Quel decreto insabbiato dal governo che eviterebbe altri “casi Marò”

Alberto Brambilla

Dopo dieci mesi i due fucilieri arrestati in India torneranno in Italia per le festività natalizie grazie a una “cauzione” da 826 mila euro. Ma non è certo che un caso simile, che ha incrinato i rapporti diplomatici tra Roma e Nuova Delhi, non si ripeterà in futuro in un contesto in cui dal 2005 a oggi 42 navi italiane sono state attaccate dai pirati e sei di queste sequestrate.

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    Dopo dieci mesi i due fucilieri arrestati in India torneranno in Italia per le festività natalizie grazie a una “cauzione” da 826 mila euro. Ma non è certo che un caso simile, che ha incrinato i rapporti diplomatici tra Roma e Nuova Delhi, non si ripeterà in futuro in un contesto in cui dal 2005 a oggi 42 navi italiane sono state attaccate dai pirati e sei di queste sequestrate. Eppure la detenzione nel Kerala dei Marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, non è bastata a consentire anche a team privati a contratto degli armatori, i cosiddetti contractor, di salire a bordo per difendere le navi con il rischio, ancora attuale, di fare fuggire gli armatori dall’Italia. L’ingaggio di forze private è stato previsto e approvato con la legge n. 130 dell’agosto 2011 che consentiva l’impiego di forze armate a bordo, sia pubbliche sia private, allineando l’Italia a prassi già usate in Francia, Spagna, Germania, Regno Unito e Corea del sud. Nella relazione annuale, dedicata al “piracy alert” del 20 giugno 2012, l’associazione degli armatori Confitarma segnalava che “la definizione degli aspetti normativi e giuridici di regolamentazione – di competenza del ministero dell’Interno – è al momento allo studio”.

    Il riferimento è al decreto attuativo che il ministro dell’Interno ha stilato “di concerto” con quello della Difesa e delle Infrastrutture e trasporti che giace tuttora al dicastero in attesa della firma che doveva arrivare entro 180 giorni. Lo staff del ministro Annamaria Cancellieri non ha fornito i chiarimenti richiesti mercoledì dal Foglio sul perché la pratica sia ferma. Dopo avere sentito il Consiglio di stato e la Farnesina, il ministero si proponeva di adottare il provvedimento per disporre “l’impiego di guardie giurate sui mercantili battenti bandiera italiana, che transitano in acque a rischio pirateria”, come Somalia, Golfo di Aden, mar Rosso, mar Arabico, oceano Indiano e Oman, per via della “necessità di garantire adeguati servizi di protezione delle navi”, si legge nel provvedimento. L’intervento sarebbe consentito “nei casi in cui il ministero della Difesa abbia reso noto all’armatore che non è previsto l’impiego di nuclei militari di protezione”, secondo l’articolo 3. Solo in caso in cui i militari non fossero disponibili per diverse ragioni si potrebbe dunque fare richiesta. Si tratta infatti di una difesa alternativa a quella fornita dallo stato: in alcuni casi i militari non possono imbarcarsi e la difesa anti pirateria può avvenire tramite l’intervento di un sostegno esterno delle forze navali nell’area (un sistema passivo). Nel provvedimento si scende poi nel dettaglio: le guardie giurate dovrebbero essere almeno quattro con un comandante in capo e devono avere seguito corsi di formazione ad hoc, a ciascuno un’arma fino al calibro di fucili d’assalto (es. modello Heckler & Koch 308) che deve essere custodita, sia a terra sia a bordo, in “armadi corazzati” per sicurezza. Anche se in base al decreto sviluppo per attività di contrasto alla pirateria sono stati stanziati 3,7 milioni di euro per il 2012, i finanziamenti pubblici caleranno a 2,6 milioni annui fino al 2020.

    Ciò non elimina un rischio economico per il paese. Infatti non poter scegliere se avere milizie private a bordo, secondo il presidente di Confitarma, Paolo d’Amico, farebbe migrare gli armatori: “Gran parte della nostra flotta potrebbe cambiare bandiera per la mancanza di un provvedimento amministrativo a costo zero”, ha detto d’Amico che ha anche inviato una lettera a Cancellieri per sollecitare la pratica. La gigantesca nave tonniera “Torre Giulia”, operante nell’oceano Indiano, per questo motivo ora batte bandiera francese. Se si considera una nave come un’azienda nazionale, cambiando bandiera è come se “delocalizzasse” la propria attività che, come nota Luigi Giannini, direttore generale di Federpesca, “non sarebbe coerente con la difesa di un patrimonio nazionale quali sono i mercantili e i pescherecci”. Un giro d’affari complessivo che vale il 3 per cento del pil con relativa quota di impieghi per una flotta mercantile di 1.619 navi.

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    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.