Carri armati al Cairo
Così il presidente Morsi s'è fatto fregare dalla sindrome del complotto
Ieri mattina nel centro del Cairo la Guardia presidenziale ha preso posizione con i carri armati attorno al Palazzo di Mohammed Morsi, il presidente legato al gruppo dei Fratelli musulmani, e attorno al palazzo della televisione di stato in riva al Nilo. Nel pomeriggio gli uomini del reparto militare, che ha il compito specifico di difendere il presidente, hanno progressivamente evacuato quell’area della capitale, per evitare altri scontri di strada tra le squadre dei Fratelli musulmani e i manifestanti anti-Morsi – l’alba di ieri s’è levata su sette morti e centinaia di feriti.
Ieri mattina nel centro del Cairo la Guardia presidenziale ha preso posizione con i carri armati attorno al Palazzo di Mohammed Morsi, il presidente legato al gruppo dei Fratelli musulmani, e attorno al palazzo della televisione di stato in riva al Nilo. Nel pomeriggio gli uomini del reparto militare, che ha il compito specifico di difendere il presidente, hanno progressivamente evacuato quell’area della capitale, per evitare altri scontri di strada tra le squadre dei Fratelli musulmani e i manifestanti anti-Morsi – l’alba di ieri s’è levata su sette morti e centinaia di feriti.
In una giornata così tesa e incerta che per ricordarne di uguali bisogna tornare alla caduta di Mubarak, si sono dimessi nove uomini dell’amministrazione, inclusi il direttore della tv di stato e il segretario della commissione elettorale che il 15 dicembre dovrebbe rendere possibile il referendum popolare nazionale sulla nuova Costituzione egiziana. S’è dimesso anche il cristiano Rafik Habib dalla carica di vicepresidente del Partito della Libertà e giustizia, il paravento politico dei Fratelli musulmani. Il suo abbandono in rotta con il presidente è un colpo duro per il gruppo islamista, perché Habib era un simbolo – sempre citato – di pluralismo e tolleranza . “Il nostro vicepresidente è un cristiano!”. Ora non più.
La Fratellanza – al potere con l’amministrazione Morsi – si sta facendo mangiare dalla paranoia. Accusa un complotto tra uomini d’affari corrotti, giudici nominati da Mubarak e opposizione violenta di voler deviare la transizione dell’Egitto verso la democrazia. Avvocati islamisti hanno denunciato Mohammed El Baradei, Hamdeen Sabahi e altri leader democratici per “spionaggio e tradimento”. Il presidente Morsi ha taciuto per due giorni, e il suo attesissimo discorso è stato annunciato non dal Palazzo, ma dal quartier generale delle Guardie presidenziali, come se si fosse calato già nei panni del dittatore assediato dal popolo (al momento in cui questo giornale è andato in stampa, Morsi non aveva ancora parlato).
La paranoia islamista nei confronti dell’opposizione ha portato Morsi a emettere il decreto “dittatoriale” del 22 novembre e ha provocato questa crisi, scrive – su Foreign Policy – Shadi Hamid, attento osservatore di politica egiziana e direttore d’area del Brooking Institute nella filiale di Doha in Qatar. La Fratellanza musulmana vedeva una minaccia esistenziale incombere all’orizzonte nella forma di sentenze giudiziarie che avrebbero presto dissolto d’autorità sia l’Assemblea costituente sia la Camera alta del Parlamento, già scampata al precedente dissolvimento per sentenza. I Fratelli sapevano, grazie a giudici simpatizzanti, che si preparava un annullamento del decreto di Morsi del 12 agosto – che stabilisce il controllo civile sui militari – e forse anche della legge elettorale che ha consentito le presidenziali. Altri Fratelli si dicono convinti che se il presidente non avesse agito preventivamente sarebbe cominciata una campagna di repressione contro il gruppo islamista, che sarebbe partita con la chiusura dei loro uffici e sarebbe finita con lo scioglimento definitivo della Fratellanza stessa.
Quanto questa minaccia esistenziale fosse plausibile non è dato saperlo, ma certo Morsi la credeva reale, perché non c’è altra spiegazione alla spirale discendente in cui s’è infilato. Ieri mattina si è riunito con i capi dei servizi segreti, con i generali e con i suoi consiglieri per trovare una via d’uscita dalla crisi, mentre le strade si riempivano di suoi sostenitori, armati anche con pistole, in pattuglia per dare la caccia ai manifestanti. Ora lo scenario che lui temeva s’è materializzato: l’opposizione si è davvero unificata contro di lui e vuole sul serio rimuovere dal potere i Fratelli musulmani, e il referendum sulla Costituzione potrebbe saltare.
Il Foglio sportivo - in corpore sano