“Kill him with kindness”

La gentile militanza di Matteo nasconde un uso duro della sconfitta

Claudio Cerasa

Bersani vorrebbe lo “squadrone”, con Renzi, ma non sarà così facile. Sembra che il sindaco sia orientato al “kill him with kindness”, uccidilo con la gentilezza. Partendo però da questa premessa: “Ragazzi, sappiate solo una cosa ragazzi: io non ho intenzione di trasformarmi in un Dario Franceschini”, dice convinto Matteo. Ecco. Ieri mattina a Roma un gruppo di sostenitori renziani si è riunito a Palazzo Madama per discutere intorno al tema “cosa suggerire a Matteo” e la sintesi della riunione ce la offre con queste parole un Rottamatore presente all’incontro.

Leggi l'editoriale I capolavori di Bersani e di Renzi

    Bersani vorrebbe lo “squadrone”, con Renzi, ma non sarà così facile. Sembra che il sindaco sia orientato al “kill him with kindness”, uccidilo con la gentilezza. Partendo però da questa premessa: “Ragazzi, sappiate solo una cosa ragazzi: io non ho intenzione di trasformarmi in un Dario Franceschini”, dice convinto Matteo. Ecco. Il giorno dopo il ballottaggio che ha incoronato Bersani leader della coalizione di centrosinistra la naturale delusione dei sostenitori di Renzi si mescola a un’altra preoccupazione che in queste ore sta sfiorando i pensieri di chi ha seguito il sindaco nella sua corsa alla premiership. Renzi, durante la sua campagna elettorale, ha ripetuto spesso che in caso di insuccesso non avrebbe mai accettato premi di consolazione e che si sarebbe limitato a riconoscere l’eventuale vittoria dell’avversario senza chiedere per sé un posto o un ministero o un seggio in Parlamento. Ora che però l’eventuale vittoria dell’avversario è diventata realtà la domanda che si stanno ponendo diversi seguaci del Rottamatore è semplice e suona più o meno così: davvero Matteo ha intenzione di rimanere a Firenze e non far pesare in nessun modo questo tesoretto conquistato nel Pd?

    Ieri mattina a Roma un gruppo di sostenitori renziani si è riunito a Palazzo Madama per discutere intorno al tema “cosa suggerire a Matteo” e la sintesi della riunione ce la offre con queste parole un Rottamatore presente all’incontro. “Matteo non può permettersi di stare in silenzio fino a Natale e se non tratta lui in prima persona con Bersani il rischio qui è che ci facciano fare una brutta fine e che si venga a determinare tra di noi un effetto panico che potrebbe portare a una sorta di rompete le righe”. L’invito rivolto a Renzi a non rinchiudersi nel suo fortino fiorentino cozza però con le reali intenzioni del sindaco. Renzi in queste ore ha ripetuto ai suoi collaboratori “di non voler diventare come Franceschini e di non volersi ritrovare a trattare con Bersani per un paio di posti in Parlamento”, e dietro alle parole del sindaco si intuisce la strada scelta per resistere all’onda d’urto della sconfitta. Da un lato il sindaco ha deciso di non occuparsi della questione “renziani in Parlamento” e ha dato mandato al suo ambasciatore in terra bersaniana (Roberto Reggi) di discutere con la squadra del segretario. Dall’altro lato però Renzi ha confidato di considerare per se stesso un valore aggiunto il restare fisicamente lontano da Roma (nel 2014, quando scadrà il suo mandato al comune di Firenze, si ricandiderà a Palazzo Vecchio) e in questo senso il sindaco si comporterà più o meno come fanno in America i leader che provano a rialzarsi dopo essere stati sconfitti alle primarie (il modello citato in queste ore dall’entourage renziano è – anche se non è fortunatissimo – quello di Mitt Romney, arrivato a conquistare nel 2012 le primarie del suo partito dopo aver ceduto il passo nel 2008 a John McCain).

    Corrente o non corrente? Una soluzione

    Tutto questo significa che Renzi non farà una sua corrente? A questa domanda il sindaco risponde dicendo di non avere deciso che fare ma, come confida al Foglio un collaboratore, in realtà il percorso è più chiaro di quanto possa sembrare. “Matteo non farà una guerra di trincea e non darà vita a una tradizionale componente strutturata. Non nascondiamo però che la nostra intenzione è quella di creare un movimento interno al partito – leggero e senza tessere – che dia la possibilità di tenere insieme e non disperdere le energie che avete visto in campo in questa campagna elettorale”.
    La ricerca di una formula magica per fare una corrente senza dire che questa è una corrente Renzi l’ha affidata all’uomo che ha messo in piedi il suo programma elettorale, Giuliano da Empoli. Dietro le mosse del sindaco – che continua a ripetere ai suoi uomini fidati “io non chiamerò Bersani perché lui ha bisogno di me più di quanto io abbia bisogno di lui” – si intuisce però che nelle ultime ore il mondo renziano sia diviso da due anime in lotta tra di loro: da un lato i renziani “nativi” che spingono Renzi a non cimentarsi con l’esperienza di una corrente alla D’Alema, mentre dall’altro i renziani “acquisiti” che suggeriscono di radicarsi in modo strutturato per non disperdere ciò che di buono è uscito fuori da queste primarie. “Renzi – dice al Foglio Pietro Ichino, senatore del Pd e in qualche modo renziano acquisito – se vuole diventare il nostro Tony Blair deve impegnarsi a non disperdere il tesoro messo da parte; e se userà bene il tempo che ci separa dalle elezioni sono convinto che tra qualche anno la nostra minoranza può molto realisticamente aspirare a diventare maggioranza”.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.