Riunioni segrete all'Umiltà

Cronache da un Pdl sull'orlo di una scissione montiana (a nervi tesi)

Salvatore Merlo

Alle due del pomeriggio i dirigenti del Pdl, gli animatori del grande centro filomontiano, preoccupatissimi salgono alla spicciolata, su, su, in ascensore fino allo studio di Angelino Alfano a Via dell’Umiltà. Gaetano Quagliariello, Raffaele Fitto, Fabrizio Cicchitto, Maurizio Gasparri, Andrea Augello, la riunione è lunga, si gioca l’ultimo tentativo di farsi adottare da Mario Monti malgrado Silvio Berlusconi, che una sua pazzotica idea iperpopulista ormai ce l’ha, e malgrado lo stesso professor Monti che a pochi giorni dallo scioglimento delle Camere ancora non ha le idee chiare.

Leggi Il Pd senza valigia di Claudio Cerasa - Leggi l'editoriale Il presidenzialista riluttante

    Alle due del pomeriggio i dirigenti del Pdl, gli animatori del grande centro filomontiano, preoccupatissimi salgono alla spicciolata, su, su, in ascensore fino allo studio di Angelino Alfano a Via dell’Umiltà. Gaetano Quagliariello, Raffaele Fitto, Fabrizio Cicchitto, Maurizio Gasparri, Andrea Augello, la riunione è lunga, si gioca l’ultimo tentativo di farsi adottare da Mario Monti malgrado Silvio Berlusconi, che una sua pazzotica idea iperpopulista ormai ce l’ha, e malgrado lo stesso professor Monti che a pochi giorni dallo scioglimento delle Camere ancora non ha le idee chiare: candidarsi o restare fuori? E come candidarsi? Da leader di un nuovo centrodestra aperto al Pdl? O forse da ispiratore di un centro neodemocristiano come vorrebbero Pier Ferdinando Casini e Andrea Riccardi?
    Gli uomini del Pdl, la vecchia guardia, si riuniscono attorno a un tavolo, facce lunghe, al centro c’è il segretario Alfano, sempre insondabile, ormai sfinge per gli stessi uomini che lo vorrebbero leader, un ruolo che lui non ha mai rifiutato ma che mai ha nemmeno accettato fino in fondo. Adesso, con aria carbonara gli chiedono di farsi ambasciatore alla corte di Monti: “Dobbiamo far capire a lui e a Casini che se non si alleano col Pdl Bersani vince pure al Senato e governa senza di loro. Se il Pd vince non fa prigionieri, se lo devono mettere in testa: per il professore niente Quirinale e niente governo”. Così è il segretario del Pdl che ora dovrebbe tentare l’ultima missione, ma rimangono solo 48 ore di tempo, poi le Camere saranno sciolte e venerdì Monti parlerà in conferenza stampa per fare annunci forse definitivi sul suo futuro. E la situazione ha dei tratti evidentemente paradossali, perché gli uomini del Pdl non sanno nemmeno se Monti vuole davvero candidarsi, eppure, malgrado l’incertezza, disegnano scenari e sono disposti a offrire garanzie. Ma quali? Riguardano soprattutto Berlusconi, protagonista assente, il Cavaliere inaffidabile: “Fidarsi di lui è dura per Monti, ma noi possiamo fare da cintura di contenimento”. Con un retropensiero: “Se Berlusconi rifiuta ce ne andiamo”. Ammesso che il prof. si candidi, e che sia disposto a metterli in lista.

    Vorrebbero che Monti offrisse un salvacondotto al Cavaliere. Berlusconi, in cambio, potrebbe indirizzare le proprie ambizioni verso un seggio defilato, magari in Senato, consegnando così il suo mondo in declino a una federazione dei moderati guidata dal professore bocconiano: “E’ l’unico modo per impallare il Senato e impedire la vittoria del Pd”. Ma Berlusconi non se ne cura, è in campagna elettorale su tutt’altra linea (ieri sera era a “Porta a Porta”), vuole solo rinviare la data delle elezioni al 24 febbraio o ai primi di marzo per occupare spazi televisivi (“ma l’ultimo dispetto di Napolitano sarà farci votare il 17 febbraio”), insegue la Lega cui vuole dare la Lombardia, promette l’abolizione dell’Imu, non crede alla candidatura di Monti e ne ride, affetta interesse quando incontra i suoi vecchi fedelissimi, ma poi vorrebbe che Alfano li mollasse tutti. “Voglio bene ad Angelino ma si è un po’ perso per strada, ai ragazzi capita di smarrirsi”, ha confidato il Cavaliere a un amico. Loro, i dirigenti semi proscritti, di preferenza tacciono, alcuni non parlano in pubblico da settimane, e persino in privato cambiano accenti a seconda dell’interlocutore, perché non si sa mai. Sicuri di non corrispondere all’identikit antropologico del nuovo berlusconismo (“ne ricandiderò solo uno su dieci”, ha minacciato il Cavaliere), i dirigenti storici del Pdl rimangono sospesi, capaci di movimenti cauti e millimetrici, a metà tra Monti e Berlusconi, tra un’ipotesi gustosa che forse non si concretizzerà mai e una certezza un po’ folle e minoritaria, sgradita alle gerarchie della chiesa e anche alla famiglia europea del Ppe. Così quando si riuniscono, come ieri pomeriggio a Via dell’Umiltà, e anche quando sembrano d’accordo, in realtà si guardano in obliquo, tesi e sospettosi, si scrutano l’un l’altro cercando nel folto delle parole altrui un nocciolo di sincerità. Domenica scorsa al Teatro Olimpico di Roma, con “Italia Popolare”, avrebbero dovuto agganciare Monti e incoronare Alfano, ma si sono smarriti anche loro e la convention si è conclusa con un coro di “viva Silvio”. Eppure alcuni mollerrebbero il Cavaliere, come ha già fatto Beppe Pisanu, se solo Monti desse un segnale. L’argomento ieri è stato sfiorato tra mille cautele, passettini e colpetti di tosse: “Se il professore dovesse fare un appello alle forze politiche più responsabili proponendo una federazione che si condensa ‘per adesione’ al suo programma, a quel punto Berlusconi potrebbe rifiutare. E noi, allora, avremmo una ragione politica, e non scopertamente opportunistica, per rompere con il Cavaliere”.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.