Liberati in Siria

Il sequestro del reporter americano è stata una operazione di Hezbollah

Daniele Raineri

Un sorriso che non riusciva a spegnersi mentre raccontava i momenti duri, e l’espressione di sollievo di chi si è avvicinato alla morte e si è tirato indietro in tempo. Lunedì sera l’inviato della rete americana Nbc, Richard Engel, è stato liberato dopo cinque giorni di sequestro in Siria, assieme ad altri quattri giornalisti che lavorano assieme a lui, e ieri mattina si è collegato con i colleghi in studio da una piazzetta di Antiochia, in Turchia.

    Un sorriso che non riusciva a spegnersi mentre raccontava i momenti duri, e l’espressione di sollievo di chi si è avvicinato alla morte e si è tirato indietro in tempo. Lunedì sera l’inviato della rete americana Nbc, Richard Engel, è stato liberato dopo cinque giorni di sequestro in Siria, assieme ad altri quattri giornalisti che lavorano assieme a lui, e ieri mattina si è collegato con i colleghi in studio da una piazzetta di Antiochia, in Turchia. “Stavamo viaggiando in una zona che credevamo controllata dai ribelli, i rapitori sono venuti fuori all’improvviso dagli alberi, era un gruppo armato di quindici uomini in passamontagna. Hanno ucciso sul posto un ribelle che ci faceva da scorta e ci hanno messo dentro un furgone chiuso che era già pronto. Per cinque giorni ci hanno spostato di covo in covo, ci hanno tenuti bendati e ammanettati, ma non ci hanno torturati né picchiati. C’era violenza psicologica, ci chiedevano di scegliere chi avrebbe dovuto essere ucciso per primo, hanno finto di ammazzarci, sparando in aria. Poi ieri sera durante un altro spostamento su un furgone siamo incappati in un posto di blocco dei ribelli, le nostre guardie non se l’aspettavano, i ribelli hanno sparato e ne hanno uccise due. Siamo saltati fuori dal veicolo illesi e ci siamo consegnati ai ribelli”. Engel è un corrispondente veterano, si è fatto tutta la guerra nel vicino Iraq a partire dal 2003. Nell’intervista spiega chi e perché l’ha sequestrato: “Una milizia fedele al governo siriano e addestrata dagli iraniani e dai libanesi di Hezbollah ci ha preso in ostaggio perché ha detto di volerci scambiare con quattro agenti iraniani e due libanesi che sono in mano ai ribelli. Quando siamo stati liberati eravamo diretti alla roccaforte di Hezbollah dentro la Siria”.

    Il gruppo di esecutori materiali è formato da shabiha, gli spettri, la milizia siriana fedele al governo, ma il mandante è Hezbollah, il movimento sciita libanese alleato del governo iraniano e del presidente siriano Bashar el Assad, come pure la buona intelligence – i rapitori sapevano dove aspettare i giornalisti, li attendevano con passamontagna e un furgone chiuso.
    Il coinvolgimento di Hezbollah e dell’Iran nella guerra civile è sicuro, ma le prove sono confuse. Ci sono le migliaia di testimonianze, ci sono i video in cui miliziani con nastri gialli – il colore del movimento – sulla manica combattono in Siria, ci sono i funerali nell’area di confine della Bekaa dei militanti e dei comandanti del gruppo libanese uccisi e rispediti in Libano per essere seppelliti dentro il drappo giallo-verde, ci sono i video degli aerei passeggeri con a bordo i pasdaran iraniani che atterrano in scali poco frequentati in mezzo al paese, ma fino a ieri non c’era una testimonianza così diretta da dentro: Hezbollah in Siria ha una sua zona protetta e in questo momento sta dando la caccia agli stranieri per usarli in uno scambio di ostaggi.
    Nel decennio tra il 1982 e il 1992 il movimento armato libanese fece della cattura di stranieri uno strumento di lotta politico-militare: almeno 96 ostaggi, di cui 25 americani. Ormai erano passati vent’anni dall’ultimo sequestro. A dire il vero, e qui si entra nel campo della speculazione, a settembre il governo di Baghdad ha amnistiato e liberato un comandante di Hezbollah “rapitore di americani”, Ali Musa Daqduq, che nel 2007 a capo dell’incursione di un gruppo di uomini con addosso divise americane  dentro una base a Karbala, in Iraq, sequestrò e uccise cinque militari americani. La storia di Engel fa pensare che si sia trattato di un’operazione valutata politicamente e pianificata in anticipo. I rapitori avevano costretto i tre a parlare in un video di rivendicazione, ora rimosso da YouTube.

    Il black out dei media non ha funzionato
    Engel è stato in ostaggio per cinque giorni, ma non si è saputo nulla fino a lunedì, per la decisione congiunta dei grandi media di dare tempo e spazio a eventuali trattative senza la pressione esterna. David Rhode, reporter del New York Times, è stato prigioniero per sette mesi dei talebani in Pakistan, ma l’informazione non è uscita se non dopo la sua fuga. Quarant’otto ore fa la notizia di Engel rapito è trapelata – su Twitter, per colpa di un turco – e da quel momento è stato un imbarazzante balletto di giornalisti e siti americani che rilanciavano e poi, avvertiti, cancellavano.
    Il gruppo ribelle che ha liberato i giornalisti è Ahrar al Sham, uno dei più duri e dichiaratamente islamisti. Sul suo sito abbondano i rimandi alla retorica di al Qaida, ma in questo caso ha compiuto la scelta giusta, liberando ostaggi catturati dalla milizia del governo.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)