Parlano Albertini, Micheli, Modiano
Com'è strano i mercati no a Milano
Sapessi com’è strano quando i mercati dicono di no a Milano (versi di Bruno Martino). Interessano gli aeroporti milanesi? No, non interessano. La quotazione di Sea è stata un flop, dal punto di vista borsistico e dell’immagine internazionale della Milano dell’Expo 2015, della finanza, del made in Italy e della “capitale che lavora e produce”. Nella più ricca città del ricco nord Italia sembra un paradosso che non sia andata a buon fine l’unica Ipo di rilievo dell’anno.
Sapessi com’è strano quando i mercati dicono di no a Milano (versi di Bruno Martino). Interessano gli aeroporti milanesi? No, non interessano. La quotazione di Sea è stata un flop, dal punto di vista borsistico e dell’immagine internazionale della Milano dell’Expo 2015, della finanza, del made in Italy e della “capitale che lavora e produce”. Nella più ricca città del ricco nord Italia sembra un paradosso che non sia andata a buon fine l’unica Ipo di rilievo dell’anno. Fatto che evidenzia – dicono gli osservatori sentiti dal Foglio – la perdita di sensibilità e di polso verso le questioni pratiche che interessano il mercato da parte delle istituzioni meneghine, delle banche e degli attori nazionali coinvolti.
La responsabilità della fallita quotazione della società aeroportuale milanese (che controlla Linate e Malpensa) è molto ben ripartita. Sea è una società in utile per 35 milioni di euro, quindi un investimento potenzialmente appetibile. Si è arrivati a ritirare l’Ipo per mancanza di offerte – un deserto com’è stata in passato l’asta per la Milano-Serravalle – dopo un roadshow e una preparazione costata oltre 4 milioni di euro. Sono bastate poche settimane per affossare la vendita con cui il comune di Milano avrebbe fatto cassa e la provincia sarebbe riuscita ad allontanarsi dalla bancarotta, se non fosse che il fondo F2i, controllato dal ministero dell’Economia e guidato da Vito Gamberale ha avanzato pubblicamente una serie di dubbi sulla liceità dell’operazione che avrebbero fatto fuggire gli investitori, dicono amici e detrattori.
“Il mio amico Gamberale ha sbagliato a non rivolgersi alla Consob e invece esponendo le contraddizioni interne sulla pubblica piazza”, dice al Foglio un manager di Borsa. Eppure le radici del problema non stanno nei tecnicismi di un ingresso nell’asfittica Borsa italiana. Milano deve fare i conti con la realtà dei mercati in crisi. Dice al Foglio Pietro Modiano, banchiere prima in Unicredit e poi in Intesa Sanpaolo e presidente di Nomisma: “Bisogna rimediare in fretta, è una vicenda complicata in cui si sono intrecciati molti elementi critici e un mercato non certo favorevole”. E aggiunge: “Serve condivisione sul punto d’arrivo che deve avere un’operazione. Non si possono trattare come tecniche delle questioni di grande rilievo, non solo per la carica simbolica che hanno: in generale le quotazioni non sono più normali operazioni di Borsa. Ormai per il mercato non c’è più nulla di normale perché adesso gli investitori si fanno domande minuziose sugli assetti di potere e su come anche la politica di un paese può influenzare una compagnia, cosa che non accadeva così minuziosamente prima della crisi”.
Per capire il cambiamento serve richiamare l’esempio fatto dall’ex sindaco di Milano, Gabriele Albertini (oggi candidato alle elezioni regionali). Nel 2002 la vendita del 33 per cento di Sea fu fermata per l’intervento “dell’asse Tremonti-Bossi”, uno “statalismo leghista” secondo quanto dice Albertini al Foglio. Eppure c’erano tre compratori esteri sulla porta, ritiratisi all’ultimo quando il governo Berlusconi decise per decreto di abbonare le tariffe aeroportuali per avvantaggiare Alitalia togliendo a Sea 20 milioni l’anno. “Costoro ebbero il privilegio di privare i milanesi di 600 milioni di euro e Sea di un socio forte. Il mercato aveva valorizzato l’investimento ma la politica l’aveva fermato. Questa volta – dice l’allora sindaco Albertini – è il mercato stesso che ha fermato la politica che avrebbe voluto privatizzare”.
Il contraccolpo non è deflagrante ma corrosivo: illumina la distanza tra le intenzioni e il pragmatismo per cui Milano è invece nota. “Non è un periodo felice per la città”, dice Francesco Micheli, uno degli imprenditori meneghini più liquidi con una rete di collaudate relazioni bipartisan. “C’è un notevole scollamento tra le cose che dovrebbero avvenire e che poi non vengono fatte”, dice al Foglio. “Questo è un peccato perché dimostra che anche quando le operazioni importanti e positive possono essere fatte vengono bloccate per contraddizioni interne ed esterne”.
Ieri la maggioranza al comune di Milano ha mostrato un volto “sereno”. Il sindaco Giuliano Pisapia non ha ripreso l’assessore al Bilancio Bruno Tabacci o il direttore generale Davide Corritore, coloro che hanno guidato la proficua vendita di una quota comunale di Sea a F2i rendendolo socio forte e decisivo (secondo alcuni è questo il peccato originale). La consegna è aspettare per decidere che fare, avanti la provincia che deve vendere per non fare crac.
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