Il Dio dei sensi
Raccontano che per Riccardo Schicchi il sesso fosse estenuante ricerca. Di cosa? “Del mistero profondo” dice Andrea Minuz, docente di Cinema e cultura visuale alla Sapienza di Roma, che nelle ore successive alla morte del re del porno italiano si è inventato qualche riga che, dice, avrebbe potuto scrivere Avvenire. “Uomo di una religiosità schiva e trattenuta, sino all’ultimo si era interrogato sul senso della fornicazione, aveva scrutato nei suoi abissi, e annaspato tra le macerie spirituali del piacere. Schicchi era un grande appassionato di cinema e di fotografia, nonché amante della bellezza. E alla ricerca della bellezza ha dedicato la sua vita di imprenditore, oltre che di uomo e di marito.
Raccontano che per Riccardo Schicchi il sesso fosse estenuante ricerca. Di cosa? “Del mistero profondo” dice Andrea Minuz, docente di Cinema e cultura visuale alla Sapienza di Roma, che nelle ore successive alla morte del re del porno italiano si è inventato qualche riga che, dice, avrebbe potuto scrivere Avvenire. “Uomo di una religiosità schiva e trattenuta, sino all’ultimo si era interrogato sul senso della fornicazione, aveva scrutato nei suoi abissi, e annaspato tra le macerie spirituali del piacere. Schicchi era un grande appassionato di cinema e di fotografia, nonché amante della bellezza. E alla ricerca della bellezza ha dedicato la sua vita di imprenditore, oltre che di uomo e di marito. Nato nel 1952 ad Augusta, in Sicilia, battezzato nella chiesa di San Francesco di Paola; qui ancora oggi lo ricordano come un bambino pieno di vita e curioso delle cose del mondo. Ben presto aveva lasciato questa terra umile inseguendo la sua indomabile vocazione artistica. Si era avvicinato al mondo della radiofonia privata prima, e della cinematografia sperimentale, poi. A partire dagli anni Ottanta, iniziano i primi successi come regista. Successi di cassetta, costruiti con intuito indubbio verso un mercato stravolto dall’arrivo del videoregistratore domestico nelle case degli italiani. Le sue scelte controverse, i problemi con la giustizia, le amicizie pericolose, peseranno certo a lungo su una carriera artistica il cui valore non sta a noi qui stabilire. Oggi lascia anzitutto due figli e molti interrogativi. Ma anche una certezza. Una certezza che, come assicura chi l’ha conosciuto nella vita privata, non lo aveva mai abbandonato. Che il corpo martoriato dal piacere non può essere mai il Fine, ma semmai lo strumento di una ricerca estenuante. La molla per tendersi e flettersi, per inarcarsi, potremmo qui dire, all’ascolto del mistero profondo”.
Il sesso e il mistero profondo. Il piacere della carne e ciò che sta nel suo fondo, il trascendente, l’estasi dello spirito. La continua ricerca della soddisfazione del corpo, e anche della ostentazione del corpo e del sesso nella pornografia, come tentativo estenuante di afferrare l’oltre, l’irraggiungibile, l’infinito. In sostanza, di toccare l’eternità. Senza voler essere blasfemi, in fondo anche san Paolo si avvicinava all’idea: “Mi protendo nella corsa per afferrarlo”, scrive. Dove per lui la corsa è verso Dio. Ma al di là del nome che si dà all’oggetto del proprio desiderio, il nome della mèta a cui mira la corsa della propria vita, qui ciò che conta è un’altra cosa. Ed è che la vita è una corsa verso qualcosa che sta più in là. C’è chi cerca di arrivarvi, chi corre insomma, scrivendo, chi filosofeggiando, chi divenendo artista e magari artista del porno come era Schicchi. Un esercizio artistico estremo, certo, ma pur sempre un esercizio di ricerca, forse torbida ma insieme profonda, di un senso. Anche se, certo, c’è arte e arte. Anche lo stile vuole la sua parte. L’ha fatto capire recentemente Walter Siti quando, sorprendendo tutti durante un incontro con lo scrittore Antonio Scurati e il giornalista del Corriere della Sera Luca Mastrantonio, ha detto: “La scena di porno peggiore della storia della letteratura italiana è nel ‘Nome della Rosa’ di Umberto Eco: la scopata del portinaio multilingue fatta con un pastiche dal ‘Cantico dei cantici’”.
Artistico o meno, il sesso è un’energia che spinge ad andare più in là, oltre, una ricerca in fondo sempre inappagata, come se il godimento fosse più qui, nella ricerca, che nel traguardo, la fine, la pace dei sensi. Lo dice Sandro Veronesi in “XY”: “E’ l’energia che permette di affrontare la vita, senza tener conto della sua caducità. E’ il sapore della mela, che nella mela indoviniamo anche se non arriviamo a darle nemmeno un morso”. Così Cathleen Schine, in “Miss S.”: “Eros? Un desiderio senza scampo. Guardate il dipinto di Correggio ‘Giove e Io’: Giove piomba su Io come una nuvola, un mistero. E Io si abbandona con sensualità a qualcosa che non può vedere”. E anche Phillip Lopate, in “Due matrimoni”: “Eros è prima pienezza, poi senso di vuoto. E’ fuoco più tentazione. Scopri i sensi concentrandoti su piccoli dettagli, che qualche volta possono essere persino dei difetti, perché la perfezione non ha posto nel regno di Eros. In un libro o in un film per me le uniche scene veramente sensuali sono quelle che mi portano a contatto con la psicologia dei personaggi. Altrimenti è meglio vedere wrestling”.
Antonio Scurati ha una sua visione che va dall’“Ottocento romantico fino al Novecento di cui siamo la coda”. Dice: “Sembra evidente che il Novecento ha giocato sul sesso una posta metafisica. E’ come se l’enorme investimento culturale e sociale che il secolo romantico aveva fatto confluire sull’amore – la grande invenzione dello spirito ottocentesco totalizzante, la passione, la fusione e l’unione del maschio con la femmina, dello spirito con la carne, della ragione e del sentimento, l’eros inteso come ultima grande religione di tutto l’occidente – sia stato spostato nel secolo successivo sul sesso. L’uomo del Novecento ha spostato sul sesso le spasmodiche aspettative che nell’Ottocento romantico aveva nutrito riguardo all’amore. Accreditiamo oggi il sesso di un carattere rivelatore e fantomatico. Dal sesso, dal mero rapporto sessuale, attendiamo qualcosa che vada al di là, oltre, qualcosa che è attinente al senso della stessa vita. Una sorta di trascendenza orizzontale e carnale. Viviamo un tempo di pornografia dilagante. E questa stessa pornografia ci dice che non è più dalla politica o da altre regioni dell’esperienza che l’uomo attende una rivelazione, una irruzione di significato, bensì dal sesso. E’ anche la fantasmagoria della pornografia che viene a dimostrarci tutto ciò. I dati economici dicono che il settanta per cento del profitto del Web si regge sui siti porno, con un volume di traffico immenso che dice di milioni di persone perse in questo mondo per ore e ore. Se si apre YouPorn, per esempio, si entra in una miriade di immagini e scene con infinite sotto categorie come se ci fosse sempre qualcosa di nuovo da scoprire, un orizzonte ulteriore da dischiudere. E’ un navigare compulsivo che in fondo dice della continua ricerca di un qualcosa che non oso chiamare Dio, ma piuttosto scena primaria, immagine primigenia e ultimativa della propria verità attraverso la sessualità”.
Ai funerali di Schicchi c’era Ilona Staller. Alla fine della cerimonia ha preso la parola e ha confermato che anche per lei, dentro al sesso e alla pornografia, c’è un oltre. L’ha chiamata “poesia”. “Abbiamo fatto tanta poesia – ha detto rivolgendosi al feretro di Schicchi –. Per tutti era erotismo e pornografia, per noi, invece, era poesia”.
Forse con Ilona Staller è d’accordo Sofia Natella, scrittrice, un anno e mezzo fa è uscito il suo “La disposizione degli organi interni”, il percorso “di una giovane donna che lotta per riconquistare il suo orgasmo, le sue scoperte, tra candore e carnalità, per raggiungere un godimento ancora più ampio e abbondante. Esistenziale”. “Ho scritto della disposizione degli organi interni che tutti assieme portano all’orgasmo”, dice, “un’esperienza di illuminazione perché lì sei vivo in ogni fibra”. Un’esperienza persa che la protagonista del romanzo ricerca strenuamente per superare se stessa e andare, appunto, oltre. Dice ancora: “Scrivere è stato per me come allargare un buchino d’una stoffa, dietro c’è un mondo ancora da esplorare. Paradossalmente grazie al libro un capitolo della mia vita si è chiuso. Messo in pagina, adesso desidero andare ancora oltre”. Alla fine, per lei, il sesso è la vita intera, è toccare con le mani la vita intera. Così, infatti, descrive l’orgasmo: “L’onda mi trascina a lungo senza mai morire, senza che io possa mai vedere un limite oltre l’orizzonte che si dilata e mi dilata a dismisura, sfidandomi in una corsa che non sembra avere fine, fino allo stremo delle forze. E prepotente come era emersa, l’onda di questo orgasmo eterno si infrange ed esplode di nuovo con un colpo sordo sullo scoglio duro di Lui, e con un fragore che scuote la terra grido, quando finalmente mi schianto in mille gocce brillanti, che mi congiungono di nuovo al profondo del mare. Mi è sembrato di afferrare la vita intera, senza doverla neanche toccare con le mani”.
Spiega lo psicoterapeuta Claudio Risé che “la psicologia moderna, che si crede pratica e utilitaria, è poco abituata a vedere la trascendenza nei rapporti sessuali. Con l’eccezione del pensiero junghiano, che ha individuato il transpersonale ‘inconscio collettivo’, coi suoi Archetipi invarianti nel tempo, la relazione tra sessualità e trascendenza, è studiata principalmente dalla storia delle religioni e dalla filosofia. E’ in questi terreni che vengono esplorati i sensi come strumenti per rompere la chiusura dell’Io e arrivare all’altra persona, e di lì all’Altro, infinito. Il cristianesimo esplicita tutto ciò con la sua particolare passione per l’Incarnazione. E’ la scandalosa religione in cui Dio prende il corpo di un uomo, muore e rinasce con quello. Se l’essere umano, col suo corpo, è immagine e somiglianza di Dio, amarlo e desiderarlo è un’esperienza sensata e religiosa, mentre il disprezzarlo è irrazionale e blasfemo”.
Anche nella mistica cristiana il corpo è importante. Spiega Risé: “La bellezza seduce la carne per arrivare all’anima’, dice Simone Weil. L’esperienza religiosa è l’incontro con l’amante-Gesù sia che a cercarlo sia una delle molte mistiche che l’hanno trovato, sia che sia Giovanni della Croce, in vesti femminili. Ma l’incontro corpo-trascendenza c’è anche in altre religioni, ad esempio nel buddismo tibetano (che si avvale di tutta l’esperienza tantrica), dove i sensi sono un campo illimitato di percezioni che attraverso le esperienze della vita quotidiana ci permettono di comunicare col trascendente”. C’è, dunque, nell’atto sessuale una tensione ad andare oltre? “Certo, ogni gesto umano ha un senso (inteso proprio come direzione), tende verso qualche cosa. Nell’esperienza terapeutica la soluzione si fa strada quando chi riflette su se stesso, su ciò che fa e cosa prova, riesce a vedere verso dove lo portino le proprie azioni e i propri sentimenti. Decisiva è la comprensione del proprio materiale profondo, ciò che nell’intimo ci spinge ad agire, quindi anche nell’atto sessuale. I materiali forniti dall’inconscio, i sogni ma anche altre immagini spontanee (come quelle che emergono negli atti creativi) ci svelano l’origine dei nostri movimenti. Che ha fondamenti profondi. Scopriamo così che l’altro verso cui andiamo è l’‘agente trasformatore’ (come lo chiamava Nietzsche), quello che ci consente di rompere la prigione di un Ego uguale a se stesso (e quindi statico e destinato alla malattia), e di diventare una ‘molteplicità di forze’, di passare da una vita identica, a una ‘vita vivente’ (ancora Nietzsche, più che le psicologie). Insomma l’altro, e la passione per l’altro (da chi mi sta di fronte fino a Dio), è il grande motore dello sviluppo umano. Certo, spesso non riusciamo a vedere questo sfondo più ampio del ‘tendere verso’ dei nostri sensi e della nostra anima. E non solo perché le pedagogie e psicologie ‘secolarizzate’ non ci aiutano, perché troppo strette rispetto agli ampi orizzonti umani. Ma perché molto spesso qualcosa non ha funzionato col primo corpo con cui ci siamo uniti e che abbiamo appassionatamente amato: quello di nostra madre. E’ allora che si manifesta una coazione a ripetere infinite volte un abbraccio inappagante, meccanico, che non scalda il cuore, e non ci rassicura affatto. Dietro la pornografia agìta o consumata insomma, l’origine complessuale c’è quasi sempre, e così il fantasma del corpo che l’essere umano ha incontrato nel suo formarsi: quello della madre. Per Sigmund Freud la madre è l’involucro protettivo dal quale ogni piccolo trauma si ritroverà poi nei successivi rapporti col proprio corpo e il corpo degli altri. Spesso nel sesso compulsivo (come in altre manifestazioni ossessive, oggi frequentissime), si cerca di ripetere quell’unione ferita con la madre. La psicoanalisi dell’infanzia ha fornito studi molto approfonditi su questo enorme campo di osservazione (compresa la vita prenatale). E’ quello il principale laboratorio del malessere contemporaneo. Il dibattito mediatico e l’attività legislativa su donne e famiglia però se ne occupano poco, perché richiederebbe di ripensare a troppe cose, e non è facile”. La pornografia come lavoro, invece, perché? “Non c’è un’unica motivazione. C’è chi la fa per esibizionismo, chi per aggressività verso l’altro, chi per plateale manifestazione di potere, e/o ansia di perderlo. Ma ogni individuo è diverso, non c’è una risposta comune. Ogni percorso ha il suo senso. E le sue dissennatezze”.
Che ogni individuo è diverso lo sapeva bene Giovanni Testori che in “Conversazioni con Testori” (Silvana editoriale ripubblica ora il libro intervista con Luca Doninelli del 1992 in una nuova edizione a cura di Davide Dall’Ombra) risponde a una domanda sulla sua omosessualità così: “Quello che posso dire è che sento questo dramma, che lo vivo, e che, peccando – o, comunque, sbagliando –, cresce in me il bisogno di essere perdonato da un lato e, dall’altro, di trasformare questo stesso rapporto in un altro rapporto: di paternità, o, meglio, di paterna fraternità”. Una trasformazione, dunque, dentro e oltre il rapporto col suo partner. Dice: “Una paternità che non finisce più, tant’è che i ragazzi che ho amato, e di cui sono rimasto amico, si sono poi sposati, sono diventati padri e nonni. Comunque, non dico queste cose per giustificarmi: innanzitutto perché quella che ho detto è una cosa dura da realizzare, e in secondo luogo perché la mia prima necessità è quella di essere accolto e amato”. E ancora: “Io amo l’arte, per questo la studio, per questo dipingo e disegno. Ma l’amore è più che dipingere o studiare. Chi ama i quadri si crea, più che il bisogno di guadagnarci sopra, il bisogno di scoprirli, di averli per scoprirli. E’ come in amore, dove la cosa più interessante non è l’atto in sé, quanto trovare l’occhio, l’anima, l’essere”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano