Perché la Borsa è uno stagno dove non si tuffa più nessuno
La Borsa italiana non è più il torrente dove navigavano gli yuppie negli anni Ottanta, adesso somiglia più a uno stagno. Piazza Affari rappresenta l’uno per cento della finanza globale e in dieci anni è l’unico listino ad avere perso valore: meno 29 per cento, secondo Mediobanca. Si è impoverita perché si sono impoverite le banche, i cui titoli sono i principali attori del mercato.
La Borsa italiana non è più il torrente dove navigavano gli yuppie negli anni Ottanta, adesso somiglia più a uno stagno. Piazza Affari rappresenta l’uno per cento della finanza globale e in dieci anni è l’unico listino ad avere perso valore: meno 29 per cento, secondo Mediobanca. Si è impoverita perché si sono impoverite le banche, i cui titoli sono i principali attori del mercato. La fallita quotazione della società aeroportuale Sea, l’unica di rilievo quest’anno, per via di divergenze strategiche tra soci istituzionali (comune e provincia di Milano) e pubblico-privati (il fondo F2i), dimostra la sua debolezza. Un problema sia per l’economia sia per la vitalità stessa della Borsa, scivolata al ventesimo posto al mondo in termini di capitalizzazione.
Il fatto che non si quoti più nessuna società (quest’anno è andata in porto solo l’Ipo della tessile Cuccinelli) preoccupa l’establishment economico: da un anno a questa parte il presidente della Consob, l’autorità che vigila sulla Borsa, si sta spendendo per capire come agevolare la quotazione delle piccole e medie imprese che, a corto di credito bancario, dovrebbero cercare di finanziarsi sul mercato. Giuseppe Vegas ha convocato più volte banchieri e top manager presso la Fondazione ResPublica di Milano, pensatoio economico di riferimento dell’ex ministro Giulio Tremonti. Alle cene d’affari e tra amici hanno partecipato, per esempio, l’attuale presidente di banca Monte dei Paschi ed ex amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, o Giuseppe Bonomi, presidente di Sea. In un’intervista al Corriere della Sera, Vegas ha annunciato un nuovo piano per agevolare le quotazioni delle Pmi “promettenti” attraverso la riduzione dei costi (che vanno dall’1 agli 8 milioni di euro), l’intervento di fondi di investimento e poi “si può ragionare”, ha detto Vegas, di adeguati incentivi fiscali.
Il prossimo 10 dicembre, al convegno “Time to growth. Favorire la quotazione di Borsa” a Piazza Affari, organizzato da Astrid e ResPublica, si vedranno i risultati della mediazione di Vegas. Ma altri problemi di fondo restano. Oltre ad agevolare la quotazione delle Pmi, infatti, bisognerebbe convincere gli imprenditori a buttarsi sul listino. Le speranze sono poche. “Non si quotano perché temono gli adempimenti legati alla quotazione. Dalla trasparenza ai controlli sulle operazioni con parti correlate, fino alla correttezza fiscale. Bisogna riuscire a convincerli che i vantaggi superano quelli che percepiscono come svantaggi”, dice al Foglio l’ex commissario Consob Salvatore Bragantini. Ma se gli imprenditori sono un po’ allergici alla trasparenza, la burocrazia europea non li aiuta. Ne è convinto Carmine Di Noia, vice direttore generale di Assonime, associazione delle quotate, che al Foglio spiega le conseguenze di un nuovo regolamento europeo sul market abuse il cui testo è in via di approvazione definitiva a Bruxelles: “L’intenzione è di obbligare le Pmi quotate nei listini minori (Aim Italia, ndr) a pubblicare le stesse informazioni price sensitive richieste alle grandi società come ad esempio un cambio nel management o un’acquisizione. Si vuole insomma equiparare una Pmi alle grandi società nazionali, come ad esempio Eni, per vincoli di trasparenza, ma senza che ce ne sia l’esigenza, incrementando invece i costi a scapito dei benefici”. Tema, quello della differenza di dimensioni, che non può essere risolto per via legislativa, come tentato dal decreto Sviluppo del governo che intende agevolare l’apertura delle società non quotate al mercato delle obbligazioni. Secondo Marco Fumagalli, responsabile capital markets di Centrobanca, “le nuove norme sono molto utili per le grosse imprese non quotate, ma per le Pmi c’è un problema di dimesioni. Tuttavia è mia opinione che con architetture di ingegneria finanziaria sia possibile riunire più piccole emissioni raggiungendo dimensioni adeguate”, dice Fumagalli al Foglio.
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