Quella tentazione del Pd di soffiare sulla crisi di governo

Claudio Cerasa

Al di là delle affermazioni di rito e delle dichiarazioni di facciata, il succo politico della giornata di ieri dice che il Partito democratico – di fronte alla possibilità di andare al voto il prima possibile, di presentarsi alle urne con questa legge elettorale e di far passare il messaggio che è il Pdl (e non il Pd) che vuole far cadere in modo irresponsabile il governo Monti – non ci ha pensato due volte a leccarsi i baffi e a soffiare in modo convinto sulla prima scintilla della possibile crisi di governo.

    Al di là delle affermazioni di rito e delle dichiarazioni di facciata, il succo politico della giornata di ieri dice che il Partito democratico – di fronte alla possibilità di andare al voto il prima possibile, di presentarsi alle urne con questa legge elettorale e di far passare il messaggio che è il Pdl (e non il Pd) che vuole far cadere in modo irresponsabile il governo Monti – non ci ha pensato due volte a leccarsi i baffi e a soffiare in modo convinto sulla prima scintilla della possibile crisi di governo.

    Il primo soffio della giornata arriva ieri mattina intorno alle undici e mezza quando il capogruppo al Senato del Pd, Anna Finocchiaro, una volta appresa la notizia dell’astensione del Pdl sul voto di fiducia al decreto Sviluppo, nel giro di una manciata di minuti si presenta di fronte ai microfoni dei cronisti e annuncia che, stando così le cose, “il governo non ha più la maggioranze delle Aule parlamentari e a questo punto credo che Monti si debba recare al Quirinale”. L’invito rivolto al presidente del Consiglio di presentarsi urgentemente al Colle arriva negli stessi istanti in cui il leader dell’Idv Antonio Di Pietro chiede a Mario Monti più o meno le stesse cose suggerite a nome del Pd da Anna Finocchiaro (“Monti prenda atto che non ha più la maggioranza e vada dal presidente della Repubblica e rimetta il suo mandato”) e viene anche per questo osservato dal Quirinale con un certo sospetto: come se il Pd, nonostante le ripetute e leali promesse di fedeltà al governo, volesse cogliere al balzo l’occasione offerta dal Pdl di chiudere in anticipo l’attuale legislatura. La tentata accelerazione della crisi da parte del Pd, al Colle ha ricordato da lontano i concitati giorni del 2010: quando a fine anno Gianfranco Fini uscì dalla maggioranza, le opposizioni presentarono una mozione di sfiducia a Berlusconi e il capo dello stato prese invece tempo, e rimandò il voto di fiducia sul Cav. a dopo l’approvazione della legge di Stabilità. Anche in questa occasione, la strada scelta dal presidente della Repubblica sembra essere quella di verificare il destino del governo dopo l’approvazione della stessa legge (quella sulla Stabilità) ed è proprio partendo da questa volontà del Colle che si spiega la ragione del breve e improvviso colloquio telefonico avuto ieri pomeriggio subito dopo pranzo tra Giorgio Napolitano e Pier Luigi Bersani. Un colloquio in cui il presidente della Repubblica ha chiesto al leader del Pd di pazientare ancora un po’, e di non avere fretta, e in seguito al quale il Partito democratico ha rivisto in corsa la linea sulla crisi di governo – smettendo, insomma, di soffiare sul cerino accesso dal Pdl. “Rimettiamo ogni decisione nelle mani del capo dello stato ed è questo il senso delle parole di Finocchiaro di stamattina”, ha detto non a caso ieri pomeriggio dopo la telefonata del Quirinale il capogruppo alla Camera, Dario Franceschini, correggendo di fatto la sua parigrado al Senato.

    Al netto del piccolo chiarimento tra Pd e Quirinale, il clima da pre-crisi di governo – oltre a eccitare molti deputati democratici che ieri pomeriggio hanno visto nelle intemerate del Cav. l’unica speranza possibile di andare al voto a febbraio senza dover perdere troppo tempo nel fare complicate primarie per i parlamentari – è stato accolto con entusiasmo da una buona parte del centrosinistra, per alcune ragioni in particolare. Nel Pd a nessuno sfugge che una instabilità di governo può corrispondere anche a una instabilità dei mercati, ma oltre a questa considerazione ce ne sono altre che in queste ore vengono fatte dai vertici democratici. Da un lato una crisi di governo guidata da Silvio Berlusconi (che da ieri, dunque, è di nuovo in campo) rappresenterebbe un assist davvero ghiotto per il segretario del Pd per dimostrare plasticamente un concetto elementare: di là ci sono gli irresponsabili che non si preoccupano della stabilità del paese e di qui ci sono invece i responsabili che si preoccupano della governabilità e della tenuta del nostro sistema istituzionale. Dall’altro lato la vera ragione per cui il Pd ieri, istintivamente, non ha resistito alla tentazione di soffiare sul fuoco della crisi è che l’idea di avere un nemico preciso a cui rivolgersi durante la campagna elettorale costituisce l’occasione perfetta per Bersani per facilitare la creazione di un grande “comitato di liberazione nazionale” in cui mettere insieme le forze “anti populistiche” del paese e costituire così una sorta di “Tutti per Bersani” con cui andare alle urne e sbaragliare la concorrenza. Un progetto che oggettivamente è nelle corde di Bersani e che, per forza di cose, la presenza di Berlusconi in campo trasforma improvvisamente in una specie di rigore a porta vuota. “Altro che birra – commentava ieri sera un deputato del Pd vicino al segretario – qui, se Berlusconi confermerà di essere davvero lui il candidato premier, bisogna prepararsi a stappare con urgenza per Bersani un bel po’ di champagne”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.