Ma non è il solito quarto partito

Sergio Soave

A tutt’oggi, la sfida elettorale lanciata direttamente o indirettamente da Mario Monti è solo un’ipotesi. Però attorno a questa ipotesi gira tutta la politica italiana, per agevolarla o per scongiurarla, il che testimonia del fatto che si tratterebbe non solo di una novità, ma di una sorta di evento “rivoluzionario”. Le rivoluzioni in Italia, quando va bene sono rivoluzioni conservatrici, quando va male reazionarie; sono quasi sempre incompiute e spesso “tradite” o mutilate, come le scarse vittorie.

    A tutt’oggi, la sfida elettorale lanciata direttamente o indirettamente da Mario Monti è solo un’ipotesi. Però attorno a questa ipotesi gira tutta la politica italiana, per agevolarla o per scongiurarla, il che testimonia del fatto che si tratterebbe non solo di una novità, ma di una sorta di evento “rivoluzionario”. Le rivoluzioni in Italia, quando va bene sono rivoluzioni conservatrici, quando va male reazionarie; sono quasi sempre incompiute e spesso “tradite” o mutilate, come le scarse vittorie. Pur con questi caratteri, quando una nuova élite riesce a catalizzare la formazione di un blocco di forze sociali economiche e culturali in grado di competere per determinare le scelte politiche fondamentali, mentre quelle precedenti vengono paralizzate o tendono a dissolversi, si ha un processo rivoluzionario. In questo caso, nel rispetto delle regole democratiche.

    L’élite che si raccoglie attorno a Monti è essenzialmente quella che ha fatto parte del suo governo, dirigenti del mondo finanziario ed esponenti del mondo accademico, con una partecipazione non secondaria, anche se poco sottolineata, di esponenti delle carriere interne all’apparato dello stato: prefetti, ammiragli, direttori di ministeri. Il che esprime anche il tentativo di costruire un amalgama diverso da quello tradizionale, in cui quelle diverse competenze venivano portate a sintesi da personalità politiche che si assumevano la responsabilità delle scelte. Il primo problema che questa élite un po’ casuale si troverà a dover affrontare è la connessione con formazioni politiche tradizionali, legate a personalità di lungo corso. Ma il problema fondamentale è quello di dare una base di consenso dal basso a un’élite che finora ha esercitato il potere direttamente, o indirettamente come consulente del potere, per una delega ricevuta dall’alto. Ci sono state in passato espressioni politiche di quello che Alcide De Gasperi chiamava il “quarto partito” (quello dei poteri economici, giustapposto ai tre partiti di massa che raccoglievano la gran parte del consenso elettorale), ma hanno quasi sempre avuto una dimensione minore, nei partiti di democrazia laica come il Partito liberale prima e il Partito repubblicano poi. Luigi Einaudi e Ugo La Malfa esercitarono un’influenza talora decisiva, ma per effetto dell’autorevolezza e delle relazioni, non del consenso.

    La novità di ora è che Monti sembra invece orientarsi a cercare un mandato popolare per uscire dalla condizione di riserva della Repubblica, e per farlo evoca un nuovo “blocco storico”: una sorta di strano blocco industriale, che invece della Confindustria e della Cgil schiera Sergio Marchionne – manager che ha tentato la carta dell’innovazione e che ha abbandonato ed è stato abbandonato da Confindustria – e i sindacati moderati che hanno isolato la Cgil. Bisognerà vedere anche se la grande stampa di informazione, che ha condotto la battaglia per Monti quando si trattava di scavallare Berlusconi, vorrà ancora fare da promotore di questo strano blocco. Il blocco “montiano” è ancora in una fase embrionale, rischia di restare in una posizione subalterna se non riuscirà a sfondare in direzione dell’area che si è riconosciuta, nelle primarie democratiche, in Matteo Renzi, e in direzione di quei settori sociali e culturali che avevano affidato al vecchio centrodestra l’obiettivo della riduzione del peso, non solo fiscale, dello stato. Rettori e prefetti non sembrano i più adatti a gestire una riforma dello stato, ex concertatori non sembrano adatti a gestire una nuova fase di competitività. Tuttavia tutti i blocchi storici si creano nel fuoco della battaglia politica, in cui le scorie delle contraddizioni personali e ideologiche si fondono. La scommessa di Monti, se ci sarà, dovrà fare i conti con questi problemi e proprio per questo è tanto interessante.