Vendola, il cattivo perdente

Marianna Rizzini

Va bene che si era abituato a vincere le primarie contro i dalemiani in Puglia, va bene che di sé diceva “ho sempre perso nei sondaggi ma non nelle urne”, ma quando uno ha perso – e Nichi Vendola, a questo giro, ha perso – farebbe bene a dirlo, tantopiù che persino in Puglia non è arrivato primo (37,3 per cento contro il 39,3 di Pier Luigi Bersani). Invece no. Invece Vendola, tra domenica e lunedì, a ballottaggio Bersani-Renzi ormai sicuro, ha dato prima di tutto agli altri la colpa della sua sconfitta.

Leggi Primarie, chi vince e chi perde di Claudio Cerasa - Leggi La rivalità tra fratelli e il senso del centrosinistra per “Festen”, dove ci si odia con tanto affetto di Annalena Benini

    Va bene che si era abituato a vincere le primarie contro i dalemiani in Puglia, va bene che di sé diceva “ho sempre perso nei sondaggi ma non nelle urne”, ma quando uno ha perso – e Nichi Vendola, a questo giro, ha perso – farebbe bene a dirlo, tantopiù che persino in Puglia non è arrivato primo (37,3 per cento contro il 39,3 di Pier Luigi Bersani). Invece no. Invece Vendola, tra domenica e lunedì, a ballottaggio Bersani-Renzi ormai sicuro, ha dato prima di tutto agli altri la colpa della sua sconfitta: ho combattuto a mani nude contro due giganti, ha detto, sono vittima dei mass media, rei di “manipolazione maliziosa, voluta, programmata e scientifica”, con il Tg1 eletto a bestia nera e definito “piccolo esempio di giornalismo ignobile” che fa “vergognosa informazione”, trattando le primarie “come fossero il congresso del Pd” (e pazienza se lui, Vendola, ha sempre giocato con i mass media che rilanciavano le sue poesie e le sue cosiddette “narrazioni”). Non si è neanche lontanamente autocriticato, Vendola, quando è comparso a tarda sera a commentare il voto, scortato da due soldati muti (i suoi principali collaboratori): neanche una parola pensierosa sul fallimento dell’affabulatore sempre fuori dal Partito democratico ma non dalle alleanze, e sempre attento a non scendere dal treno.

    E’ pauperista e scandalizzato, Vendola (gli altri hanno “i jet privati”, diceva), ma non così tanto da non restare in coalizione, seppure brandendo a giorni alterni il suo “vade retro” a Pier Ferdinando Casini. Non ha detto che un giorno andrà nel Pd, come qualcuno gli consigliava, non ha detto che andrà da solo, ma non ha smesso di dire “voglio questo e voglio quello”, lanciando diktat ai vincitori cui intanto faceva “vivi complimenti” (prendendo però la rincorsa per l’attacco risentito): “I miei voti dovrai guadagnarteli”, ha detto a Bersani in una “lettera virtuale”, prova a “convincere i miei elettori”, voglio “profumo di sinistra” sennò “liberi tutti”, non farò “trattative”, “farò una conferenza stampa” chiarendo “l’orientamento” (il tutto mentre Bersani parlava di “convergenze” con lui). Di sicuro “non combatto per te”, ha detto poi a Renzi (ribadendo l’ovvio).

    Si era dato il venti per cento come confine del successo, Vendola, ma quel suo quindici per cento – un flop per chi, come lui, assicurava la “sorpresa” nei gazebo e cantava la palingenesi via primarie della sinistra “sparpagliata e incazzata” – non è stato di ostacolo all’ennesima auto-narrazione (di una realtà sottosopra, stavolta): le regioni rosse che si “incendiano” per Renzi e Bersani solo perché tutto è stato presentato come “polarizzazione penalizzante”, e non perché a molti elettori del centrosinistra, magari, non piacciono i paletti vendoliani alle politiche di centro o, al contrario, non piace il Vendola “governativo” che non salta un giro, per dirla con Fausto Bertinotti (critico, da sinistra, verso la linea di Sel). Ma niente: Vendola, dopo la sconfitta, lungi dal fare un passo indietro, ha detto “ascolteremo con puntigliosa attenzione”, alzando il dito come il professore a scuola, giusto per ricordare a Bersani che fa differenza non dire espressamente “votiamo per te”. E però la realtà lo assale: consensi che se ne vanno in direzione Fiom, sindaci “arancioni” in concorrenza (nonostante l’endorsement di Giuliano Pisapia, e con Luigi De Magistris che dice “da Vendola mi aspettavo di più”) e persino una parte dei voti “anti status quo” che si dirige su Matteo Renzi (invece che su di lui).

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    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.