Sull'Ilva il ministro Clini promette battaglia (con decreto) ai pm
Incassati anche gli appelli dei sindacati più duri sul caso Ilva di Taranto, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini rafforza la sua posizione d’interlocutore naturale di politici e imprenditori, ma soprattutto dei 5mila lavoratori dello stabilimento pugliese. Obiettivo: mettere in sicurezza l’acciaieria e la città da un disastro che lui stesso definisce con il Foglio “oltre che ambientale, sociale”. Dopo che la magistratura ha provocato (a colpi di arresti) il blocco di tutti gli impianti della fabbrica siderurgica, Clini ha subito avvertito: “La fabbrica si trasformerà in un deserto inquinato e avrà un impatto ambientale più pericoloso di quanto lo sia stato in passato”.
Milano. Incassati anche gli appelli dei sindacati più duri sul caso Ilva di Taranto, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini rafforza la sua posizione d’interlocutore naturale di politici e imprenditori, ma soprattutto dei 5mila lavoratori dello stabilimento pugliese. Obiettivo: mettere in sicurezza l’acciaieria e la città da un disastro che lui stesso definisce con il Foglio “oltre che ambientale, sociale”. Dopo che la magistratura ha provocato (a colpi di arresti) il blocco di tutti gli impianti della fabbrica siderurgica, Clini ha subito avvertito: “La fabbrica si trasformerà in un deserto inquinato e avrà un impatto ambientale più pericoloso di quanto lo sia stato in passato”. “Se la produzione viene bloccata – dice il ministro – è difficile per l’impresa tenere aperta la fabbrica”; ma dall’altro è giusto agire in modo tale che l’azienda non trasformi l’attuale circostanza “nell’opportunità per scappare”. Sembra un attacco diretto ai proprietari dell’azienda, la famiglia Riva, che invece d’investire 3 miliardi di euro preferisce forse vendere ai concorrenti. Illazione? “No, mi pare una lettura probabile dei fatti”, spiega Clini al Foglio, “considerate le pressioni che sono state fatte per fermare lo stabilimento e vendere a competitor europei e non europei”. Parole dettate da una reazione rabbiosa a un procedimento giudiziario che, il titolare dell’Ambiente, mette in discussione un lavoro certosino per ristabilire i parametri dell’autorizzazione di integrazione ambientale (Aia) e metterla in linea con gli standard previsti dall’Unione europea, “L’Ilva non è un’officina o un garage, ma l’acciaieria più grande d’Europa. Ha una struttura complessa e necessita di una manutenzione continua. Perciò, dopo un negoziato molto duro, siamo arrivati a concordare un piano di risanamento che riduce drasticamente le emissioni inquinanti e costringe l’azienda, per amore o per forza, a investire 3 miliardi di euro per arrivare nel 2014 a un risanamento secondo gli standard previsti dalle direttive europee per il 2016. Quindi in anticipo di due anni”.
Si tratta di un investimento che permetterebbe fra l’altro all’azienda di accedere anche ai fondi europei. “E’ incomprensibile che qualcuno cerchi di bloccare un processo di bonifica, impedendo la riqualificazione ambientale dell’azienda e del territorio”. Perciò il governo cercherà di impedire la chiusura degli impianti con un decreto legge ad hoc. “E’ evidente che, fra tante altre pressioni, l’obiettivo della procura tarantina è di bloccare l’attuazione dell’Aia e arrivare alla chiusura dello stabilimento per non applicarla. Si sta creando un ostacolo al rispetto della legge”. Il ministro conferma al Foglio che con la decisione di bloccare la produzione si viene a creare un conflitto di competenze, tra due autorità, la magistratura e chi deve amministrare il territorio.
Che fare quindi? “Mi pare che siano d’accordo tutti. Faremo un decreto per convertire in legge la nostra certificazione ambientale. Daremo alle nostre indicazioni, contenute nel documento dell’Aia, un valore legale. Fra l’altro, il blocco degli impianti e quindi del processo di bonifica non ha solo effetti sociali devastanti, ma costituisce un serio rischio ambientale. Un sito di queste dimensioni che non viene gestito crea una dispersione di materiale inquinante nel suolo e nell’acqua. Il principio che ispira il nostro intervento è di una logica semplice e lineare. E’ cioè quello di proteggere il territorio e la popolazione. Se qualcuno non ritiene i nostri standard in linea con quelli decisi dall’Ue, si assumerà le responsabilità delle conseguenze”.
Quando Clini dice “qualcuno”, non si riferisce solo ai magistrati, ma anche a quegli ambientalisti che in buona o in cattiva fede favoriscono la svendita di un’impresa strategica in una congiuntura economica e sociale di recessione. Convinto che sarà il governo, in accordo con le amministrazioni locali, a vincere il braccio di ferro e a impedire il blocco degli impianti, Clini reagisce male anche alla divulgazione dei numeri sull’incidenza dei tumori fra gli abitanti del quartiere Tamburi. “Sono dati vecchi, frutto di una manipolazione. Noi stiamo elaborando cifre più aggiornate per verificare il reale impatto sanitario. In ogni caso, mi chiedo dove stavano gli amministratori quando hanno costruito alloggi per ventimila abitanti che confinavano con gli stabilimenti nel quartiere di Tamburi”.
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