sui costi di un eventuale nuovo taglio del debito greco e sull’impegno finanziario che deriva dalla scelta di un’alternativa. Secondo Peer Steinbrück, candidato socialdemocratico alla Cancelleria, è infatti “ben possibile che prima o poi le garanzie che abbiamo messo a disposizione della Grecia siano destinate a maturare. Il governo non può continuare a tacere”. Ma dalla Cancelleria si continua invece a prendere tempo. In un’intervista al tabloid nazional-popolare Bild Zeitung, Jörg Asmussen, membro del board della Bce ed ex sottosegretario del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, ha invece negato che l’haircut possa essere di una qualche utilità, mettendo sul tavolo delle trattative un pacchetto per garantire l’abbassamento dei tassi per la restituzione degli aiuti e un riacquisto greco dei propri titoli di stato (buy back) attraverso fondi provenienti dal meccanismo di stabilizzazione Efsf. In sostanza, il taglio del debito sarebbe soltanto rinviato. Se l’haircut arrivasse subito, sostengono i più ortodossi, vi sarebbe un forte disincentivo per la Grecia a portare avanti le riforme promesse.
Ed è proprio sul principio di condizionalità come strumento di scambio tra Germania e paesi della periferia che ampi settori della coalizione cristiano-liberale si mostrano sempre più insofferenti. In una lettera aperta alla cancelliera, pubblicata lunedì sul quotidiano conservatore Die Welt, il deputato liberale Frank Schäffler, da due anni alla guida di un manipolo di ribelli interni alla maggioranza, invita Merkel a porre fine a quella che definisce “politica dell’umiliazione” nei confronti degli stati in crisi: “Come ci sentiremmo noi parlamentari, se non potessimo determinare il contenuto delle leggi che votiamo?”, ha scritto Schäffler, tornando a invocare l’insolvenza per banche e stati che non riescono a stare in piedi da soli. Un ritorno alle monete nazionali lo prevede d’altra parte anche Peter Bofinger, uno dei cinque saggi economici che consigliano l’esecutivo: “Senza un cambio di strategia, ossia senza un temporaneo finanziamento europeo dei debiti pubblici nazionali, la fine dell’euro è possibile”, ha scritto in un articolo per il settimanale economico Wirtschaftswoche.
Che la fine dell’euro sia tutto sommato da prendere in considerazione lo pensa pure Gunnar Beck, docente di Diritto comunitario all’Università di Londra, il quale, in un editoriale comparso sulla prima pagina dell’edizione on line del quotidiano economico Handelsblatt, ha spiegato: “L’eurosalvataggio continua ad aiutare gli esportatori tedeschi a danno dei contribuenti. A questo punto, sarebbe meglio lasciar morire l’euro”. Dello stesso avviso è anche uno dei nipoti del padre fondatore dell’Europa unita Konrad Adenauer, Stephan Wehrahn, che ha appena lasciato la Cdu per ingrossare le file della lista euroscettica Freie Wähler: “Un eurosalvataggio ad ogni costo non potevo davvero appoggiarlo. La formula ‘aiuti in cambio di riforme’ non funziona; è meglio prepararsi per l’insolvenza degli stati in difficoltà”, ha detto in un’intervista alla Faz. Segno che il cerchio intorno alla Merkel si sta stringendo sempre di più.
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