Stati Uniti e armi
Numeri e percezione di un fenomeno che proviene da lontano
Su 468.000 persone che sono state assassinate nel mondo nel 2010, 15.241 lo sono state negli Stati Uniti. Per riflettere sulla percezione degli Usa come Paese violento rilanciate dall’ultima strage, occorre innanzitutto citare un dato di fonte Onu: esattamente, di quel 2011 Global Study on Homicide che fu redatto nell’ottobre dell’anno scorso dallo United Nations Office on Drugs and Crime di Vienna. Si basa sulle statistiche ufficiali fornite dai singoli Paesi membri: con l’avvertenza che in quei numeri non sono comprese le vittime di guerre civili come quelle di Afghanistan, Iraq o Somalia, le cui cifre scappano alla capacità di registrazione delle istituzioni.
Su 468.000 persone che sono state assassinate nel mondo nel 2010, 15.241 lo sono state negli Stati Uniti. Per riflettere sulla percezione degli Usa come Paese violento rilanciate dall’ultima strage, occorre innanzitutto citare un dato di fonte Onu: esattamente, di quel 2011 Global Study on Homicide che fu redatto nell’ottobre dell’anno scorso dallo United Nations Office on Drugs and Crime di Vienna. Si basa sulle statistiche ufficiali fornite dai singoli Paesi membri: con l’avvertenza che in quei numeri non sono comprese le vittime di guerre civili come quelle di Afghanistan, Iraq o Somalia, le cui cifre scappano alla capacità di registrazione delle istituzioni. Che significano questi 15.241 morti? Un modo di inquadrarli è in una classifica assoluta. Un altro è di fare una proporzione relativa: quanti omicidi ogni 100.000 abitanti. Dal primo punto di vista, vediamo che gli Stati Uniti sono il decimo Paese al mondo come numero di assassinati. Li precedono il Brasile con 43.909, l’India con 40.753, il Messico (20.585), l’Etiopia (20.230), l’Indonesia (18.963), la Nigeria (18.422), il Sudafrica (16.834), la Russia (15.954) e la Colombia (15.459).
È tanto o poco? Gli Stati Uniti sono il terzo Paese al mondo per popolazione e basandosi su questo rapporto in realtà sarebbero meno violenti della media: così come, sia pure di poco, l’Indonesia, che come popolazione è quarta e come omicidi quinta. L’India, seconda come popolazione e come omicidi, sta esattamente al suo posto. La Nigeria, sesta come omicidi e settima come popolazione, sta un po’ peggio, così come la Russia, che è ottava come omicidi e nona come popolazione. Molto meglio sta la Cina: prima come popolazione, undicesima come omicidi (14.811). Rapporto sbilanciato è anche quello del Brasile, primo come omicidi e quinto come popolazione, e del Messico, terzo come omicidi e undicesimo come popolazione. Eppure, se si chiedesse a un turista se dal punto di vista dell’ordine pubblico avrebbe più paura a recarsi in Brasile o in Messico, risponderebbe quasi certamente “in Messico”. E qui c’è da considerare una prima cosa: la potenza della macchina mediatica Usa, che mette costantemente gli Stati Uniti al centro dell’attenzione mondiale. Spesso esagerando la loro importanza in termini positivi, ma in questo caso esagerando anche la loro importanza come Paese in cui si può morire ammazzati più facilmente. Non solo: poiché il Messico confina con gli Usa, i media Usa lo seguono molto più “da vicino”, con la conseguenza di dare anche di esso un’immagine di violenza superiore a una realtà che è comunque grave.
Il rapporto tra popolazione e numero di omicidi però è un indice di misurazione approssimativo. Più precisa è la classifica “relativa” degli omicidi per 100.000 abitanti, anche se pure lì va ricordato che per popolazioni basse può diventare fuorviante. Un solo omicidio dà infatti al minuscolo Liechtenstein un indice di 2,8, e pesa 0,3 in Islanda, 0,6 a Guam; 0,9 negli Stati Federati di Micronesia, 1 nelle Tonga; 1,3 a Andorra, 6,8 a Anguilla, addirittura il 19,7 a Montserrat. Mentre in Groenlandia 6 omicidi bastano a fare un indice di 10,5. Fatta questa premessa, l’indice degli Stati Uniti è 5. Per fare un paragone con gli altri top ten degli omicidi in cifra assoluta il Brasile sta a 22,7, l’India a 3,4, il Messico a 18,1, l’Etiopia sale fino al 25,5, l’Indonesia a 8,1, la Nigeria a 12,2, la Russia all’11,2 mentre Sua Africa e Colombia sono ben oltre il 30 per cento. La classifica relativa, che è quella che effettivamente oltre certi livelli di popolazione ci indica la pericolosità di un Paese, dopo l’Honduras vede El Salvador con 66, la Costa d’Avorio con 56,9, la Giamaica con 52,1, il Venezuela con 49, il Belize con 41,7, il Guatemala con 41,4; seguito dalle Isole Vergini Usa, Saint Christopher e Nevis e Zambia. La parte nord dell’America Centrale è dunque il posto più pericoloso della Terra. Sempre a proposito di stereotipi: il Venezuela è più pericoloso di Colombia, Brasile e Messico nei fatti, ma non nella percezione di media e agenzie turistiche. Per non parlare del Belize, che è addirittura pubblicizzato tra i ricchi statunitensi come un’”oasi di tranquillità”.
Gli Usa, oggettivamente, sono dunque abbastanza più sicuri della media del loro Continente, ma la prospettiva cambia nuovamente se spostiamo l’obiettivo all’interno del G7, dove anzi gli indici sembrano diminuire quanto più ci si allontana da loro: 1,8 in Canada; 1,4 in Francia; 1,2 nel Regno Unito; 1 in Italia (590 omicidi); 0,8 in Germania; 0,5 in Giappone. Sempre a proposito di stereotipi: l’Italia, Paese di mafia, camorra, ‘ndrangheta e terrorismo, è comunque quasi il doppio più sicura dell’apparentemente sonnacchioso Canada.
Gli Stati Uniti sono effettivamente un Paese più “omicida” di altri Paesi dal medesimo livello economico e sociale, anche se la sua “pericolosità” effettiva è molto accentuata dal sistema informativo. Probabilmente, proprio questo sistema informativo incentiva un tipo di violenza “spettacolare”, come quello delle stragi nelle scuole. È pure verosimile che una maggior difficoltà nel possesso di armi ridurrebbe gli omicidi. Ma il confronto indica chiaramente come, nel Paese dei pionieri e del Far West, il problema sia soprattutto culturale: gli statunitensi detengono molte armi e vogliono continuare a detenerle salvo traumi che facciano cambiar loro idea. Si potrà discutere verso quale futuro si stia andando, ma non ci si dimenticherà mai da quale passato si proviene.
Il Foglio sportivo - in corpore sano