La tassa occulta che pagano a Apple gli addicted americani

Michele Masneri

Non è tanto il “fiscal cliff” che deve preoccupare gli americani, quanto la patrimoniale occulta che stanno già pagando e pagheranno sempre di più a favore di Apple. La tesi apparentemente astrusa non è di pericolosi luddisti bensì degli analisti della Reuters. L’agenzia di informazione finanziaria fa un curioso paragone tra le nuove tasse che arriveranno a gennaio negli Stati Uniti se non si raggiungerà un accordo tra democratici e repubblicani e la “Apple tax”.

    Non è tanto il “fiscal cliff” che deve preoccupare gli americani, quanto la patrimoniale occulta che stanno già pagando e pagheranno sempre di più a favore di Apple. La tesi apparentemente astrusa non è di pericolosi luddisti bensì degli analisti della Reuters. L’agenzia di informazione finanziaria fa un curioso paragone tra le nuove tasse che arriveranno a gennaio negli Stati Uniti se non si raggiungerà un accordo tra democratici e repubblicani – con l’annullamento automatico di tutti i tagli fiscali varati dalla passata Amministrazione Bush – e la “Apple tax”, una cifra che tutti (non solo americani) paghiamo già per avere tra le mani un manufatto della “mela morsicata”.
    Una tassa metaforica ma “galoppante”: secondo Reuters, nel 2011 la famiglia media americana ha speso in prodotti Apple 444 dollari, contro i 295 del 2010 e i 150 del 2007. Confrontando queste cifre con il reddito medio degli americani, che secondo il Census Bureau (l’Istat americano) è stato di 50.054 dollari nel 2011, si può arrivare a definire la aliquota Apple in circa lo 0,8 per cento. Il massimo del gettito Cupertino dovrebbe raggiungerlo a Natale: secondo un sondaggio Ipsos per la stessa Reuters, circa un terzo dei consumatori americani sta valutando di regalare un tablet e la maggior parte di questi pensa naturalmente a un iPad o a un iPad mini. Ma il prossimo bestseller della società oggi guidata da Tim Cook – e il prossimo cespite fiscale della casa – sarà la televisione: non più dispositivi (dallo scarso successo) da collegare al pc di casa quanto televisori tradizionali, ma con schermo piatto ed estetica inconfondibile della Mela. In questo modo, da piccola società corsara dei computer, Apple si trasformerà sempre più in colosso mainstream degli elettrodomestici.

    La nuova Apple Tv è un successo annunciato e contribuirà a far salire l’aliquota per gli americani: entro il 2015, con effetto-tv incorporato, gli analisti di Morgan Stanley stimano che l’esborso per famiglia salirà a 888 dollari
    Ma la “Apple tax” non colpisce solo gli Stati Uniti. Si può calcolare la sua incidenza anche sulle casse più pericolanti – ma ancora più amanti dell’estetica Apple – degli italiani. Secondo l’Istat, oltre il 50 per cento delle famiglie ha percepito nel 2010 un reddito non superiore a 24.444 euro. Se ogni famiglia acquistasse un iPhone 5 – prezzo del modello base 729 euro – la tassa Apple peserebbe per circa il 3 per cento; dunque in misura pari o superiore alla vituperata Imu, che, secondo l’Osservatorio sulla fiscalità locale della Uil, costa alle famiglie italiane 278 euro per la prima casa e 745 euro per la seconda. Difficile fare un calcolo preciso: da una parte non tutti sono Apple-addicted; dall’altra, nella “Apple tax” andrebbero inclusi gli acquisti per sostituzioni di prodotti “vetusti”, e quelli immateriali. Entrambi ad alto turnover. Chi scrive vorrebbe per esempio sostituire il proprio MacBook Pro, un solo anno di vita, con il nuovo Retina, prezzo base 1.779 euro; e l’iMac da tavolo, due anni di vita, con la nuova versione scintillante e super sottile, euro 1.379. E poi i software: aggiornare il nuovo sistema operativo Os X Mountain Lion è costato 17,99 euro; e bisognerebbe calcolare anche la musica scaricata su iTunes (in media, una decina di euro per disco), le app non gratuite, i film e i giochi. Per chi ha figli, poi, le possibilità di essere sottoposti alla patrimoniale Apple salgono drasticamente: “L’acquisto di un iPad o iPhone ha sostituito quello della prima bicicletta”, dicono a Reuters gli analisti della società di ricerca Envirosell. Ma non ce n’era bisogno: lo può testimoniare (empiricamente) chiunque abbia avuto a che fare con bambini italiani magari della classe più ricca, dotati almeno di un iPhone a testa. Magari non l’ultimo modello, ma il penultimo, quello smesso dai genitori.