L'impatto su Alitalia

Una maledizione dal cielo per l'Ilva

Alberto Brambilla

Ieri alle 10,30 del mattino una gigantesca tromba d’aria si è abbattuta sulla città di Taranto e sullo stabilimento dell’Ilva, colpito anche da un fulmine, causando un black out. La forza del fenomeno atmosferico è stata tale da sollevare e scaraventare in mare una gru, ritrovata a venti metri di profondità incagliata tra la sabbia. L’operaio che la manovrava è disperso. Si temono tre morti, secondo il sindaco tarantino, Ippazio Stefano; 24 le persone ferite.

    Ieri alle 10,30 del mattino una gigantesca tromba d’aria si è abbattuta sulla città di Taranto e sullo stabilimento dell’Ilva, colpito anche da un fulmine, causando un black out. La forza del fenomeno atmosferico è stata tale da sollevare e scaraventare in mare una gru, ritrovata a venti metri di profondità incagliata tra la sabbia. L’operaio che la manovrava è disperso. Si temono tre morti, secondo il sindaco tarantino, Ippazio Stefano; 24 le persone ferite. Danni ancora da quantificare in termini economici agli impianti della fabbrica: una ciminiera alta quasi ottanta metri è stata abbattuta, crollati anche un capannone all’imbarco prodotti e la torre faro, e il camino delle batterie uno e tre. Lo ha comunicato l’azienda stessa, precisando che “le emissioni sono sotto controllo”. L’episodio accade in un momento economicamente difficile (eufemismo) per l’azienda del Gruppo Riva, oggetto di inchieste giudiziarie per danni ambientali e corruzione. Il governo sta cercando di evitare la chiusura, dovuta al sequestro di materiali già prodotti e quindi invendibili, con un decreto da presentare venerdì in Consiglio dei ministri. Stando alla bozza, l’intenzione è di consentire che la fabbrica resti aperta per due anni, nonostante il sequestro, ma che si conformi all’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per ridurre l’impatto sull’ecosistema e sulla salute dei cittadini. Gli effetti a catena dalla chiusura del primo impianto siderurgico europeo o del suo depotenziamento non impatteranno solo sulla filiera dell’acciaio ma anche sul settore aereo italiano. Il Gruppo Riva è uno dei principali azionisti di Alitalia con il 10,6 per cento. Uno dei pochi a non avere svalutato la propria partecipazione azionaria (Atlantia, ad esempio, l’ha fatto). L’ottantenne Emilio Riva aveva deciso di partecipare alla cordata di imprenditori che ha rilevato la compagnia aerea in una partita gestita da banca Intesa Sanpaolo, allora guidata dall’attuale ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera.

    Da sempre lontano dalle questioni industriali che non riguardassero l’acciaio, l’ingresso di Riva, azionista della prima ora con un capitale di 120 milioni di euro, suonava come una sorpresa. Meno sorprendenti erano i rapporti dei Riva con Intesa che poco prima dell’accordo aveva finanziato un progetto navale in Cina con un prestito da 80 milioni. Mentre Cariplo, cassa di risparmio poi inglobata da Intesa, nel 1995 finanziò l’offerta che serviva alla famiglia per rilevare l’Ilva dallo stato. Oggi il sostegno dei Riva ad Alitalia non è ufficialmente in bilico ma i danni economici derivanti dalla frenata degli impianti sono un fattore di rischio per la strategia e la sostenibilità dell’ex compagnia di bandiera. Nel 2011 il Gruppo Riva ha registrato perdite per 35 milioni di euro nonostante avesse prodotto e venduto più materiali finiti rispetto all’anno precedente: i margini di profitto si sono ridotti perché i costi delle materie prime erano aumentati del 36 per cento. Restare nell’azionariato potrebbe dunque essere un’onerosa prova di fiducia nei confronti dell’ex compagnia di bandiera, in perdita da tre anni. Lontana dal giocare alla pari con concorrenti europei e mediorientali, che stanno operando fusioni di rilievo, Alitalia si trova a gestire un debito da 862 milioni. L’amministratore delegato, Andrea Ragnetti, dice di non pensare a un aumento di capitale che pare in realtà inevitabile. Come azionisti i Riva sono secondi solo ad Air France (al 25 per cento). Il vettore francese in queste settimane sta studiando una partnership con Etihad e Airberlin. “Segnale – sostiene Andrea Giuricin dell’Istituto Bruno Leoni – che Alitalia non è più appetibile come un tempo per i francesi”. I problemi dell’Ilva influenzeranno il mercato aereo, e dal cielo è arrivata ieri un’ultima batosta.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.