Il vero autogol di giornata? Non aver comprato Klose
Il tedesco non è mai stato praticato molto in casa Lazio. Quasi ci fosse stata una sorta di pudore a inserire caratteri freddi in un ambiente infiammabile quale quello romano. Meglio puntare sul Sud America, animo guerriero e talento puro, anche se discontinuo. Anche se la storia racconta come i figli di Germania non siano mai venuti meno agli obiettivi loro richiesti. Con tedesca puntualità, per l'appunto, era capitato con Tomas Doll e, soprattutto, Kalle Riedle.
Il tedesco non è mai stato praticato molto in casa Lazio. Quasi ci fosse stata una sorta di pudore a inserire caratteri freddi in un ambiente infiammabile quale quello romano. Meglio puntare sul Sud America, animo guerriero e talento puro, anche se discontinuo. Anche se la storia racconta come i figli di Germania non siano mai venuti meno agli obiettivi loro richiesti. Con tedesca puntualità, per l'appunto, era capitato con Tomas Doll e, soprattutto, Kalle Riedle. Un mago nelle acrobazie in area altrui, pur in presenza di una statura non eccelsa. Una storia che si ripete oggi – con frequenza ancora più entusiasmante – con Miro Klose. Differente la sua parabola: se Riedle arrivò in Italia ancor giovane, il centravanti di origine polacca ha indossato la maglia della Lazio quando molti (erroneamente) pensavano a una carriera in cui il meglio era stato già abbondantemente garantito. Una convinzione ulteriormente supportata da un trasferimento a parametro zero, nel segno della politica abitualmente al risparmio di Claudio Lotito.
Un clamoroso errore di prospettiva, perché Klose è diventato l'uomo da cui la Lazio non può prescindere, sia durante la gestione altalenante di Edy Reja, sia sotto quella più sostanziosa di Vladimir Petkovic. Dategli un pallone e lui lo metterà dentro con ogni parte del corpo, senza buttar via niente di quanto passa dalle parti dell'area. Chiedere all'ultima vittima: l'Inter di Andrea Stramaccioni. Una qualità che che l'aveva reso uno degli attaccanti più temuti in Bundesliga e leader indiscusso della Nazionale, dove gli manca una sola rete per affiancare un monumento quale Gerd Müller. Ma anche un limite, perché il centravanti puro non trova asilo presso molti allenatori contemporanei. Come Louis Van Gaal, che l'aveva messo in un canto al Bayern, ben felice di liberarsene due anni fa, salvo poi essere coinvolto in una crisi che avrebbe pagato con il licenziamento. La fortuna della Lazio, che ha fatto innamorare la signora Klose con un panorama senza eguale, e ha convinto il giocatore con un progetto non di sopravvivenza ma di godimento puro. Con vista Europa.
Un mestiere, quello dell'attaccante, che prevede di far male agli avversari. A meno che non si giochi nel Pescara... Ed è facile immaginare come abbia smoccolato il povero Mattia Perin: tutto si sarebbe aspettato, tranne che di dover soccombere sotto i colpi del fuoco amico. Due calci d'angolo, due interventi simili, con colpi di testa divenuti imprendibili. Prima Elvis Abbruscato, lunga e dignitosa carriera in serie B con rare opportunità più in alto. Quindi Jonathas, un brasiliano – come si ama dire – "di prospettiva" ma che finora non ha fatto alcunché per lasciare memoria di sé ai posteri. Fino a ieri, fino al doppio colpo di testa folle che ha reso facile la vita altrui. Interventi da attaccanti e non da difensori, che il Pescara ha pagato a caro prezzo. Prodezze che avrebbero solleticato la cattiveria di Beppe Viola. Uno che raccontava come Egidio Calloni avesse nuovamente salvato la porta avversaria, all'ennesimo errore di tiro del mai dimenticato attaccante rossonero. Abbruscato e Jonathas hanno saputo fare ancora meglio. E non era facile.
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