Il Cav. apre il teatro della crudeltà

Salvatore Merlo

Il segreto della crudeltà, quella vera, è fare un’osservazione apparentemente innocente e una lode apparentemente sincera (“nei sondaggi il Pdl guidato da te è più forte di una Forza Italia guidata da me. Dovresti proprio candidarti”), quindi sferrare il colpo basso, allungare il ferro che scotta o infilare il pungiglione in zona sensibile: “Però lascia la segreteria del partito, io ti coordino la campagna elettorale”. Il palcoscenico sarà quello di Palazzo Grazioli, ufficio di presidenza del Pdl (“riunione di suprema bellezza plastica, utilissima per definire i vertici supremi della pallosità”, dicono gli ultrà del Cavaliere), la data è martedì prossimo, il pubblico in sala composto dai dirigenti del partito, tutti.

    Il segreto della crudeltà, quella vera, è fare un’osservazione apparentemente innocente e una lode apparentemente sincera (“nei sondaggi il Pdl guidato da te è più forte di una Forza Italia guidata da me. Dovresti proprio candidarti”), quindi sferrare il colpo basso, allungare il ferro che scotta o infilare il pungiglione in zona sensibile: “Però lascia la segreteria del partito, io ti coordino la campagna elettorale”. Il palcoscenico sarà quello di Palazzo Grazioli, ufficio di presidenza del Pdl (“riunione di suprema bellezza plastica, utilissima per definire i vertici supremi della pallosità”, dicono gli ultrà del Cavaliere), la data è martedì prossimo, il pubblico in sala composto dai dirigenti del partito, tutti: capigruppo, capicordata, ex governatori in pensione, presidenti di regione ancora in sella, padroncini, vario sottobosco parlamentare.

    Ad Arcore, osservati i sondaggi e ascoltati gli ultimi pretoriani, Silvio Berlusconi coccola un’idea che gli suggeriscono alcuni spietati consiglieri, un colpo di teatro della crudeltà, una mossa per ghermire, stordire e stendere Angelino Alfano e con lui anche quel confuso partito che ancora si chiama Pdl. E’ un’ultima, sottile perfidia, l’inebriante capogiro di un attimo dopo la famosa bruciatura sul “quid”, e consiste nel simulare un passo indietro, “non mi candido”, per poi consumare il sacrificio umano del segretario del Pdl, “ma tu rinunci al partito”. Oggi Alfano vede Gianni Letta a pranzo, il gran visir ara il terreno prima che passi il Cavaliere.

    Le elezioni ormai sono perdute e non c’è niente da fare, meglio tenersene lontani, pensa il Cavaliere, lui che non ama associare il proprio volto alle sconfitte (come ha imparato l’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu durante la lunga notte delle politiche 2006 a Palazzo Grazioli: “Torna subito al ministero!”), lui che non partecipa volentieri nemmeno ai funerali. Quello che conta davvero per Berlusconi, com’è ovvio, non è la candidatura perdente, esornativa, a Palazzo Chigi. E il Cavaliere lo ha confessato pure ai direttori di Mediaset riuniti martedì scorso a casa sua: “E’ inutile spacchettare il Pdl. Due partiti del 5 per cento non fanno il 10 per cento, ma solo il 5 ripetuto due volte. Una sola lista capeggiata da Alfano va più che bene, lui va solo separato da quelli di An”.

    Nella piccola ridotta, dopo l’olocausto generale del centrodestra, ciò che importa sul serio è il controllo delle liste elettorali, dei gruppi parlamentari, degli uomini e delle donne che saranno eletti nel prossimo Parlamento. A chi risponderanno deputati e senatori che dovranno eleggere il presidente della Repubblica? Quel poco di potere che resta si concentra tutto lì, ed è soprattutto questa la ragione per la quale il Cavaliere è infastidito dalle primarie, che sono pur sempre una conta interna difficile da ignorare per chiunque, anche per un sovrano carismatico come lui. Non ci sono altre ragioni. Berlusconi avversa pure la riforma della legge elettorale, e per lo stesso motivo: con l’introduzione delle preferenze saltano le liste bloccate e con queste anche le leve del potere. Per statuto, nel Pdl, la selezione di deputati e senatori, la compilazione delle liste, spetta al presidente (Berlusconi) ma con la controfirma del segretario (Alfano), e dunque: “Angelino, se tu ti candidi a premier io non entro neanche in lista così provi a costruire un’alleanza ampia con i montiani, con Casini e Montezemolo. Ovviamente però io prendo in mano il partito”. A quel punto Alfano (di cui un vecchio amico del Cav., ex ministro di tanti anni fa dice: “Se gli mozzi un orecchio ti porge l’altro”) che farà? Il segretario potrebbe persino accettare consegnandosi inconsapevolmente al sacrificio, oppure, potrebbe sfoderare ancora l’arma delle primarie. Mossa prevista, purtroppo. Arma spuntata. Il Cavaliere sa già cosa fare, potrebbe accettare facendo spalluce, o meglio: non ha che da tergiversare ancora, allungare i tempi, dilatare il dibattito sulle primarie (che come vediamo ha all’incirca la vivacità di un rubinetto che perde), sicuro di un principio cardine del mercato pubblicitario: persino i presentatori di detersivi e deodoranti sanno che la continua ripetizione dell’immagine ingenera noia, disgusto, e infine intolleranza fisica. Le gracili primarie saltano da sole, per rigetto. Il teatro della crudeltà abassa il sipario, e il Cavaliere sovrano compila soddisfatto e solitario le sue ultime liste elettorali tra le macerie.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.