Il buono e il cattivo

La fame di Paloschi e lo stipendio di Sneijder

Sandro Bocchio

"Un predestinato": così Carlo Ancelotti al primo apparire di Alberto Paloschi. Esordio nel Milan, poi tanta provincia e troppi infortuni. Ieri con tre gol aiutano Eugenio Corini a battere il vecchio maestro Gigi Del Neri. Ma dentro arde il fuoco di tornare alla squadra che l'ha mandato in prestito a Verona: se Milan dei giovani dovrà essere, lui pretende di far parte del progetto. Un progetto che, in chiave Inter, invece non prevede più la partecipazione di Wesley Sneijder, passato in breve volgere di tempo da eroe del Triplete di José Mourinho a ospite indesiderato alla Pinetina.

    "Un predestinato": così Carlo Ancelotti al primo apparire di Alberto Paloschi. Le solite parole buttate lì a mezza bocca, con il sopracciglio inarcato, ma chiarissime nella sostanza. La serie A avrebbe dovuto fare i conti con questo attaccante, subito ribattezzato il nuovo Pippo Inzaghi per la capacità di insidiare la linea del fuorigioco e di colpire alla prima concessione altrui. Una definizione confermata il giorno del debutto con il Milan, il 10 febbraio 2008. Paloschi entra a 18 anni, al minuto 18 del secondo tempo e segna la rete decisiva al Siena dopo 18 secondi. Numeri con cui gli piace giocare, a cominciare dalla maglia: un 43 che è un 4+3 per arrivare all'amato 7, negato in rossonero da Pato. Un 43 che poi lo accompagna sempre, in una carriera che pare destinata a sbocciare in provincia – scelta per gestire un proprio spazio – e invece martellata dagli infortuni. Paloschi cresce in altezza, i suoi muscoli non lo seguono e cedono quando è a Parma. Rimette a posto i tessuti e a Verona (sponda Chievo, dove è arrivato via Genoa) lo tradisce il legamento di una caviglia. Un tiro al bersaglio che condiziona la carriera ma rende saldo il carattere, sostenuto da una famelica voglia di tornare. Il nuovo via a novembre, dopo un'estate trascorsa a recuperare. Contro l'Udinese entra a partita in corso, stavolta gli basta un minuto in meno per un nuovo inizio: quando calcia il rigore del 2-2 sono passati 17 minuti dall'ingresso. E che sia tornato il predestinato se ne accorge il Genoa, tramortito dai tre gol di Paloschi che aiutano Eugenio Corini a battere il vecchio maestro Gigi Del Neri, a trovare i primi punti in trasferta e a puntellare la panchina. E l'attaccante? Le solite frasi, ufficialmente: "Pensiamo a salvarci". Ma dentro arde il fuoco di tornare alla squadra che l'ha mandato in prestito a Verona: se Milan dei giovani dovrà essere, lui pretende di far parte del progetto.

    Un progetto che, in chiave Inter, invece non prevede più la partecipazione di Wesley Sneijder, passato in breve volgere di tempo da eroe del Triplete di José Mourinho a ospite indesiderato alla Pinetina. Ci aveva provato Gian Piero Gasperini una prima volta, non ritenendolo idoneo al 3-4-3. Manovra fallita più per contrapposizione a priori di Massimo Moratti (come poi si sarebbe visto) al suo tecnico che per convinzione presidenziale. C'erano stati altri tentativi seri in estate, con messaggi più trasversali che diretti. Nello specifico: l'addio a glorie non anziane ma onerose quali Maicon e Julio Cesar. Una spending review non recepita dall'olandese, prima fuori per motivi fisici e ora ufficialmente ripudiato per questioni tattiche ma, più prosaicamente, per motivi economici. Colpa di uno stipendio portato nel 2010 a 6 milioni di euro, con prolungamento fino al 2015. Soldi che oggi non vorrebbe più concedere chi allora fu pronto a elargire, chiedendo la solita spalmatura negata dall'olandese: più anni di accordo, ma allo stesso costo. Il tutto nel nome della crisi economica, facile paravento evocato per mimetizzare errori imprenditoriali propri. Stramaccioni fa l'offeso al solo sentire la parola mobbing, il sindacato mondiale dei calciatori entra a gamba tesa manco fosse la Cgil, Moratti definisce assurdo pagare uno per non farlo giocare. Ma Sneijder, per l'appunto, non gioca. E vista l'Inter arrancare contro il Palermo, in molti se ne sono accorti.