Imbroglio no, enigma sì

E se politica e banche avessero esagerato nella rincorsa a Lady Spread?

Stefano Cingolani

Che lo spread sia un imbroglio è un grido di battaglia politico. Che sia un enigma è un dato di fatto. La differenza tra i titoli decennali italiani e tedeschi è sotto i 300 punti base, e nei giorni scorsi ha sfiorato i 287, la quota obiettivo indicata da Mario Monti per passare il testimone e dichiarare vittoria. Come mai? Certo non può essere la legge di stabilità che mostra tutti i difetti delle solite finanziarie; tanto meno questa coda sfilacciata di legislatura o le grandi riforme nel cassetto. E allora?

    Che lo spread sia un imbroglio è un grido di battaglia politico. Che sia un enigma è un dato di fatto. La differenza tra i titoli decennali italiani e tedeschi è sotto i 300 punti base, e nei giorni scorsi ha sfiorato i 287, la quota obiettivo indicata da Mario Monti per passare il testimone e dichiarare vittoria. Come mai? Certo non può essere la legge di stabilità che mostra tutti i difetti delle solite finanziarie; tanto meno questa coda sfilacciata di legislatura o le grandi riforme nel cassetto. E allora? Tenere la barra dritta, garantire continuità e rigore nei conti, assicurare il pareggio del bilancio nei termini prestabiliti sono premesse indispensabili. Tuttavia, i fondamentali dell’economia italiana restano gli stessi e alcuni indicatori chiave sono persino peggiorati: la recessione è più forte del previsto, il debito pubblico ha varcato i duemila miliardi e continua a salire rispetto al prodotto lordo.

    Un bell’aiuto arriva dalla Grecia che forse vede un barlume nella notte. Gli imprenditori tedeschi sono più ottimisti. L’accordo sul bilancio americano sembra imminente in barba a tutti gli articoli dei menagrami sul baratro fiscale. Insomma, il clima esterno s’è rasserenato e in una economia nella quale le percezioni contano quanto le azioni, tutto fa brodo. Ma incide anche un altro, importantissimo fattore, che ieri l’Assobancaria (Abi) ha messo in evidenza: “L’allentamento delle tensioni sui mercati finanziari è il risultato della decisa azione da parte della Bce”, e non tanto “dell’apprezzamento generale delle politiche” nazionali e comunitarie, scrive il rapporto di previsione per il prossimo anno. L’Abi ha in mente l’intervento di Mario Draghi in agosto e quel bazooka (l’Omt) pronto anche se resta in armeria. Ma non solo. Facciamo un passo indietro di un anno, quando venne varato il programma straordinario di sostegno alle banche, con prestiti illimitati all’un per cento. In due tranche, sono stati erogati mille miliardi di euro. Le banche italiane hanno prelevato dal bancomat Bce circa 250 miliardi, di questi ben 147 sono serviti ad acquistare titoli di stato. Oggi nella pancia del sistema bancario nazionale ci sono circa 340 miliardi in Btp (176 miliardi), Bot, Cct, Ctz. Ciò ha consentito il successo delle aste sui nuovi titoli e ha spento la speculazione su quelli già emessi. Un effetto sistemico, dunque, stimolato anche dalla moral suasion della Banca d’Italia. Ma nulla è gratis. In uno scenario di tensioni, paura, sfiducia tra le stesse istituzioni finanziarie, l’utilizzo dei prestiti per comperare titoli ha spiazzato il credito alle famiglie e alle imprese.

    I bilanci si sono riempiti di zavorra. Banca Intesa, secondo le stime di Mediobanca R&S, ha da sola 80 miliardi in titoli della Repubblica italiana, pari a una volta e mezza il suo capitale netto; Unicredit ne conserva per 41 miliardi, due terzi del capitale disponibile. Venderli è suicida, bisogna aspettare che cambi il vento, tenerli vuol dire immobilizzare grandi risorse. L’Abi calcola che, rispetto a un anno fa, i prestiti alle famiglie e i mutui per l’acquisto di case sono a crescita zero, il credito al consumo è sceso di sei punti. Dunque, le banche hanno salvato l’Italia, ma non gli italiani. I quali debbono far fronte alle proprie esigenze finanziarie intaccando i risparmi o la ricchezza accumulata in passato. L’enigma dello spread non è risolto, ma appare più chiaro. Analizzando l’ottovolante dello spread che i giornaloni continuano a pubblicare su mezza pagina, si vede chiaramente che la correlazione tra picchi degli interessi e decisioni politiche è vera solo in un periodo di tempo relativamente breve, tra ottobre e novembre dello scorso anno, quando si consuma il governo Berlusconi. C’è una nuova impennata tra l’inverno e la primavera, nonostante il taglio alle pensioni e le misure fiscali del decreto salva Italia varato da Mario Monti. Poi i tassi italiani salgono e scedono con quelli spagnoli. Da settembre in qua lo spread tra Madrid e Roma si allarga di circa cento punti base, ma le due curve continuano a muoversi in sintonia. Di qui ad aprile non esisterà nessun governo in grado di andare oltre il day-by-day, quindi che cosa può impedire una nuova tempesta? Certo un miglioramento della situazione spagnola, ma soprattutto la forte voglia di tornare a muoversi, comprare, vendere, investire, fare profitti. Insomma, gli animal spirits. La moneta è stata nascosta sotto un materasso globale, al caldo rifugio dei Bund tedeschi, dei T-bond americani e dei titoli francesi che danno un rendimento inferiore a due punti percentuali. Ma così, non si fanno utili e non si mette in moto l’economia.