Un appuntamento a Berlino

L'ultimo incontro del capo dei servizi libanesi saltato in aria a Beirut

Daniele Raineri

Wissam al Hassan è il generale dei servizi segreti libanesi assassinato con un’autobomba il 19 ottobre mentre circolava per Beirut in incognito – o almeno così lui credeva. Era appena tornato da Parigi, dove era stato a trovare la famiglia che si è trasferita là per ragioni di sicurezza dal 2005. Prima di volare nella capitale francese per motivi personali, il generale era stato a Berlino insieme con altri quattro uomini dei servizi libanesi, ufficialmente per incontrare Jörg Ziercke, capo della polizia federale tedesca. A Berlino però Wissam al Hassan aveva incontrato anche uomini dei servizi segreti tedeschi (Bnd) e una delegazione di palestinesi di Hamas, il gruppo armato che controlla la Striscia di Gaza.

    Wissam al Hassan è il generale dei servizi segreti libanesi assassinato con un’autobomba il 19 ottobre mentre circolava per Beirut in incognito – o almeno così lui credeva. Era appena tornato da Parigi, dove era stato a trovare la famiglia che si è trasferita là per ragioni di sicurezza dal 2005. Prima di volare nella capitale francese per motivi personali, il generale era stato a Berlino insieme con altri quattro uomini dei servizi libanesi, ufficialmente per incontrare Jörg Ziercke, capo della polizia federale tedesca. A Berlino però Wissam al Hassan aveva incontrato anche uomini dei servizi segreti tedeschi (Bnd) e una delegazione di palestinesi di Hamas, il gruppo armato che controlla la Striscia di Gaza.
    Che interesse aveva il generale libanese a parlare con Hamas in quello che sarebbe diventato il suo ultimo viaggio? L’incontro di Berlino ha avuto come argomento principale la situazione in Siria ed è considerato il primo passo di avvicinamento fra il gruppo di Gaza e i ribelli armati che sono in guerra contro il governo di Damasco. Nell’opposizione siriana c’è grande interesse per Hamas, che conosce il regime siriano dall’interno e dispone di un network di contatti esteso, soprattutto nelle città ancora controllate dal governo e nei campi palestinesi.

    A fine febbraio Khaled Meshaal, leader politico del gruppo, ha rotto con il presidente Bashar el Assad e ha lasciato Damasco – dove viveva da undici anni in qualità di ospite speciale protetto dai servizi segreti siriani. Lo scontro tra i due è duro. Meshaal accusa Assad di massacrare i sunniti (Hamas è un gruppo sunnita), prima di lasciare il paese ha rifiutato per due volte di parlare con lui e ora vive tra Egitto e Qatar, entrambi paesi dichiaratamente nemici di Damasco. Ora la tv di stato siriana quando parla dell’ex ospite palestinese lo fa con toni sprezzanti, “un reietto dei paesi arabi che si è venduto a Israele”.

    Hamas ha il potenziale per diventare una quinta colonna micidiale dentro la Siria. Continua a mantenere una forte presenza tra i settecentomila palestinesi del paese e a esercitare un grande appeal su di loro grazie soprattutto all’opera di assistenza sociale – portata avanti anche tra le difficoltà della guerra civile. Centomila palestinesi vivono dentro Damasco nel “campo profughi” di al Yarmouk, che da tempo si è trasformato in un quartiere normale.
    Forse quinta colonna lo è già. I combattenti del gruppo ribelle Ahfad al Rasul, la “Brigata dei discendenti del Profeta”, presenti dentro al Yarmouk e nella zona sud della capitale, sono in maggioranza sostenitori di Hamas (edizione di mercoledì 28 novembre del giornale arabo al Quds al Arabi). Alla fine di agosto la Brigata ha firmato un omicidio sensazionale: un suo uomo ha assassinato nel suo ufficio Jamil Hassan, una delle figure più odiate del regime, il direttore del servizio d’intelligence dell’aviazione militare (non bisogna lasciarsi fuorviare dal nome, è il reparto di repressione più temuto tra quelli a disposizione del presidente Assad). L’uomo era un suo ufficiale, ha cambiato fronte e lo ha ucciso.

    Prima di saltare in aria a Beirut, il generale al Hassan faceva parte di quel settore dei servizi libanesi che è schierato contro il governo siriano del presidente Bashar el Assad – è cosa nota, al punto che dopo la bomba tutti hanno puntato subito il dito contro Damasco – e lavorava in contatto con i servizi segreti sauditi per offrire aiuto ai ribelli siriani. I servizi segreti tedeschi hanno contatti ottimi con i gruppi islamisti in medio oriente – nel 2009 parteciparono ai negoziati per liberare il caporale israeliano Gilad Shalit, rapito da Hamas – e sanno ospitare rendez-vous riservati: a Monaco hanno fatto incontrare talebani e americani.

    I ribelli non hanno più bisogno di aiuto
    Lunedì un articolo del New York Times sosteneva che l’Amministrazione Obama ora ha intenzione di intervenire in modo più aggressivo dalla parte dei ribelli siriani. Sembra un’intenzione vuota, considerato che mancano ancora un nuovo direttore alla Cia al posto di David Petraeus e un nuovo segretario di stato al posto di Hillary Clinton che lascia a gennaio. Soprattutto sembra che i ribelli siriani non abbiano più bisogno di aiuti. Hanno conquistato absi militari, hanno preso carri armati e missili terra-aria (sei aerei o elicotteri abbattuti negli ultimi cinque giorni) e premono vicino alla capitale.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)