La “guerra civile” al Cairo

Egitto appeso al Fondo monetario, ma la piazza erutta contro il Faraone

Daniele Raineri

L'Egitto è appeso a un finanziamento del Fondo monetario internazionale, ma da quando s'è risvegliato con un presidente padrone il finanziamento è a rischio. Ora il Fondo potrebbe cambiare idea e non concedere più al Cairo un pacchetto da 4,8 miliardi di dollari – tanto atteso e chiesto a lungo dal governo dei Fratelli musulmani – dice una “fonte interna” al giornale egiziano al Ahram.
E pensare che soltanto la settimana scorsa il presidente Mohammed Morsi aveva superato due appuntamenti cruciali e si era conquistato credibilità sul piano internazionale e anche su quello della politica interna.

    L’Egitto è appeso a un finanziamento del Fondo monetario internazionale, ma da quando s’è risvegliato con un presidente padrone il finanziamento è a rischio. Ora il Fondo potrebbe cambiare idea e non concedere più al Cairo un pacchetto da 4,8 miliardi di dollari – tanto atteso e chiesto a lungo dal governo dei Fratelli musulmani – dice una “fonte interna” al giornale egiziano al Ahram. E pensare che soltanto la settimana scorsa il presidente Mohammed Morsi aveva superato due appuntamenti cruciali e si era conquistato credibilità sul piano internazionale e anche su quello della politica interna: aveva mostrato di essere indispensabile nella mediazione tra Hamas e Israele sulla guerra nella Striscia di Gaza (con la distinzione fondamentale che incontra in pubblico i capi di Hamas ma non parla ai politici israeliani) e aveva finalmente raggiunto l’accordo preliminare sul finanziamento, che a sua volta apre le porta a un altro promettente finanziamento da parte dell’Unione europea. Due righe eloquenti di commento in fondo a un articolo del Financial Times rivelavano: “Diplomatici e fonti vicine ai negoziati dicono che c’è un forte desiderio internazionale di stabilizzare Mohammed Morsi, il nuovo presidente islamista, ed evitare choc economici che potrebbero provocare disordini nel paese più popoloso del mondo arabo”. Era ufficiale: i Fratelli musulmani avevano anche la benedizione del giornale della City.

    Giovedì il presidente Morsi è saltato fuori con una Dichiarazione costituzionale a sorpresa che gli assegna i poteri pieni di un dittatore – “ma sono temporanei”, assicura lui – al di sopra della legge e in Egitto sono scoppiati tre giorni di violenze di strada tra chi vede in lui un nuovo Mubarak (peggio, un Mubarak islamista a capo di un movimento islamista) e le squadre dei Fratelli musulmani. Pietrate, lacrimogeni, uffici politici presi d’assalto, sciopero di giudici e giornalisti. Il Fondo monetario in teoria dovrebbe dare il via libera ai soldi il 19 dicembre, ma ora nello spazio di quattro giorni si è trasformato in uno strumento di pressione politica sui Fratelli musulmani e in un garante della democrazia egiziana (che è senz’altro più di quanto gli si può chiedere). “Non penso che il Fondo rescinderà l’accordo – dice Samir Radawan, ex ministro delle Finanze egiziano– ma se la situazione  peggiora allora il finanziamento sarà sospeso”.

    Anche se i soldi arrivassero, un primo problema è che il piano di riforme proposto dal Fondo ai Fratelli musulmani è ambizioso, richiede sacrifici e un grande consenso: ci sarà da tagliare i sussidi su gas e benzina, aumentare le tasse, svalutare la moneta nazionale, trovare nuovi modi di risparmiare (il governo ha già proposto l’imposizione di un coprifuoco notturno a negozi e ristoranti, per ridurre i consumi di elettricità). Come farà Morsi a procedere, ora che l’intesa con l’opposizione lascia il posto alla violenza? – il Faraone lo chiamano, come chiamavano Mubarak, oppure Morsilini, crasi con l’italiano Benito. Un secondo problema è che anche se tutto rientrasse nella normalità dal punto di vista politico e il piano internazionale andasse liscio – sostiene Amr Adly, commentatore critico sulle politiche del Fondo – il peso maggiore cadrebbe sugli egiziani più poveri, e insomma il paese affonderebbe in una condizione peggio che pre-rivoluzionaria.

    Gli scontri in strada per ora sono una “guerra civile” di numeri. Lo scopo è dimostrare che il presidente e i Fratelli musulmani non sono un potere dittatoriale, perché agiscono coperti dalla maggioranza del paese. Oggi c’è una grande protesta anti Morsi al Cairo: per essere all’altezza gli islamisti – che in città non sono maggioranza – dovranno portare i loro sostenitori da fuori con i bus.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)