Il catalogo è questo

Faccia da Grillo

Marianna Rizzini

Il Viminale fai-da-te di Beppe Grillo è apparso nottetempo, in un collegamento via Skype da casa sua, al termine delle “parlamentarie”, le primarie-non primarie on line: la penombra tutto intorno, un muro lontano, una luce fioca (o una candela) sullo sfondo, le ombre tremule come nella pancia della balena di Pinocchio. E lui, l’ex comico, con gli occhiali, forse le pantofole e quella frase solenne: “Stiamo scrutinando”. Chi, oltre a lui, non si sa. Ma s’immagina.

    Il Viminale fai-da-te di Beppe Grillo è apparso nottetempo, in un collegamento via Skype da casa sua, al termine delle “parlamentarie”, le primarie-non primarie on line: la penombra tutto intorno, un muro lontano, una luce fioca (o una candela) sullo sfondo, le ombre tremule come nella pancia della balena di Pinocchio. E lui, l’ex comico, con gli occhiali, forse le pantofole e quella frase solenne: “Stiamo scrutinando”. Chi, oltre a lui, non si sa. Ma s’immagina. E nell’oscurità si indovina il misterioso “staff” istruito da Gianroberto Casaleggio, lo spin doctor innamorato dell’America internettiana che mercoledì scorso ha incontrato Micheal Slaby, il guru di Obama (e che già anni fa era rimasto rapito dai “meet-up” di Howard Dean, motivo per cui ha poi deciso di importare in Italia la cosiddetta “democrazia digitale”).
    “Meraviglia umana! Risultato splendido!”, diceva Grillo gongolando come neanche “Gargamella” (Pier Luigi Bersani secondo l’ex comico) davanti ai dati che davano le donne in testa alle classifiche delle “parlamentarie” (17 su 31 capolista). Lo sottolineava, Grillo, questo dato, anche per smentire en passant la sua nomea di maschilista, diffusasi per il Web dopo la battuta da caserma fatta a Federica Salsi, la consigliera comunale bolognese rimproverata in pubblico per aver partecipato a “Ballarò” (“il talk-show è il vostro punto G”, aveva detto Grillo). Non ama che dal Pd gli si dica: “Fai politica dal tebernacolo”, l’ex comico, né rinuncia al “Kramer contro Kramer” con i comici di oggi: non gli è piaciuta l’imitazione dei candidati grillini fatta da Maurizio Crozza, castigatore del “de minimis” andato in onda in molti video di presentazione alle parlamentarie – magari non c’erano esattamente quelli che Crozza chiama difensori di pinoli nel pesto genovese, fabbricatori di paté di olive impegnati anche nel teatro Kabuki e creatori ventriloqui di colla di baccalà biodegredabile, ma il chilometro zero, il dentifricio fatto in casa, la lavastoviglie che cuoce le uova, il limone lavapiatti e “la melograna che sgomina i radicali liberi” sono comparsi davvero nelle autopresentazioni come prova di impegno dal basso del candidato, come se puntando sul dettaglio, sulla buona volontà da “banchetto-firme” e sul racconto spicciolo della battaglia antirifiuti si eliminasse in partenza il male e la complessità del mondo (e della politica).

    E insomma dal catalogo dei candidati e dei più votati visibile su YouTube spuntano sì esponenti dell’umanità che Grillo vorrebbe “abbracciare” – le cui “faccette di cazzo” vedete “sugli autobus o in metropolitana”, gente che “si fa un mazzo così per lavorare”, ha detto dallo scrutinio solitario – ma spunta anche una fiducia cieca nel verbo oracolare diffuso dall’uomo solo al comando (Grillo si è definito il “controllore” di chi andrà in Parlamento). Per molti aspiranti deputati e senatori non sembra essere un problema la storia della lettera di autorizzazione preventiva che i candidati hanno dovuto firmare: una volta eletti i soldi dei gruppi parlamentari per la comunicazione devono andare a una non precisata entità (la Casaleggio Associati?). Nell’imminenza della grande corsa pre-elettorale, molti candidati se ne infischiano delle “venti domande” che gli attivisti critici hanno rivolto a Grillo e a Casaleggio (per esempio: chi controlla i controllori? chi ha le chiavi del portale del M5s, quello da cui si accedeva all’area di voto? Chi garantisce su trasparenza e ricorsi?). La gente molto ottimista che si è presentata per le “parlamentarie”, e che ora è risultata candidabile, dovrà fare i conti con un sottobosco di malcontento sulla prova di selezione politica “unica” al mondo e a “costo zero”, così l’ha definita Grillo, citando i dati, cioè i 95 mila votanti autorizzati dall’ex comico per 1.400 candidati autorizzati sempre dall’ex comico (saranno anche una novità in Italia, ma non sono, per numeri e chiusura nell’accesso, la “democrazia diretta” per come i grillini la intendevano: non dovevamo poterci candidare tutti?, e non dovevamo poter votare tutti, a patto di essere incensurati?, chiedono citando il non-statuto). Il malcontento per il diktat del “si candida solo chi è già stato candidato ma non eletto”, spiegato con un “non possiamo offrire il fianco agli arrivisti dell’ultima ora”, si sfoga da settimane sulle bacheche dei dissidenti (anche epurati) come Valentino Tavolazzi, consigliere comunale a Ferrara. I candidati al Parlamento sono scampati alle “graticole” in carne e ossa, il casting toccato a quelli per le regionali (domanda iniziale: “Sei single?”, fatta soltanto per “conoscerli meglio”, hanno detto gli organizzatori, ma i paragoni con il “Grande Fratello” sono stati istantanei).

    A Roma le tre più votate sono donne (Federica Daga, Marta Grande e Roberta Lombardi, tutte sotto i quarant’anni), ma sempre a Roma, negli ultimi giorni, si è litigato a più non posso sui pochi posti in lizza, tanto che qualcuno si è chiesto desolato su Facebook: “Che cosa stiamo diventando?”. Ma chi si è presentato con l’entusiasmo a tutto tondo del neofita – “scriviamo la storia” – vede nel mantra dell’“uno vale uno” il viatico verso il paradiso, e per questo non si allarma per le incongruenze della democrazia “diretta” in cui a decidere sono in due (Grillo e Casaleggio). E’ solo all’interno dei confini disegnati dalla precisazione del padre-padrone (se uno si lamenta non fa parte del Movimento, ha detto Grillo) che possono esistere loro, i candidati. Perdenti e vincenti. Votati da pochi, e cioè dagli iscritti al M5s entro il 30 settembre 2012 (chi ha avuto molti voti, per dire, ne ha avuti 137, e infatti nei forum qualche attivista ha scritto: “Forse era meglio fare le primarie vere”). Sono facce da vita reale che sperano nella palingenesi della Rete che tutto salva (poi però ci si insulta tra confratelli su Facebook per questioni spicciole: perché quello si candida pure alle regionali?).

    Visti su YouTube, i candidati passeggiano sullo sfondo del mare d’inverno (come Giulia Grillo, capolista in Sicilia, medico e nuotatrice che, come il leader omonimo ma non parente, ha attraversato lo Stretto di Messina). Visti su YouTube, al di là dell’intenzione di comportarsi “come il buon padre di famiglia” – molti hanno studiato diritto, dicono – i candidati si attengono alle direttive e raccontano commossi la vocazione (“ho sentito qualcosa dentro di me, in modo naturale e sincero”, ha detto il trentottenne capolista napoletano Roberto Fico). Dicono unanimente di voler lottare per abbattere i costi della politica, e pensano tutti che diventando “i terminali” degli altri cittadini risolveranno i problemi ora insolubili. Qualcuno, come Patrizio Bimbi da Parma, occhiali enormi e immobile posa dietro al computer, espone la sua Weltanschauung in un comunicato di ben undici minuti: sono un project manager, mi sono occupato di “associazioni partigiane in Italia”, “ritengo sia importante partire da se stessi” e puntare su “orientamenti culturali forti” per potenziare “le energie morali”, senza rassegnarsi alla politica “desolantemente vuota” nella “lotta quotidiana per sbarcare il lunario”. Altri, ragazzi e ragazze, ma anche signori e signore di mezza età come Gianna Mannelli da Prato, sponsorizzata in video dalla nipotina, si siedono dietro scrivanie o su divani sgombri, con abiti scelti o al contrario dimessi, con volto scuro (“sembrano sequestrati”, dice scherzando un cronista parlamentare) oppure si arrampicano sui tetti come Stefano Vignaroli da Roma, trentaseienne impiegato nonché esperto di detersivo autoprodotto e diffusore di tecniche ecologiche nelle scuole (decimo a Roma e provincia).
    Fanno per lo più vite da dipendente, i candidati a Cinque Stelle; hanno figli, mogli e mariti, emigrano per trovare lavoro e lavorano nella pizzeria di famiglia pur laureati, ma tutti si raccontano nell’“avventura” che da qualche anno a questa parte li ha strappati “al menefreghismo” o all’idea del “ti lamenti ma tanto non cambia nulla”. All’orizzonte si muove, per tutti, una promessa di felicità e una fede (anche ingenua) in un avvenire da costruire tenendosi per mano ma dicendo “vaffanculo” al bau-bau (il politico, il ladro, il mascalzone) e ripartendo dal sottoscala della produzione a chilometro zero. La visione d’insieme è assente, l’autoironia latita: dobbiamo essere “pratici”, dicono, dobbiamo occuparci degli affari “locali”, ascoltare “le istanze”, dire da nord a sud “no agli inceneritori” (ma il sindaco grillino di Parma, Federico Pizzarotti, sta avendo qualche problema nel fermarlo, l’inceneritore).

    L’illusione collettiva è che tutto si metterà a posto come in un puzzle una volta spazzati via quelli che c’erano prima e una volta applicato alla lettera il programma a Cinque Stelle su rifiuti, ambiente, Internet, informazione, economia e trasporti (Grillo l’ha sintetizzato qualche settimana fa nel manifesto intitolato “not in my name”). A parole la fede nel non-statuto del Movimento e nel programma è totale: lo emenderemo “insieme”, dicono i candidati in coro con Grillo (che però intanto risolve tutto ai piani alti). Si spera in massa, tra bacheche e meet-up, nell’operatività della piattaforma internettiana Liquid feedback, usata dal partito dei Pirati nell’Europa del nord, e intanto ci si sforza di apparire affidabili (Daniela Di Virgilio, mamma trentenne, mette in video anche il figlio piccolo che gioca con un cubo per far passare il messaggio: lavoriamo per i nostri figli). Roberto Grassi dal Veneto è un altro degli innumerevoli grillini col pizzetto “da bancario che aspetta la promozione dallo sportello all’ufficio crediti, senza offesa per la categoria”, per dirla con un osservatore siciliano burlone che ha riscontrato nei candidati “molti cloni di Giancarlo Cancelleri”, consigliere a Cinque Stelle nell’Assemblea regionale siciliana. In un salottino, il candidato Grassi ripete il mantra sui “politici corrotti” e cita Gandhi (“prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, infine vinci”) proprio come l’aspirante senatore toscano Gianfranco Mannini (arrivato soltanto diciassettesimo nella sua circoscrizione), un sessantenne che si è messo davanti alla telecamera con un bavaglio, il volto teso in una smorfia e una serie di foglietti scritti: non ho voce, ecco perché vi parlo così, ma a nome dei “caretakers”, quelli che si occupano di anziani e disabili e non possono fare molto per avere fondi e aiuto dallo stato. Ho fatto lo sciopero della fame, ha scritto Mannini su uno dei biglietti sfogliati (lo dicevano i pannelliani, qualche tempo fa: caro Grillo voi ci copiate, ma se volete dialoghiamo).

    Il sincretismo movimentista recupera metodi radicali e verdi, ricicla istanze dei no-global di Seattle, si sente molto nuovo (“chi l’avrebbe mai detto, all’inizio, che saremmo arrivati qui?”, dicono i partecipanti alle parlamentarie). Qualcuno è affascinato da altri mondi: il trentaquattrenne Alessandro Di Battista, arrivato quarto per la Camera a Roma, si presenta come “giornalista d’inchiesta” esperto di criminalità organizzata (uscirà presto un mio libro per la Casaleggio Associati, dice, ché Casaleggio parla per profezie ma di mestiere si occupa di e-commerce). Racconta un viaggio in una comunità zapatista, Di Battista, perché lì ha letto la frase cui si ispira: “Qui comanda il popolo e il governo obbedisce”.

    A Bologna i candidati si sono presentati anche di persona ai votanti, sotto la guida del dissidente Giovanni Favia, peraltro confermato a gran voce dalla base. C’erano, tra gli altri, Giulia Sarti, studentessa, e Mara Mucci, la giovane mamma disoccupata che ha perso il posto quando ha detto al datore di lavoro “sono incinta” (nel video garantisce “sobrietà”), entrambe ai primi posti. Sono le donne di cui Grillo parlava nel messaggio dalla bottiglia durante lo scrutinio, citando anche l’astrofisica piemontese Daniela Albano (qualche possibilità per il Senato). La maggioranza dei prescelti non scherza con gli slogan come il candidato diventato famoso sul Web per il suo “Vota Piluso contro ogni sopruso”, e non fa comizi alla “VotaAntonio” perché l’ordine superiore è tenere a freno l’individualismo. La futura classe dirigente grillina è infatti, per volere del deus ex machina, senza esperienza. Saranno più plasmabili? Meno riottosi? Nessuno può saperlo (nel M5s nessuno è dissidente fino a che Grillo non si arrabbia in un post per qualcosa che ai più non pareva degna di nota).

    Sulla via del Parlamento, attenti a non emergere troppo (pena la scomunica), si dispongono ora trentenni e quarantenni, lavoratori dipendenti, geometri e ingegneri, qualche commerciante, qualche casalinga, studenti, esperti di export, infermieri, operai, insegnanti, qualche avvocato convertito all’equo e solidale. Abbondano gli esperti di riciclo : la capolista di Roma, Federica Daga, 36 anni, capelli lunghissimi e sciarpa arcobaleno, si presenta mentre cammina in un parco. Poi indica un’aloe e mostra “oggettini” utili a raggiungere l’obiettivo “rifiuti zero”.

    Al di là dei risultati (con polemica istantanea nei forum), le parlamentarie sono l’autodescrizione di un ceto medio preoccupato (e impoverito) su sfondo di nature morte, frigoriferi o armadi bianchi. Molti ripetono, forse per autoconvincersi, la lezione sulla “trasparenza” disattesa dai vertici. Molti si definiscono “marea”, “onda”, “rivoluzione pacifica”. Alcuni si sentono, come Vito Crimi, capolista in Lombardia, “collettori di intelligenza collettiva”. E non pochi narrano del “sacrificio” di candidarsi parlamentari – e vabbè che si decurteranno lo stipendio e restituiranno i rimborsi, ma perché negare a se stessi l’umana ambizione che tanto poi si sfoga nei mugugni sulle candidature ristrette? E perché, poi, i candidati precari o mal retribuiti, come il resto dei precari e dei mal retribuiti, non dovrebbero considerare con sollievo l’idea di un seggio alla Camera o al Senato, ferma restando la passione politica? Ma no, non si può dire: bisogna sforzarsi di cacciare sotto le scarpe ogni ombra di spinta individualistica anche salutare. Siamo tutti uguali, tutti interscambiabili, chi entra entra. La capolista umbra Tiziana Ciprini, impiegata trentasettenne, non appare neanche in video: al posto suo c’è una sagoma con il buco per la testa, come a Gardaland, e dal buco si affacciano via via attivisti sconosciuti: “Gira la faccia”, si intitola il filmato, summa del pensiero “non autocelebrativo”. Per fortuna di Grillo, però, non sono davvero tutti interscambiabili: non hanno raggiunto i primi posti, infatti, i candidati”macchietta” come Alberto Magarelli da Roma, quello che dice “damoje foco” da dentro (ai politici), scuotendo il codino da ex ragazzo cresciuto “ar Quarticciolo” e ridendo come un pazzo all’idea di essere chiamato “populista” (“io so la ggente, parlo con me stesso, me mando affanculo da solo”). Non sono arrivati tra i primi neppure gli eccentrici (con passato in un altro movimento) come Giandiego Marigo da Codogno, una specie di Danny De Vito “povero vero” e “poeta di strada”.

    La “felicità sociale” cercata dal candidato Anthony Santelia dal Friuli – felicità che nessuna ideologia crollata promette più – i Cinque Stelle se la raccontano da soli con l’aiuto della catarsi&resurrezione promessa dall’ex comico Grillo, ora serissimo, e dal suo profeta catastrofista Casaleggio, quello che ci sogna tutti Avatar su Google, tutti liberi e nessuno libero, tutti che controllano e nessuno che può controllare i veri controllori. Il giornalista Mauro Suttora, dopo aver “frequentato e votato sessantottini e radicali, verdi, leghisti e dipietristi”, come scrive su Sette, si è “affidato abbastanza disperato a Grillo”, infiltrandosi da “interno” alle riunioni e constatando che ai meet-up “non c’è mai tempo per parlare guardandosi negli occhi. Solo Web, computer e Smartphone per gente sempre connessa. Ma connessa a cosa, mi domando… Grillo predica la Rete non più come mezzo ma come fine, e i seguaci più pedissequi la mettono sull’altare come i rivoluzionari francesi sostituirono Dio con la Dea Ragione, a fanatismo inalterato”.

    Il dubbio che qualcosa non quadri squarcia la felicità del post parlamentarie” (felicità di Grillo, più che dei suoi, vista la grande quantità di esclusi che tuttora si lamentano). E infatti, tra i grillini che in questi giorni, a Roma, litigavano per i soliti sospetti (“doppiogiochisti, snaturate il movimento”) a un certo punto è spuntata la domanda: “Ma perché questo arrembaggio? Sarà l’ansia di trovare un posto nel mondo?”. 

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.