Senza lavoro non c'è bonifica

Alberto Brambilla

Alla fine perdono tutti: lavoratori, ambiente, industria. Il primo risultato dei recenti atti giudiziari sull’Ilva di Taranto è la chiusura della fabbrica per volere dei vertici dell’azienda, in risposta ai sequestri di materiali già prodotti e di impianti funzionanti. Non possiamo vendere, ci fate chiudere, dicono i proprietari. Prima o poi – si dice da mesi al ministero dello Sviluppo economico – la famiglia Riva deciderà di mollare se il giudice Patrizia Todisco, che ha condotto la danza,  non allenterà la presa.

Leggi Tempeste d'acciaio - Leggi Sull’Ilva il ministro Clini promette battaglia (con decreto) ai pm di Cristina Giudici

    Alla fine perdono tutti: lavoratori, ambiente, industria. Il primo risultato dei recenti atti giudiziari sull’Ilva di Taranto è la chiusura della fabbrica per volere dei vertici dell’azienda, in risposta ai sequestri di materiali già prodotti e di impianti funzionanti. Non possiamo vendere, ci fate chiudere, dicono i proprietari. Prima o poi – si dice da mesi al ministero dello Sviluppo economico – la famiglia Riva deciderà di mollare se il giudice Patrizia Todisco, che ha condotto la danza,  non allenterà la presa. E’ stata una battaglia tra procura, giudice delle indagini preliminari e azienda iniziata quattro mesi fa, con l’ordine di sequestro, e per niente conclusa. Fatta di un uso ambiguo e a volte deformato di dati e statistiche sulle emissioni nocive e sui conseguenti danni alla salute che rendono difficile avvicinarsi ad una verità il più possibile certa e condivisa. Quello che sicuramente emerge, dagli atti e nei fatti, sono una serie di contraddizioni. Tra queste la più evidente riguarda la necessità di conciliare il lavoro e la sostenibilità ambientale, come il governo italiano raccomandava di fare attraverso una riconversione graduale degli impianti. L’azienda aveva acconsentito. Ora non è più possibile: se 12 mila operai tarantini perdono il posto, il lavoro manca. Con una serie di conseguenze a cascata sull’economia nazionale (cassa integrazione, mobilità, collasso dell’economia pugliese). E l’ambiente non è salvo: “Se gli impianti vengono bloccati si realizza un risultato ambientale negativo perché gli impianti fermi dovranno essere bonificati e non si sa da chi”, ha detto il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini (il Messaggero). “Questo determina una situazione che potrebbe trascinarsi per anni, con effetti disastrosi sull’ambiente, a cominciare dalla contaminazione dei suoli e delle acque”, ha aggiunto.

    Per i magistrati, lo spiegava l’ex giudicee opinionista del Fatto quotidiano Bruno Tinti, l’Ilva è un assassino a piede libero con la pistola carica. Deve essere fermato.  Più l’Ilva produce, più inquina, più la salute delle persone è in pericolo: deve essere chiusa, deve gettare la pistola. Le particelle di metalli pesanti “hanno un rilevante impatto negativo sulla salute dell’uomo”, scriveva Todisco nel provvedimento di custodia cautelare per i primi otto dirigenti indagati. Nell’area tarantina “si registrano significativi eccessi di tumori polmonari e vescicali”, si legge ancora. Causa di morti “riconducibili” all’Ilva e quindi al “disegno criminoso” messo in atto dai vertici della società che non hanno impedito “una quantità imponente di emissioni diffuse e fuggitive nocive in atmosfera in assenza di autorizzazione”. A queste accuse l’azienda ha ribattuto definendo le perizie chimiche ed epidemiologiche “totalmente inaffidabili” e “non probanti”. Secondo le perizie chieste dall’azienda, presentate nell’istanza di dissequestro, i livelli di particolati Pm10 (o polveri sottili) “non possono essere considerati responsabili di presunti eccessi di patologie” e “sono stati stimati utilizzando parametri che l’Oms (Organizzazione mondiale per la sanità) considera come ‘obiettivo’ da raggiungersi in futuro” e che “non sono né reali né in vigore in nessun paese”. Secondo i rilevamenti effettuati su incarico della procura, le stime di particolato medio variano tra i 22,9 e i 34,9 microgrammi (2004-2010). Quantità “considerevolmente inferiori”, scrive l’Ilva, “ai 45-55 microgrammi annui registrati oggi a Milano, Firenze e Roma”. Tesi sostenuta da un report di Legambiente che pone Taranto al 46esimo posto in classifica tra le città che hanno più volte superato il limite consentito di Pm10. E non è solo sulle emissioni che le richieste sono proiettate nel futuro, ma anche sugli adeguamenti tecnologici degli impianti.

    Lo stabilimento negli ultimi tre anni non ha superato i diritti di emissione di anidride carbonica (CO2) comprati dall’Unione europea. Su 13,3 Mt (1/1.000 kg) annui consentiti tra il 2008 e il 2012, ne ha usati 10,1 nel 2011, in aumento rispetto ai 5,2 del 2009 ma sotto i 10,8 del 2008, secondo lo European emissions trading system. “Che questo significhi un inquinamento inferiore rispetto agli obiettivi o che tali obiettivi governativi siano troppo alti è questione di opinioni e fonte di dibattito”, dice al Foglio Tomas Gutierrez, analista di una società di consulenza della McGraw-Hill. Quanto a investimenti ambientali, l’Ilva dovrebbe adattarsi da subito ai parametri europei dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) in vigore nel 2016. Paesi come la Germania hanno chiesto un rinvio. “Tra gli altri produttori europei l’Ilva è riconosciuta come una delle aziende più all’avanguardia”, dice al Foglio il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, riferendo l’opinione dei manager europei. Ilva ha stanziato 1,2 miliardi in “investimenti ambientali”, in linea con la concorrenza.

    Leggi Tempeste d'acciaio - Leggi Sull’Ilva il ministro Clini promette battaglia (con decreto) ai pm di Cristina Giudici

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.