Primarie, chi vince e chi perde

Claudio Cerasa

I risultati delle primarie del centrosinistra offrono uno scenario che va ben al di là dei numeri definitivi offerti ieri dal responsabile organizzazione del Pd, il mitico Nico Stumpo. I numeri raccontano di un primo turno vinto facilmente da Bersani (44,5 per cento) ma in cui l’ottima affermazione di Renzi (35,5 per cento, 20 punti di vantaggio su Nichi Vendola) non solo ha costretto il segretario a un ballottaggio che non era scontato ma ha fornito anche una fotografia di un nuovo centrosinistra che – e ci dispiace per Rosy Bindi – difficilmente potrà essere cestinata.

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    I risultati delle primarie del centrosinistra offrono uno scenario che va ben al di là dei numeri definitivi offerti ieri dal responsabile organizzazione del Pd, il mitico Nico Stumpo. I numeri raccontano di un primo turno vinto facilmente da Bersani (44,9 per cento) ma in cui l’ottima affermazione di Renzi (35,5 per cento, 20 punti di vantaggio su Nichi Vendola) non solo ha costretto il segretario a un ballottaggio che non era scontato ma ha fornito anche una fotografia di un nuovo centrosinistra che – e ci dispiace per Rosy Bindi – difficilmente potrà essere cestinata. Pietro Ichino, senatore del Pd e volto simbolo della campagna del Rottamatore, con qualche ragione ieri ha scritto sul suo blog che il risultato di Renzi “è un terremoto che rappresenta un profondo mutamento nella geografia del Pd”. E non senza malizia (lui che mesi fa era stato accusato da Stefano Fassina di rappresentare “al massimo il due per cento del Pd”) Ichino ha ricordato che Renzi, nonostante sia sceso in campo contro il 98 per cento dei dirigenti del partito, oggi rappresenta ormai “il 43 per cento dei voti di area Pd”. Stime e statistiche a parte, il risultato del primo turno (Renzi, martedì, al Foglio aveva detto di vedersi intorno al 35 per cento, e così è stato) permette al sindaco di allontanare il rischio “meteora” e lo mette nella condizione di ragionare senza affanni su quale strategia scegliere per provare a rimontare e tentare di ripetere a livello nazionale i miracoli compiuti, nelle città, da outsider come Giuliano Pisapia, Massimo Zedda e Luigi De Magistris. I nomi di Pisapia, Zedda e De Magistris il sindaco li ha ripetuti spesso nelle ultime ore ai ragazzi della squadra e lo ha fatto non solo per raffigurare plasticamente come sia possibile sfidare con successo a un secondo turno gli organi dirigenti del Pd ma anche per spiegare cosa intende quando parla di effetto “finale dei Mondiali”. Renzi, infatti, osservando i numeri sulla partecipazione al primo turno (partecipazione non altissima che si è fermata a 3 milioni e 100 mila elettori, cifra inferiore ai 4 milioni e 300 mila del 2005 e identica a quella delle primarie Pd del 2009) ha ripetuto al suo entourage, confortato anche dai sondaggi di Fabrizio Masia, che “sopra i quattro milioni si vince” e che per questo l’obiettivo dei prossimi giorni è quello di portare il maggior numero possibile di elettori a registrarsi tra il 29 e 30 novembre (giorni in cui il regolamento prevede una finestra per registrarsi per chi non ha votato al primo turno). La quota “quattro milioni” è una cifra difficile da centrare ma Renzi è convinto che la sfida con Bersani, mescolata anche all’eccitazione che si verrà a creare con i dibattiti tv di questa settimana (ieri sera Renzi e Bersani erano da Fabio Fazio, domani su RaiUno confronto alle 21,10 con Monica Maggioni e con possibile replica del duello venerdì o sabato su La7 da Enrico Mentana), possa scatenare lo stesso effetto calamita che una finale dei Mondiali ha sui tifosi mediamente appassionati. “Molti elettori – è il ragionamento di Renzi – al primo turno non hanno votato perché pensavano che non ci sarebbe stata partita. Ora che la partita è aperta si scatenerà un grande entusiasmo che, se le regole non ce lo impediranno, potrebbe portare a una mobilitazione mostruosa: per questo con il ballottaggio si ritorna sullo zero a zero”.

    Dal punto di vista dei numeri, però, mettendo insieme i dati del primo turno, il sindaco non sembra avere in realtà grande margine per rimontare il segretario. Nonostante gli ottimi risultati ottenuti nelle regioni rosse (il sindaco ha superato Bersani in Toscana, in Umbria e nelle Marche; mentre in Emilia Romagna, arrivando al 38 per cento, ha impedito al leader del Pd di superare, proprio nella sua regione, il 50 per cento), i numeri complessivi sono spietati e dicono che al momento Renzi deve rimontare 280 mila voti al segretario Pd (il divario più grosso tra Renzi e Bersani è nel mezzogiorno, dove il Rottamatore ha preso 200 mila voti in meno: 162 mila voti contro 364 mila). Al comitato Bersani (oltre a far notare con malizia che i voti di Renzi, 1.099.612, sono identici a quelli ottenuti da Dario Franceschini alle primarie Pd del 2009, 1.045.123) stimano che il numero di voti che il segretario strapperà a Vendola si aggira intorno ai due terzi dell’elettorato del governatore (che alle primarie ha preso 481.146 voti). E se i calcoli sono giusti significa che il potenziale di Bersani è simile a quello già espresso tre anni fa alle primarie Pd (dove prese un milione e 600 mila voti, 300 mila in più di domenica).

    I numeri Renzi li conosce ma nonostante i sondaggi dicano che i voti di Nichi sono destinati a finire a Bersani, è nel campo dei vendoliani che il Rottamatore ha scelto di concentrare parte delle sue energie in vista del ballottaggio. Ieri Renzi lo ha detto chiaramente – “Vendola si è impegnato a non farmi vincere ma non significa che il travaso dei suoi voti vada tutto su Bersani” – ed è dietro a queste parole che si nasconde parte della “strategia del sorpasso”. Una strategia fatta di tre punti. Primo: provare a conquistare i voti di Vendola nelle regioni in cui potrebbe ripetersi l’effetto Pisapia e in cui gli elettori che hanno scelto Nichi sono quelli più distanti dall’apparato del Pd (Lombardia e Puglia). Secondo: insistere forte con la storia della Rottamazione e far passare in questi giorni ancora di più il messaggio (che poi è il cuore della vittoria morale di Renzi di domenica) che il sindaco è il volto giovane e inarrestabile del cambiamento mentre il segretario è il simbolo di una generica e insostenibile conservazione. Terzo: giocarsi le ultime cartucce non nel mezzogiorno (dove Renzi è rassegnato a essere in svantaggio su Bersani) ma nelle grandi città in cui il Rottamatore non ha raggiunto i risultati che sperava. Città come Milano e Roma dove il sindaco non è andato bene (nella prima Renzi è stato doppiato da Bersani, 48 contro 23, nella seconda il segretario è avanti di quindici punti, 45 a 30) e dove Renzi sostiene di avere il numero di “voti in sonno” più alti che nel resto d’Italia. L’appello dunque sarà rivolto soprattutto al famoso “voto d’opinione”: con la piccola particolarità che un dato chiaro di questo primo turno delle primarie è che, osservando i dati delle grandi città, se c’è qualcuno che è riuscito a mobilitare e a sedurre il così detto voto d’opinione quel qualcuno non si chiama Matteo Renzi ma si chiama Pier Luigi Bersani.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.