Dopo Renzi, tutti quelli che hanno avuto un tremendo colpo di vecchiaia
Dice Rep.: ha vinto l’Italia migliore, matura, quella consapevole che i nodi si sciolgono e non si tagliano e perciò ha perso l’antipolitica. Messa così è come se non avesse vinto nessuno. Invece per una volta uno ha vinto e molti hanno perso o quanto meno preso un coup de vieux. Si guardano allo specchio e vedono rughe scavate, guance che cadono, capelli sempre più grigi. Si sentono addosso un secolo in più, qualcuno è venuto dal nulla e li ha ricacciati nel profondo Novecento. Questo è Matteo Renzi, il vincitore.
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Dice Rep.: ha vinto l’Italia migliore, matura, quella consapevole che i nodi si sciolgono e non si tagliano e perciò ha perso l’antipolitica. Messa così è come se non avesse vinto nessuno. Invece per una volta uno ha vinto e molti hanno perso o quanto meno preso un coup de vieux. Si guardano allo specchio e vedono rughe scavate, guance che cadono, capelli sempre più grigi. Si sentono addosso un secolo in più, qualcuno è venuto dal nulla e li ha ricacciati nel profondo Novecento. Questo è Matteo Renzi, il vincitore. Non più un fastidioso cetriolo, un furbetto malandrino, una bolla mediatica come ha detto con malcelato disprezzo Eugenio Scalfari: il fondatore si sa è uomo d’onore, non è da lui negare un principio di realtà solo per antipatia personale o perché ha deciso di sostenere il suo avversario. Non potrà dunque non riconoscere che il ragazzotto che parla troppo inglese e magari non ha proprio il senso della storia è ormai il Mister Volare della politica, lo spartiacque tra un prima e un dopo: ha prodotto una linea di faglia che non si vedrà nella forma perché hanno deciso di evitare invettive e randellate ma mai si ricomporrà nella sostanza: un milione e più di elettori di Renzi sono oggi più distanti dal solco comune di quanto Tony Blair fosse distante dal vecchio Labour. Di fatto l’irruzione di Renzi stringe nell’angolo l’attuale gruppo dirigente, ne polarizza l’elettorato, disvela la distanza tra interessi materiali, comportamenti e culture: tra un giovane laureato formato alle nuove tecnologie e precario e un pensionato del pubblico impiego c’è un mondo, fin qui occultato dalla scialba pratica dell’inclusione senza identità. Aveva avuto fiuto Rosy Bindi, non solo per autodifesa personale, quando subito definì il rottamatore un pericoloso grimaldello. Solo che sbagliava mandante: non il centrodestra, non il Cav., così sfilacciati che nemmeno più riescono a portare alle urne i loro di elettori, ma una buona fetta di centrosinistra che una volta scoperchiato il vaso di Pandora non ha alcuna voglia di tornarci. L’altra sera bastava sentire i commenti a caldo stizziti, a tratti lividi, per rendersi conto che l’elenco di chi si è beccato le primarie sulle gengive è bello lungo. Ha perso va da sé la nomenclatura, la quasi totalità dei parlamentari, giusto uno sparuto gruppo è stato con Renzi, tutti i segretari regionali, cento e passa provinciali, migliaia comunali, compreso quello di Firenze. Il Pd non è più il Pci, la trasmissione burocratica delle consegne di voto è lasca ma stranamente Bersani ha un vantaggio molto maggiore al sud. Personaggi come Franceschini e Marini sembrano già sopravvissuti.
Così Zagrebelsky, Eco, i giustizialisti da parata, i moralisti della domenica, così la Camusso, i concertazionisti a oltranza, quelli che fantozzianamente “ci facci un tavolo per favore”. La sinistra schizofrenica che non si perde un film di Hollywood ma non tollera la forma della politica americana. Un intero corredo di belle idee di pizzo e merletti, tramandate malgrado il fallimento costante della battaglia culturale e politica, sta per finire tra le muffe di una cantina. Quattro membri su dieci della cosiddetta (e mal detta) comunità progressista, non ne possono più, vogliono cambiamenti immediati e radicali. Questo hanno detto. Di uomini e cose. Senza pregiudizi. E malgrado la vaghezza tipica delle campagne elettorali, sono caduti non pochi tabù. L’idea che si possa azzerare ogni sorta di finanziamento pubblico ai partiti sostituendolo con la raccolta di fondi privati purché nella trasparenza. Una proposta di riforma del mercato del lavoro firmata Pietro Ichino che è fumo negli occhi della Cgil, di Sel e del futuro, dio non voglia, cancelliere dello scacchiere. Poi la Costituzione non è più “la più bella del mondo” in versione Bersani né quella che tra qualche settimana Benigni ci infliggerà via televisione del servizio pubblico. Infine la forma di governo: Renzi lo vuole efficiente, ristretto, nervoso. Bersani predica la forza tranquilla. In centinaia di migliaia, con Renzi, hanno detto che il paese non sta male per mancanza di tranquillità ma di forza. Costi della politica, lavoro, Costituzione, forma di governo: se non è una faglia!
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