Il presidente riluttante

L'Europa candida Monti a capo del centrodestra, il Cav. ci sta, lui tituba

Salvatore Merlo

Lo sapeva Angela Merkel, lo sapeva Wilfried Martens, ovvero il presidente del Ppe che lo ha scortato nella stanza tra gli sguardi sorpresi di taluni, e lo sapeva anche Franco Frattini che ci lavorava da una settimana. Silvio Berlusconi invece ieri ha appreso solo a pochi minuti dal pranzo che anche Mario Monti si sarebbe seduto a tavola con i vertici del Partito popolare europeo a Bruxelles, una riunione di partito non un vertice istituzionale (“qui mi sento a casa”, ha detto il professore).

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    Lo sapeva Angela Merkel, lo sapeva Wilfried Martens, ovvero il presidente del Ppe che lo ha scortato nella stanza tra gli sguardi sorpresi di taluni, e lo sapeva anche Franco Frattini che ci lavorava da una settimana. Silvio Berlusconi invece ieri ha appreso solo a pochi minuti dal pranzo che anche Mario Monti si sarebbe seduto a tavola con i vertici del Partito popolare europeo a Bruxelles, una riunione di partito non un vertice istituzionale (“qui mi sento a casa”, ha detto il professore). Ma il Cavaliere non ha fatto una piega, il suo intervento di fronte agli altri leader era già preparato, concordato, e doveva essere – com’è stato – una dichiarazione di fede europeista dal sapore esplicitamente montiano: “Se si candida lui io mi ritiro”. La presenza del professore a Bruxelles è servita a suggellare la sua iscrizione di fatto al centrodestra europeo: la sua missione, se alla fine dovesse convincersi ad accettarla fino in fondo, è quella di rifondare in Italia una destra “normale” proponendosi come candidato o federatore di un ampio rassemblement dei moderati. Il professore, che ancora tentenna, è blandito, pressato, circondato non soltanto dalla potenza tedesca di Merkel (preoccupata dal programma del Pd alleato di Nichi Vendola), ma anche dal sistema finanziario europeo, dal Fondo monetario internazionale e dai cosiddetti poteri forti italiani, i pezzi grossi del patto di sindacato del Corriere della Sera: Marco Trochetti Provera, John Elkann, Diego Della Valle. Come dice un banchiere oggi un po’ defilato ma un tempo principe della scena: “Sono loro, con tutto il salotto milanese, a volere Monti”. Il professore si è già spinto in avanti, ha preso contatti diretti con gli attori politici del centrodestra in disarmo e a Gianni Letta ha fatto sapere che “non sussisterà mai una pregiudiziale” che impedisca a Berlusconi di candidarsi in Parlamento, con una lista collegata. Eppure Monti rilutta: non è sicuro di un passo dirompente per la sua biografia, il suo profilo e le sue inclinazioni naturali. Come dice un vecchio amico, fedele, di Berlusconi: “Si candiderà solo se la vittoria è sicura”. Pier Luigi Bersani è preoccupato e in tutta fretta ieri ha manifestato un’apertura politica, rassicurante, al centro di Pier Ferdinando Casini.

    Se la destra dal profilo “no euro” agitata negli ultimi tempi dal Cavaliere non piace agli ambienti finanziari nazionali e internazionali, è il centrosinistra italiano – vincente secondo i sondaggi – a preoccupare di più. Il programma del Pd alleato di Nichi Vendola è visto in questi termini: rottamazione di Monti e delle sue riforme a cominciare da quelle criticate esplicitamente da Bersani, cioè le pensioni e il lavoro; e poi: patrimoniale sugli immobili. L’unico soggetto in grado di fermare l’avanzata di una sinistra dal carattere socialdemocratico, come pensano anche dalle parti di Rcs, è una federazione di liste e partiti di ispirazione cattolico-liberale guidata da Monti. E ieri lo hanno voluto esplicitare anche i vertici politici del Partito popolare europeo, in particolare il cancelliere tedesco Merkel che ha deciso di partecipare al pranzo di Bruxelles soltanto quando le è stato detto che Monti sarebbe stato presente. Il vertice è stato politico, tutto incentrato sulla “questione Italia”, ed è suonato come l’iscrizione di Monti al Ppe. Il suo primo atto da uomo di partito.

    Il Pdl, o parte di esso, si sta predisponendo a schierarsi nella nuova federazione: Gianni Alemanno, Roberto Formigoni, Gaetano Quagliariello e Maurizio Sacconi (assente Raffaele Fitto) si incontrano domenica per fondare “Italia popolare”, un’avanguardia pronta a sostenere il professore e in caso a separarsi dal resto del partito qualora Berlusconi non fosse conseguente con le sue ultime, e sempre mobili, inclinazioni. Nel Pd monta la preoccupazione perché gli ambienti democristiani del partito sentirebbero anche loro un forte richiamo. Bersani ha rivolto messaggi espliciti a Monti: sei una risorsa, ma solo se non ti candidi. Parole che vengono lette come un riferimento all’ipotesi di una candidatura del professore al Quirinale. Tocca a Monti decidere, entro pochi giorni ormai. I sondaggi danno una sua ipotetica lista al 10 per cento, ma il risultato sfiora il 30 se attorno a lui si ricostituisce un ampio centrodestra. “Per decidere ora sfoglia solo i sondaggi”, dicono.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.