“I 2 Soliti Idioti”, per divertirsi davvero come commedia comanda

Mariarosa Mancuso

Basterebbe non aver visto negli ultimi anni solo cinepanettoni, facendone il metro di misura della comicità popolare, per capire che “I 2 Soliti Idioti” sta dalle parti dell’“Aereo più pazzo del mondo”, girato negli anni Settanta dal trio Zucker-Abrahams-Zucker. Basterebbe non stare lì a contare le parolacce, che a spanne sono meno di quante se ne sentivano nel primo film della coppia Francesco Mandelli-Fabrizio Biggio, per godersi le gag e i personaggi di un film costruito come commedia comanda.

    Basterebbe non aver visto negli ultimi anni solo cinepanettoni, facendone il metro di misura della comicità popolare, per capire che “I 2 Soliti Idioti” sta dalle parti dell’“Aereo più pazzo del mondo”, girato negli anni Settanta dal trio Zucker-Abrahams-Zucker. Basterebbe non stare lì a contare le parolacce, che a spanne sono meno di quante se ne sentivano nel primo film della coppia Francesco Mandelli-Fabrizio Biggio, per godersi le gag e i personaggi di un film costruito come commedia comanda. Commedia e basta, giacché “commedia all’italiana” vuol dire ormai soltanto “stanche situazioni che a fatica strappano una risata” (spesso con la scenetta dell’alito pestilenziale). Quando poi arriva come corollario “senza volgarità” o peggio “garbata”, lo spettatore ha il diritto di fuggire senza passare dalla cassa.

    Spiace solo la scritta “guardateci, ma non imitateci” all’inizio del film, che letta da un pubblico meno ingessato di quello che frequenta le anteprime per i giornalisti procurerà la prima risataccia (più o meno l’effetto che fanno, anche alle proiezioni per la stampa, certi spot antipirateria). Entrano in scena i “minkiafiga”, così etichettati dalle due uniche parole che pronunciano. Se non li avete presente, basta pensare alle quattro parole in croce dei precari, di chi occupa Wall Street, e anche degli aspiranti registi: non servono a dire qualcosa di sensato ma a riconoscersi e a tranquillizzarsi (proprio come le recensioni che coattamente ripetono: “Che orrore, che obbrobrio, non fanno neanche ridere”).
    I “minkiafiga” guardano un film dei “Soliti idioti”, con Ruggero De Ceglie e il rampollo Gianluca, e alla fine anche loro – per non essere da meno, un po’ di roba in giro l’hanno orecchiata – ripetono “il cinema è morto, l’hanno ammazzato questi due”. Gianluca, figlio del re del würstel, si deve sposare con Fabiana, la torta con i würstel già si vede sullo sfondo, c’è però un problemino con la finanza, e uno con il padre della sposa: Teo Teocoli impettito e grigio, pare il gemello separato di Mario Monti. Come capita di rado tra comici di generazioni diverse, che in genere litigano e si snobbano, si sono intesi benissimo. C’è perfino una trama, pure un certo gusto citazionista: dal nobile film muto, al meno nobile “Karate Kid”, all’ignobile serie “Poliziotti scorreggioni”, che appare in tv targata Taodue (alias Pietro Valsecchi, produttore dei “Soliti idioti” uno e due). Azzeccata la regia di Enrico Lando, ottima la colonna sonora con “Minchia Boh!” dei Club Dogo e brani orchestrali a firma GnuQuartet.

    Riconosciuto ai “2 Soliti Idioti” quel che è dei “2 Soliti Idioti” (e ammesso che a noi la sgangheratezza del primo film non aveva dato nessun fastidio, eravamo troppo occupati a ridere), viene il momento della top list. Primo: Gianluca che in luna di miele si arrazza solo quando sfoglia il manuale di anatomia. Secondo: i pirati della strada con la bandana di Johnny Depp nei “Pirati dei Caraibi”. Terzo: il paraguru del Terminillo, che dicendo culo al culo mette in burla il grande ciclo dell’esistenza caro ai santoni e a chi campa sulle insicurezze del prossimo. Quarto: una battuta su parcheggi e Striscia di Gaza così oltraggiosa che sta in zona titoli di coda. Quinto: Ruggero e la sua procace badante che rifanno la scena dello spaghetto in “Lilli e il Vagabondo”. Sesto: la pernacchia a chi dopo una vita di ruberie alla prima difficoltà si redime e fa proseliti: “Prima avevo tutto e non avevo niente. Ora non ho niente e ho tutto”. Settimo: la rissa al capezzale del comatoso, con preghiera di staccare la spina.
    Che altro deve avere un film per chiamarsi satira?