Tutti per Monti

I fantasmi del centro

Claudio Cerasa

Quella che vi proponiamo in questa pagina è una fotografia di tutto quello che in questi giorni si muove nell’inafferrabile (eufemismo) mondo del centro montiano italiano. Un mondo che, come vi sarete accorti, è impegnato da mesi a portare avanti una missione non proprio semplice che più o meno corrisponde al voler creare un grande partito che non si chiama partito e che si ritrova con un numero indefinito di leader che sono riusciti nella non facile impresa di essere allo stesso tempo in campo senza però essere tecnicamente in campo.

    Quella che vi proponiamo in questa pagina è una fotografia di tutto quello che in questi giorni si muove nell’inafferrabile (eufemismo) mondo del centro montiano italiano. Un mondo che, come vi sarete accorti, è impegnato da mesi a portare avanti una missione non proprio semplice che più o meno corrisponde al voler creare un grande partito che non si chiama partito e che si ritrova con un numero indefinito di leader che sono riusciti nella non facile impresa di essere allo stesso tempo in campo senza però essere tecnicamente in campo. In queste righe troverete insomma un catalogo con cui orientarvi quando nelle prossime ore sentirete tirare fuori dai giornali e dalle televisioni e dai politici espressioni non sempre perfettamente inquadrabili come “Lista per l’Italia”, “Grande rassemblement”, “Patto per il centro”, “Movimento per l’Italia” e tutte le altre complicate parole che ci accompagneranno fino alla formazione di quella che (forse il 20 dicembre) presto si trasformerà in un “grande listone nazionale” – all’interno del quale dovrebbero riconoscersi molti dei così detti montiani. Troverete quindi, in queste righe, a diverso titolo, il casiniano, il montezemoliano, l’ipermontiano e lo scissionista che non si scinde mai ma che stavolta forse potrebbe scindersi davvero. In realtà, avevamo provato a scrivere qualcosa anche su un’altra categoria che fa parte delle anime centriste ma dovendo approfondire in modo non superficiale la figura del finiano e del rutelliano abbiamo incontrato difficoltà a descrivere due correnti che un tempo rappresentavano sì una parte significativa del centro ma che invece oggi rappresentano, più che una corrente di pensiero, grosso modo il singolo pensiero del fondatore di quella corrente, e dunque siamo andati avanti e ci siamo concentrati su queste altre categorie dell’essere centrista. Cominciamo con il primo: il casiniano.


    Il casiniano. Il casiniano puro è molto impaurito ma anche molto determinato, è molto travagliato ma anche molto esaltato, è molto agitato ma anche molto elettrizzato e solitamente passa le sue giornate a lanciare il suo “ultimatum”, a proporre il suo “patto”, a porre il suo “veto” e a ripetere un numero indefinito di volte frasi come “responsabilità delle istituzioni”, “accelerazioni nelle riforme”, “sintonia con Napolitano”, “unione dei moderati”, “andare oltre i poli”, “ascoltare i mercati”; citando in tutto questo le espressioni “Ppe” e “agenda Monti” con la stessa commozione con cui i nativi digitali scandiscono la parola “app”. Il casiniano puro – che come è noto non vende sogni ma solide realtà – con una certa costanza dice di voler correre da solo, di non voler allearsi con nessuno, di non voler stringere nessun accordo per carità e di volersi soltanto occupare di essere all’avanguardia nel nobile progetto di aggregare le famose forze moderate. Il casiniano puro però conosce i sondaggi e conosce le regole, conosce i numeri e conosce le proiezioni, conosce le leggi e conosce il Porcellum (ah, quello sbarramento…) e sa che oggi correre da solo senza avere un partito e senza avere un candidato e soprattutto senza avere neppure un granaio (siculo) potrebbe essere davvero molto rischioso. E per questo, il casiniano non passa giorno senza che lasci intendere – più o meno con la stessa abilità con cui Walter Veltroni da sindaco di Roma lasciava intendere di essere contemporaneamente tifoso della Roma, della Lazio senza nulla togliere alla Juventus – di non avere nulla in contrario a un’alleanza con un governo guidato da Pier Luigi Bersani; fermo restando di non avere però nulla in contrario a un’alleanza con un governo guidato da Mario Monti; fermo restando di non avere però nulla in contrario a un’alleanza con un governo guidato da Luca Cordero di Montezemolo; fermo restando però di non avere nulla in contrario a un’alleanza con un governo guidato da un nome a scelta tra Corrado Passera, Andrea Riccardi ed Emma Marcegaglia. Il casiniano puro solitamente stravede per Massimo D’Alema, partecipa almeno una volta a settimana ad appassionanti convegni sui “cattolici e la politica”, parla in politichese stretto, ha le fibrillazioni ogni volta che sente nominare la parola “Colle”, studia a memoria i moniti del presidente, riempie le pagine dei giornali con dichiarazioni malignamente studiate per essere comprese solo da una cerchia ristretta di fortunati eletti, chiede sempre di non tirare nessuno per la giacchetta, promette sempre di aprire molti “cantieri”, annuncia almeno una volta al mese la nascita di un grande “soggetto” per andare “oltre i poli”, proclama ogni ora la fine del bipolarismo (preferibilmente con un’intervista al Corriere della Sera), chiede ogni fine settimana di andare oltre gli schieramenti (preferibilmente con un’intervista al Corriere della Sera) e assicura anche qui grande costanza e, ridendo sotto i baffi, di non voler rifare una nuova Dc, no no. Ogni giorno, poi, quando si sveglia, per capire se è il giorno delle aperture a sinistra o delle aperture al centro o delle aperture a destra, non disponendo di un mattinale il casiniano è lì che fruga e che rovista tra le rassegne stampa per cercare un’intervista, una chiacchierata, una dichiarazione o quantomeno un colloquio rilasciato da Casini a questo o quel giornale per capire meglio il senso da dare alla lunga giornata parlamentare (nel dubbio, se non ci sono interviste, si imparano a memoria le prime tre pagine del Messaggero). Il casiniano puro poi – che solitamente è molto belloccio, molto curato, molto ingessato, molto brizzolato e con la cravatta e il dopobarba da statista provetto – pur non potendolo dire, e pur non potendolo direttamente condannare, osserva sempre con un pizzico di avversione l’altra grande tipologia del casiniano: quello cioè di rito meridionale, quello con accento marcato, quello che i suoi antipatizzanti chiamano “casiniano modello Felice Caccamo”, e quello che in cuor suo (pur sapendo che il casiniano impuro magari non porterà bene la cravatta ma porta comunque in dote quei due o tre voti indispensabili per avere due cristiani al Senato) il casiniano doc consideran troppo lontano anche esteticamente dal cerchio magico Calta-familiare e per questo ogni tanto tratta con la stessa sufficienza con cui nei grandi giornali i grandi inviati si rivolgono al povero martire di turno che passa i giorni a battere le dita sulla famosa macchina. Il casiniano puro, infine, sogna naturalmente un Monti dopo Monti, ma essendo anche uomo di sostanza ogni mattina, prima di cercare l’intervista sul giornale, tra sé e sé pensa che certo, va bene tutto, va bene andare da soli, va bene il Terzo polo, va bene la coerenza, va bene Monti, ma se poi quelli lì prendono tutta la maggioranza e ci lasciano le briciole, oltre a sognare un Monti dopo Monti chi ci assicura di avere un seggio dopo un seggio e di avere una solida realtà dietro a quel magnifico sogno?

    Il montezemoliano. Il montezemoliano perfetto è molto cauto, molto prudente, molto misurato, molto controllato, molto acconciato, molto pettinato e abitualmente passa le giornate a muoversi con circospezione e con ponderatezza per dare l’impressione a tutti gli osservatori di essere pronto ad annunciare da un momento all’altro qualcosa di davvero molto importante. Il montezemoliano perfetto solitamente sta sempre attento però a non annunciare mai qualcosa di decisivo o qualcosa di importante perché sa che la sua forza è proprio quella di essere percepito come il portatore sano di una verità misteriosa la cui rivelazione deve essere sempre abilmente rimandata per non interrompere così all’improvviso l’emozione di una grande attesa. Il montezemoliano perfetto – che vive dunque come se fosse impegnato a descrivere ogni giorno il grande avvento di qualcosa di così alto e così elevato che ai più solitamente risulta essere ai limiti dell’indecifrabile e dell’inafferrabile – è tendenzialmente un uomo o una donna di sinistra che, forte anche della sua grande e decantata esperienza internazionale, non si rassegna a fare i conti con questa sinistra e sogna di avere un’altra sinistra così diversa dalla sinistra che spesso tende a non avere nulla a che fare con la parola sinistra. Il montezemoliano perfetto, inoltre, tra una citazione e un’altra della parola “rassemblement” (scandita sempre con gvande consapevolezza e gvande senso di pvofondità), passa buona parte delle sue giornate a spiegare perché l’Unione di Bersani rischia di trasformarsi nell’Unione di Prodi, imposta molte delle sue accurate analisi sul centrosinistra come se il ballottaggio di qualche domenica fa fosse stato vinto non da Pier Luigi Bersani su Matteo Renzi ma da Maurizio Landini su Oliviero Diliberto, e pur essendo intrinsecamente e inconfessabilmente e profondamente simpatizzante del sindaco di Firenze, quando Bersani ha vinto il secondo turno il montezemoliano ha tirato un bel sospiro di sollievo e ha ricominciato a giocare nuovamente con le figurine dei parlamentari e dei sottosegretari del secondo governo Prodi (tra parentesi, il montezemoliano cita almeno una volta al mese il nome di Franco Turigliatto). Il montezemoliano perfetto, inoltre, si muove solitamente come se fosse pronto da un momento all’altro a salire al Colle per giurare da ministro e – pur sapendo di essere costantemente sotto la luce del riflettore, e pur sapendo che per un montezemoliano anche la scelta di prendere un aereo al posto di un treno potrebbe essere letta come un segnale di insofferenza per il proprio capo – si fa spesso coraggio e anche a costo di sembrare banale prova ad affermare ogni giorno una verità elementare: che la sinistra per essere una vera sinistra non deve essere come questa sinistra; che la destra per essere una vera destra non deve essere come questa destra; che gli imprenditori che vogliono fare politica non possono fare come hanno fatto finora tutti gli imprenditori che hanno fatto politica; e che le forze politiche che vogliono fare un salto nel futuro devono necessariamente “aprirsi alla società” e naturalmente (qualsiasi cosa significhi) “superare gli steccati”. Il montezemoliano perfetto, infine, ha spesso il terrore di essere confuso con Fini e con Rutelli, ripete quando ne ha occasione che il nostro paese deve fare i conti con un grande “fallimento della politica”, indica periodicamente come unica e necessaria prospettiva per l’Italia la costruzione di (sic) “un edificio che abbia come pietra angolare la fiducia e il coraggio” e, pur essendo molto ottimista, pur essendo molto fiducioso, pur non fidandosi dei sondaggi e pur ripetendo giorno e notte che-però-ci-sono-gli-astenuti-e-gli-indecisi-da-considerare, vive con una certa serenità e una certa eleganza la sua piccola (eufemismo) contraddizione di fondo. Il fatto cioè di essere parte di uno dei pochi partiti in Italia che non si chiama partito che ha un leader che non è un leader che sponsorizza un partito che in realtà è una lista e che sogna di mettere a capo di questa lista un leader che non si è ancora candidato e che forse non si candiderà mai.

    Lo scissionista. Lo scissionista di sinistra che sogna di essere centrista pur non essendo in grado di lasciare il proprio orticello coltivato da tempo lì a sinistra è un politico anomalo che non si sente né di centro né di destra né tantomeno di sinistra e che ha costruito il suo consenso e il suo profilo dando sempre l’impressione di essere pronto da un momento all’altro a fare il gesto clamoroso e prendere il passaporto e trasferirsi in un altro stato. Lo scissionista di sinistra che sogna di essere centrista ma continua per forza di cose a chiedere un posto nelle liste di sinistra descrive il suo partito come fosse ancora guidato da Achille Occhetto; parla sempre di “Pds” al posto di “Pd”; mostra dei mancamenti di fronte al nome di “De Gasperi”; chiede spesso al suo segretario di non farsi dettare l’agenda da Nichi Vendola; ripete con costanza che con Di Pietro e con Vendola non si può governare; dice dalla mattina alla sera che al paese serve “un’innovazione e un cambiamento”; parla spesso di “valori”, di “etica”, di “patto sociale”, di “rotta da invertire”; sostiene di essere costantemente “in contatto” con Corrado Passera e con Raffaele Bonanni (ma vanta anche consuetudini con Savino Pezzotta); ha ottimi e indecifrabili “rapporti” con il mondo americano; sostiene di avere ottime e indecifrabili “entrature” nell’universo vaticano; e tra una cosa e un’altra nel corso degli anni ha imparato a indossare perfettamente i panni della famosa guardia di confine: quella cioè che minacciando ogni giorno di superare il valico ottiene spesso laute ricompense per posare in terra la valigia e aspettare almeno un altro giro. Lo scissionista di sinistra che sogna di essere centrista ma senza rinunciare al suo orticello lì a sinistra oggi però si trova in difficoltà e, pur essendo sempre pronto a minacciare in qualsiasi momento del giorno e della notte (preferibilmente con un’intervista al Corriere) di uscire fuori dal recinto del proprio partito, adesso, osservando il nuovo messia bocconiano, inizia a fare due calcoli e quasi quasi un pensierino ce lo fa. Pensa che con Monti in campo un nuovo mondo è possibile. Pensa che con Monti in campo una nuova Dc è possibile. Pensa che con Monti in campo una nuova fase è possibile. E pensa soprattutto che se Monti si candida prima che il Pd faccia le sue parlamentarie allo scissionista di sinistra potrebbe persino convenire questa volta emigrare per evitare di farsi contare e sperare così di continuare a pesare. Lo scissionista di sinistra che sogna di essere centrista ma senza rinunciare al suo tesoretto di parlamentari ben protetto lì a sinistra sa però che una sua scissione non è cosa così elementare, e preferisce dunque immaginare un altro scenario su cui provare a ragionare. Lo scissionista di sinistra non lo può ammettere ma sa perfettamente che il modo migliore per valorizzare il suo tesoretto è quello di non muoversi dal suo partito, di continuare a presidiare il confine, di non far cadere dalla mano il passaporto e di sperare che alle prossime elezioni non esca alcun vincitore ed esca invece dal cilindro di nuovo il nome del grande professore. Lo scissionista di sinistra che sogna di essere centrista pur non essendo in grado di lasciare il proprio orticello coltivato lì a sinistra sa però di correre il rischio di fare la fine di Rutelli e di Fini e di vedersi insomma un giorno non solo bocciato e criticato da un qualsiasi Lorenzo Dellai ma anche di ritrovarsi – dopo avere per anni criticato le scelleratezze del “partito solido” – in un partito così liquido da sembrare magnificamente gassoso. E dunque, nel dubbio, per non diventare come l’amico Rutelli, lo scissionista di sinistra incoraggia Monti a scendere in campo, incoraggia gli amici del centro a organizzare il campo ma sempre stando bene attento a non perdere i posti preziosi conquistati negli anni a forza di minacciare continuamente di cambiarlo lui, il campo.

    L’ipermontiano. L’ipermontiano genuino si distingue da tutte le altre creature di centro per essere riuscito nella non facile impresa di ritrovarsi in campo senza essere davvero lì in mezzo al campo. L’ipermontiano solitamente ha molte cattedre, molti cognomi, molti titoli di studio, si muove con lo stile di chi è pronto a occupare in qualsiasi momento della giornata un qualsiasi sottosegretariato di un qualsiasi governo e in buona sostanza si divide in due grandi categorie di spirito. Da una parte esiste l’ultrà del montismo che si nasconde in ogni dove e in ogni schieramento e che in nome del terzismo non perde occasione per ringraziare pubblicamente il presidente del Consiglio per avere dato dignità a tutta quella nobile fetta del paese abituata a confrontarsi più con gli editoriali dei grandi giornali che con i voti degli elettori; e che oggi non può che rallegrarsi dall’avere un candidato che potrebbe essere candidato a qualsiasi cosa e che potrebbe fare qualsiasi cosa senza avere neppure bisogno di verificare se esiste qualche italiano davvero disposto a votarlo. L’ultrà del montismo, paradossalmente, quello cioè che senza respirare sa recitarti a memoria l’elenco dei Barroso dei Van Rompuy degli Juncker delle Merkel dei Martens dei Münchau e di tutti gli altri endorsement ricevuti in Europa dal professor bocconiano, lo noti più che al centro negli schieramenti alternativi a quella che un domani dovrebbe essere la famigerata Lista di Centro. A destra, l’ultrà del montismo lo noti perché è quello che in nome dell’Europa, dei mercati, dello spread, delle riforme, dell’autorevolezza e del prestigio internazionale (pur avendo idee profondamente diverse da quelle del professore e pur avendo costruito parte della propria carriera spiegando perché la politica non può essere schiava delle banche, dei mercati e del capitalismo), utilizza il nome di Monti per criticare indirettamente il fondatore del proprio partito (nel frattempo però diventato montiano) e per dimostrare che, pur non avendo un nuovo leader, un leader loro ce l’hanno, eccome se ce l’hanno. Dall’altra parte, il montiano di sinistra sostiene di essere montiano prima che Monti stesso si scoprisse montiano e mentre osserva con distacco il Monti che partecipa a braccetto con la Merkel alle riunioni del Ppe è lì che prova a dimostrarti con coraggio che il Monti che viene pubblicamente elogiato da tutti i grandi leader di centrodestra d’Europa è in realtà il simbolo di un nuovo riformismo squisitamente di centrosinistra. Accanto all’ultrà del montismo esiste poi una categoria assai sofisticata e assai diffusa di montiani in sonno che, pronunciando con orgoglio e con dubbia consapevolezza la frase “diciamo sì all’agenda Monti”, si dice genericamente montiana ma senza entrare nel merito e facendo anzi dell’assenza di argomentazioni rispetto alla famosa “Agenda Monti” un proprio personalissimo punto di forza. Accanto a queste due tipologie, gli ipermontiani hanno poi imparato a conoscere anche un’altra curiosa creatura cresciuta all’ombra del governo del professore. Una creatura che ha passato gli ultimi anni della sua vita a parlare con tono solenne di “vizi della casta”, “malcostumi della casta”, “privilegi della casta” e che dopo avere insomma trascorso molto tempo a spiegare perché la politica ha fallito (cfr. montezemoliano) oggi che finalmente ha scovato l’editorialista giusto cui affidare la risoluzione di tutti i problemi creati dalla famigerata “casta” si ritrova nella strana condizione di osservare i sondaggi e vedere molto in alto uno strano politico che ha fatto propria la battaglia contro la casta ma che non si chiama Mario Monti ma si chiama semplicemente Beppe Grillo. L’ipermontiano però, pur essendo un vecchio romanticone che più che ai dati pensa agli ideali e soprattutto ai valori (cfr. scissionista), ogni tanto però uno sguardo ai numeri glielo dà: ed è proprio quando fa due calcoli che si rende conto che una discesa in campo del proprio beniamino sarebbe più che necessaria per evitare un rischio concreto che tormenta i montiani di ogni rito. Un rischio riassumibile con una buona battuta che ogni montiano pronto a spendersi per Monti in queste ore non manca di fare. Che va bene fare di tutto per creare attorno a Monti una grande e formidabile aura da riserva della Repubblica, ok, ma se poi la riserva della Repubblica non entra in campo che fine faranno tutti questi meravigliosi panchinari con tutti quei doppi cognomi? Nel dubbio però il montiano prepara la strada al suo beniamino e si spende ogni giorno per dimostrare che Monti non è una parentesi, che il montismo non si può superare e che qualsiasi cosa succederà nei prossimi mesi l’Italia semplicemente – voti o non voti, elettori o non elettori – non potrà fare più a meno dell’agenda del professore. Il tutto però sempre con la convinzione che in fondo in fondo al Prof. convenga non contarsi troppo per continuare un domani a pesare molto nel futuro del paese.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.