Così Draghi&co. s'inchinano alla politica, parla Masciandaro

Alberto Brambilla

Non è troppo difficile individuare i cinque eventi che hanno segnato il 2012. L'editorialista del Financial Times Gideon Rachman pone al primo posto la “promessa di Mario Draghi” di salvare l'euro “a ogni costo” (seguono la guerra in Siria, la vittoria di Morsi in Egitto, un nuovo mandato presidenziale per Barack Obama, e la  riaccesa disputa sino-nipponica per l'arcipelago delle Senkaku). Parole che sono state lette come una rivoluzione nell'interpretazione del ruolo di banchiere centrale e si innestano in un processo di trasformazione globale dell'uso della politica monetaria, sempre più legata a obiettivi di politica economica che spesso convergono con quelli dei governi.

    Non è troppo difficile individuare i cinque eventi che hanno segnato il 2012. L'editorialista del Financial Times Gideon Rachman pone al primo posto la “promessa di Mario Draghi” di salvare l'euro “a ogni costo” (seguono la guerra in Siria, la vittoria di Morsi in Egitto, un nuovo mandato presidenziale per Barack Obama, e la  riaccesa disputa sino-nipponica per l'arcipelago delle Senkaku). Parole che sono state lette come una rivoluzione nell'interpretazione del ruolo di banchiere centrale e si innestano in un processo di trasformazione globale dell'uso della politica monetaria, sempre più legata a obiettivi di politica economica che spesso convergono con quelli dei governi. Processo in cui i rischi sono maggiori dei vantaggi, spiega al Foglio Donato Masciandaro, docente dell'Università Bocconi di Milano per niente convinto che si possa parlare di rivoluzione. “Il modello moderno della Banca centrale, cioè di un istituto che tutela la stabilità monetaria con il solo strumento del tasso d'interesse, come ha fatto la Bce, è messo in discussione”. E' emerso “con urgenza” il problema della stabilità finanziaria e del “come” sia possibile adeguare la Banca centrale a tale sfida, che in Europa è aggravata dalla stabilità fiscale. “A questi problemi economici non c'è una robusta risposta al momento”, dice il professore di Politica monetaria e regolamentazione finanziaria, “ma politici un po' in tutti i paesi la stanno cercando anche con l'obiettivo, ritengo, di fare tornare le Banche centrali a essere soggetti dipendenti dalla politica”. “Il rischio – dice Masciandaro – è che la politica, utilizzando la moneta, voglia nascondere o mal risolvere problemi urgenti”, quindi “non vedo una salita sul proscenio delle Banche centrali ma della politica che con un'ottica miope vuole risolvere problemi macroeconomici diversi dall'inflazione”.

    L'esempio più recente è la scelta della Federal Reserve statunitense di mantenere i tassi ai minimi finché la disoccupazione non scenderà sotto il 6,5 per cento. Per statuto la Fed ha il doppio mandato di tenere a bada l'inflazione e controllare la disoccupazione. “Bernanke ha reso sempre più aggressiva questa regola, dimenticando di fatto il tema dell'inflazione e cercando di dare massimo peso all'economia”. “Non c'è una rivoluzione – dice Masciandaro – ma l'accentuazione di questa strategia aggressiva”. E' efficace? “Ne dubito. Perché finora questo non ha prodotto risultati e penso che sebbene Bernanke abbia cercato di portare dati a sostegno, le critiche sono state più numerose dei consensi”. Non ha funzionato ma funzionerà? “Il sistema economico americano, come quello europeo seppure in misura meno accentuata, ha bisogno di modifiche dal lato dell'offerta e non della domanda: evidentemente anche gli Stati Uniti hanno un problema di produttività che in questi due decenni hanno cercato di nascondere con la crescita della finanza”. Perciò “continuare a dare una grande importanza alla leva monetaria – continua Masciandaro – temo possa nascondere problemi reali e ha come effetto certo l'aumento delle dimensioni della finanza”. Non solo perché gonfia i corsi di Borsa ma perché “dà la possibilità a tutto il sistema di continuare a indebitarsi senza alcun effetto reale creando così un'altra bolla finanziaria. Il fascino delle bolle è che se ne capisce la reale portata quando sono scoppiate. Negli Stati Uniti è privata, in Europa invece è pubblica. Il rischio è che esplodano da entrambe le parti per poi propagarsi altrove”.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.