I will try to fix you

Non c'è solo nero nel futuro dei giornali

Paola Peduzzi

Prima pagina a lutto, testata che perde i pezzi – letteralmente: alcuni caratteri sono accasciati sul fondo della pagina – una scritta su due righe, “alla fine tutto nero”, e dentro una foto con tante teste chinate, pelate, capellute, femminili, maschili, bionde, rosse, castane. Scusateci. Scusateci per i soldi perduti, per i consigli non ascoltati, per le critiche e gli orari di lavoro disumani, scusateci se oggi chiudiamo. Dopo dodici anni, il Financial Times edizione tedesca ha salutato ieri i lettori con un numero storico che raccoglieva articoli, dibattiti, un divano con su tanti giovani che leggono giulivi il Ft Deutschland, ricordo dei bei tempi andati.

    Prima pagina a lutto, testata che perde i pezzi – letteralmente: alcuni caratteri sono accasciati sul fondo della pagina – una scritta su due righe, “alla fine tutto nero”, e dentro una foto con tante teste chinate, pelate, capellute, femminili, maschili, bionde, rosse, castane. Scusateci. Scusateci per i soldi perduti, per i consigli non ascoltati, per le critiche e gli orari di lavoro disumani, scusateci se oggi chiudiamo. Dopo dodici anni, il Financial Times edizione tedesca ha salutato ieri i lettori con un numero storico che raccoglieva articoli, dibattiti, un divano con su tanti giovani che leggono giulivi il Ft Deutschland, ricordo dei bei tempi andati. Un groppo alla gola che non va giù: questa morìa dei giornali genera ansia non soltanto in noi che i giornali li riempiamo per lavoro, genera ansia in tutti i sinceri democratici, e pure in quelli falsi. Il pluralismo, signora mia.

    Per fortuna esistono antidoti naturali per cacciare indietro le lacrime, antidoti in carne e ossa e antidoti fatti di numeri e grafici. Questi ultimi sono stati pubblicati dall’Economist ieri (che ha anche una partecipazione nel Financial Times) e spiegano che l’encefalogramma dei media non è piatto. Si sta riempiendo di nuovi, gioiosi, rassicuranti sussulti. Non ci sono più i giornali di una volta, sia chiaro: ci sono sinergie multimediali, ci sono i giornali nelle edicole e i giornali sulla rete, ci sono contenuti interessanti e vivaci veicolati con modalità differenti. La notizia è che la qualità paga, anche nel turbinio anarchico della rete. La pubblicità è in calo ormai da tempo, e “Internet killed the paper star”, molti investitori preferiscono l’on line alla carta, ma il New York Times, per citarne uno sempre sull’orlo della crisi definitiva, per la prima volta in cinque anni recupera con le copie vendute quel che ha perso in investimenti pubblicitari. Poi ci sono le entrate provenienti dai contenuti on line, che sono cresciute grazie a miglioramenti tecnologici e all’inondazione di tablet e device che permettono di consultare i giornali on line: anche qui il modello di pagamento on line, introdotto tra mille polemiche dallo stesso Nyt, sta dando i suoi frutti (anche perché è stato scelto un modello di pagamento selettivo, si paga soltanto dopo aver avuto accesso gratis a un certo numero di articoli, così il lettore può sbirciare in giro senza che gli venga chiesto subito “sei registrato, abbonato, solvente?”). Ieri circolava voce che anche il Washington Post stia pensando di far pagare i contenuti on line, una rivoluzione per il quotidiano in crisi di identità che temeva – dice l’Economist – di non avere abbastanza lettori on line desiderosi di pagare per leggere quel che il Wp scrive.

    Il ragazzino che ferma le rotative
    L’antidoto in carne e ossa è Chris Hughes, milionario classe 1983 cofondatore di Facebook che ha comprato il magazine liberal New Republic. In un’intervista sul New York (da conservare) Hughes racconta la passione per la carta, l’ossessione di salvare il giornalismo di qualità dall’era digitale, la voglia di fare un magazine che faccia pensare, discutere, che venga gettato per terra dalla rabbia quando dice cose troppo provocatorie e che poi venga riposto nei raccoglitori con cura, come un oggetto prezioso (Hughes è uno che ha già bloccato le rotative una volta perché una copertina era troppo ironica su temi troppo seri).
    Accade tutto in America, ne conveniamo. Ma prima o poi arriverà anche qui, tutto arriva anche qui, anzi, presidente Obama, se non le dispiace accelerare i tempi, visto che con l’esportazione della democrazia non si diverte tanto, perché non ci esporta modelli di business e qualche Hughes clonato? E’ democrazia anche questa, giusto?

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi