Decriptazione di una ultra bocconiana discesa in campo

Stefano Di Michele

Solo una differenza – mica da poco, ma una sola: finora Monti veniva mandato in campo (dal Cav. in Europa, da Napolitano a Palazzo Chigi), adesso scende in campo. Per il resto, è già un generalizzato (ri)annotare del dignitoso loden bocconiano (causa basse temperature, causa carenza ulteriori elementi di colore) e il block notes che ebbe il suo momento di gloria nell’autunno dell’anno scorso.

    Solo una differenza – mica da poco, ma una sola: finora Monti veniva mandato in campo (dal Cav. in Europa, da Napolitano a Palazzo Chigi), adesso scende in campo. Per il resto, è già un generalizzato (ri)annotare del dignitoso loden bocconiano (causa basse temperature, causa carenza ulteriori elementi di colore) e il block notes che ebbe il suo momento di gloria nell’autunno dell’anno scorso. E  bisogna solo figurarsi la scena nel suo studio, debitamente riportata dai giornali di ieri: un affollarsi presso la capanna presidenziale di svariati personaggi del presepe centrista imminente: chi più a caratura da Re Magio (un Montezemolo, per dire, o un Riccardi), chi più a caratura da pecorella politica smarrita (Casini, per tacer di Cesa). E Monti? “Ascolta, spesso si curva sulla scrivania per prendere appunti”. Oppure: “Ha molto ascoltato, come sempre. Ha parlato poco, come sempre”. Anche: “Ha preso appunti”, e dài. Si capisce: “Pignolo e attento ai dettagli”. Se Bersani procede con primaria baldanza, se il Cav. s’intromette con abituale irruenza, il prof. si muove con la precisione e la sfuggevole eleganza di un calligrafo d’epoca T’ang, così che ognuno sa ormai cosa vuole, ma nessuno sa ancora dire come. Dicono i silenzi, non le parole; le allusioni, non il discorso diretto; lo sguardo, non i gesti. E’ l’invocato, il prof., il laudato da “tucte le sue creature” di schiatta moderata, moderatamente speranzosi, che gli arrampicano anche dalle finestre di Palazzo Chigi, come i babbi Natale sui balconi delle case – e perciò pratica con europeistica leggerezza l’arte di prestarsi facendo finta di sottrarsi, del negarsi ai comizi, dell’invocare necessaria riservatezza per meglio prepararsi all’inevitabile scioglievolezza.

    Una lista? Due liste? Tre liste? (Per Monti? Con Monti? In Monti?). Sa, il prof., che dovrà calare la scarpa immacolata di cuoio inglese nella fanghiglia dello scontro politico che prima si poteva permettere di osservare solo dall’alto – lui servo (optimus) del paese, quegli altri delle loro (terrene) ambizioni. E l’immoralità evocata da D’Alema, così come “il piccolo protagonista” di fresca coniazione berlusconiana, sono solo antipasto e anticipo del diluvio che si prepara – previsione azzeccata, c’è da scommetterci, più della mesta profezia Maya: niente, gli auspici precolombiani, rispetto ai risentimenti postmontiani. Misura le parole (anche con i suoi alleati futuri), Monti. Misura il passo. Misura gli sguardi. Non abbastanza perché qualcuno non sappia, abbastanza perché nessuno possa dire di sapere – e l’incontenibile Casini (“Monti ha deciso”), è stato prontamente rispedito alla decriptazione del pensiero di Cesa. Ancora quarantott’ore – che Napolitano proclami il “tana libera tutti!”, che il tecnico Monti possa mutarsi in politico, che i casiniani possano mutarsi in merkeliani osservanti, che Passera trovi il suo posto su un degno trespolo nella voliera, che la covata montezemoliana possa almeno far mostra di salire sul predellino di Italo, come la compagnia Sordi-Vitti in “Polvere di stelle” – e la nuova vita di Monti Mario, candidato premier, e non più premier a presidenziale unzione, avrà inizio.

    La cautela l’ha finora mostrata, la determinazione l’ha fatta intendere, anche se i suoi sogni, informano i giornali, neanche la signora Monti può dire di conoscere. Ma siccome ha spiegato che l’aspirina all’Italia non basta, quale illustrissimo cerusico di tagli e ricuciture si palesa – e cardinali e ad e moderati sbandati s’attruppano speranzosi e grati e quasi tutti a nuova vita rinati. Il Nirvana, ieri ha voluto evocare Monti: certo per deprecare lo stato di sonnolenza del paese, forse anche per indirizzare i festosi nuovi alleati verso una più contenuta assenza di desideri.