A Newtown

Annalena Benini

Mia figlia è arrivata piano alle spalle mentre leggevo, al computer, di Newtown: sul sito del New York Times c’erano le foto di genitori disperati, orsetti di pezza e bambini in fila indiana che scappano da quella scuola maledetta, e altri bambini che portano le candele. Mi ha chiesto perché piangevano tutti e anche io, che cosa era successo. Ho pensato: non posso dirglielo. Avevano sei anni come lei, stavano preparando i lavoretti per Natale come lei, che ogni giorno strappa un foglietto dal calendario e conta sulle dita quanto manca, preoccupata che Babbo Natale non trovi la strada di casa nostra, visto che non c’è il camino.

Leggi Perché al Foglio siamo cattivi di Giuliano Ferrara - Leggi Il dramma dostoevskijano del Connecticut, sospeso fra legge e libertà di Mattia Ferraresi

    Mia figlia è arrivata piano alle spalle mentre leggevo, al computer, di Newtown: sul sito del New York Times c’erano le foto di genitori disperati, orsetti di pezza e bambini in fila indiana che scappano da quella scuola maledetta, e altri bambini che portano le candele. Mi ha chiesto perché piangevano tutti e anche io, che cosa era successo. Ho pensato: non posso dirglielo. Avevano sei anni come lei, stavano preparando i lavoretti per Natale come lei, che ogni giorno strappa un foglietto dal calendario e conta sulle dita quanto manca, preoccupata che Babbo Natale non trovi la strada di casa nostra, visto che non c’è il camino. Non ci sono le parole, era uno dei tantissimi titoli di giornale, ma allora è come arrendersi, restare immobili, ha scritto David Grossman a proposito di suo figlio, e di tutti i figli perduti. Bisogna trovarle, le parole. Barack Obama aveva appena detto, dopo la veglia a Newtown, che essere genitore è come “avere il proprio cuore sempre fuori dal proprio corpo, che se ne va in giro”. E’ vero.

    Non li potremo proteggere da tutto, esserci sempre, garantire loro l’invulnerabilità. La cosa in assoluto più difficile dell’orrore spiegato ai bambini è la sua totale, abnorme, sconvolgente ingiustizia. Erano bambini buoni, come è potuto succedere? Perché non li hanno salvati? Perché proprio loro, perché noi? Non sono così diverse, le loro domande, dalle nostre, anche mentre ci interroghiamo sulle armi e sugli arsenali casalinghi vogliamo sempre sapere: perché. Ogni giornale americano, con il senso reattivo e pratico  che li sorregge, aveva ieri almeno un articolo su come spiegare l’indicibile ai bambini.  Come parlare con i nostri figli. Che cosa non dire, soprattutto. Non possiamo pensare che loro guardino l’orrore con i nostri occhi, non dobbiamo essere come sempre egoriferiti, ma metterci davvero nei loro panni, innalzarci fino all’altezza dei bambini: il loro sguardo è diverso dal nostro, la loro percezione del male è a volte talmente lontana che potrebbero rispondere semplicemente: “Oh, che peccato”, e andare avanti, o chiedere un pezzo di pizza, un cartone animato. Mentre noi siamo in preda al panico, sopraffatti dalla materializzazione delle paure più segrete, quelle per cui l’unica soluzione è stare  chiusi dentro una stanza e non andare mai più incontro al mondo, loro potrebbero essere già altrove. Perché quella è una brutta favola. Perché nel loro mondo si sentono al sicuro. Mia figlia ha detto che le sue maestre sono molto coraggiose, e il bidello magro che sta ogni mattina davanti al portone è fortissimo, nessun cattivo potrebbe mai passare. Allora le ho raccontato della giovane maestra sorridente, che ha salvato tutti i suoi alunni nascondendoli dentro gli armadi, e mia figlia annuiva contenta perché anche la sua scuola ha molti armadi: in quel momento il pensiero coraggioso ha superato il pensiero della paura, e sembrava esserci respiro anche nell’orrore. Come quel bambino piccolo, dentro la scuola, durante gli spari, che faceva coraggio a uno più grande dicendogli: “Io ne so di karate. Quindi stiamo a posto. Ti guido io fuori di qui”. Non le ho detto che una bambina piccola come lei si è salvata fingendo di essere morta, ma che poi sono arrivati i buoni, perché arrivano sempre. E saranno sempre di più, e più coraggiosi e forti, dei cattivi.

    Leggi Perché al Foglio siamo cattivi di Giuliano Ferrara - Leggi Il dramma dostoevskijano del Connecticut, sospeso fra legge e libertà di Mattia Ferraresi

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.