La Difesa dell'America

Obama aggiunge Kerry nel suo disegno realista e rétro per la sicurezza

Paola Peduzzi

Più che il presidente dell’America, John Kerry ha sempre voluto fare il segretario di stato. Nella campagna elettorale dei democratici più fallimentare degli ultimi decenni, quella del 2004 contro George W. Bush, che era il presidente più detestato degli ultimi decenni, Kerry si giocò male la possibilità di fare il presidente, e da allora aspetta il suo momento a Foggy Bottom, come se fosse un diritto, o un risarcimento.

    Più che il presidente dell’America, John Kerry ha sempre voluto fare il segretario di stato. Nella campagna elettorale dei democratici più fallimentare degli ultimi decenni, quella del 2004 contro George W. Bush, che era il presidente più detestato degli ultimi decenni, Kerry si giocò male la possibilità di fare il presidente, e da allora aspetta il suo momento a Foggy Bottom, come se fosse un diritto, o un risarcimento. Il suo momento potrebbe essere arrivato, dicono fonti vicine alla Casa Bianca, al dipartimento di stato e a Kerry stesso citate da Cnn e New York Times: Barack Obama dovrebbe nominare il senatore del Massachusetts come segretario di stato entro la settimana. Anzi, la nomina avrebbe dovuto già esserci, ma la strage di bambini in Connecticut ha imposto modifiche all’agenda presidenziale.
    Il nome di Kerry era già nell’aria – lo era anche nel 2008 – ma pareva il secondo dopo quello di Susan Rice, ambasciatrice dell’Onu molto cara al presidente. Poi Rice s’è ritirata dalla corsa ed ecco che Kerry è ritornato in cima alla lista. Nell’incastro di Obama potrebbero esserci sorprese, sostengono alcuni, perché il team di sicurezza che si sta formando ora “è un po’ troppo convenzionale”, scrive il New York Times. Kerry al dipartimento di stato, l’ex senatore repubblicano Chuck Hagel al Pentagono e la conferma alla Cia di Michael J. Morell, oggi sostituto temporaneo del generale Petraeus: questo sarebbe il team, rassicurante, pragmatico, poco problematico, al lavoro dai tempi in cui c’era ancora il Muro di Berlino. Ma se l’obiettivo di politica estera di questo mandato fosse quello preconizzato dalla copertina di Newsweek in edicola oggi (è il penultimo numero del magazine cartaceo, inizia a essere da collezione), cioè porre fine non alle guerre, ma alla guerra globale contro il terrore, ci vorrebbe un guizzo in più nella designazione del team. Alcuni dicono che il guizzo ha il sorriso di Michèle Flournoy, la signora che è arrivata più in alto nella carriera al Pentagono pur con i suoi tre figli a carico, che potrebbe andare bene sia al dipartimento della Difesa sia alla Cia. Forse però Obama non vuole affatto guizzi, preferisce buoni negoziatori, con grande credibilità interna, visto che è necessario fare tagli alla Difesa, ritirarsi dall’Afghanistan mentre lo stesso Pentagono dice che l’esercito afghano non è pronto a fare nulla, evitare che i fronti aperti con bombardamenti martellanti di droni non diventino guerre. Il pragmatico realista Obama forse preferisce continuare così, senza dottrina.

    Il contenimento e i ribelli
    Kerry è un gran negoziatore. Assieme al vicepresidente Joe Biden, ha guidato una specie di diplomazia parallela a cavallo tra quella ufficiale di Hillary Clinton e quella sempre più consistente formulata dai militari, soprattutto nell’area afghano-pachistana rimasta scoperta dopo la morte improvvisa dell’uomo di Obama nell’area, Richard Holbrooke, nel dicembre del 2010. Kerry è anche molto esperto, lavora alla commissione Esteri del Senato, conosce i dossier, conosce i dettagli, ed è rispettato dai colleghi repubblicani: pare che John McCain lo chiami già da qualche giorno “Mr Secretary”, con pacca sulla spalla.
    Kerry ha un alto profilo al servizio di un’ideologia liberal. Se su molti dossier strategici è riuscito a mantenersi in quell’ambiguità di cui è maestro Obama, su alcuni pesano gravi errori di interpretazione. In Siria per esempio, Kerry ha a lungo sostenuto la via dell’appeasement con Bashar el Assad: non era l’unico, va detto, né in America né in Europa. Tra tutti i dittatori del medio oriente, con quell’aria pulita e sobria Assad sembrava il meno feroce. Il senatore è rimasto convinto che Assad fosse pronto a fare la pace con Israele anche quando il rais siriano già sparava sul proprio popolo (lo fa da quasi due anni, senza mai smettere): secondo Kerry, Israele avrebbe anzi dovuto approfittare dell’“opportunità d’oro” e cedere il Golan alla Siria. Il consiglio non è stato ascoltato, e oggi nemmeno Kerry lo darebbe più: ora vorrebbe armare i ribelli, creare zone cuscinetto, adottare la strategia su cui sono tutti più o meno d’accordo, tardivamente.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi