Niente più riserva

Cosa cambia per il Pd con la sfida di Monti

Claudio Cerasa

“Personalmente credo che la discesa in campo di Mario Monti, se così possiamo definirla, non sia una mossa saggia per il presidente del Consiglio. Dall’altra parte sono convinto però che la sua candidatura possa essere un’opportunità importante per tutto il centrosinistra". Matteo Orfini – 35 anni, esponente della segreteria Pd, testa d’ariete della corrente laburista del Partito democratico, i giovani turchi – di fronte alla possibilità che Monti si candidi davvero alla presidenza del Consiglio non vede un pericolo per il Partito democratico.

    “Personalmente credo che la discesa in campo di Mario Monti, se così possiamo definirla, non sia una mossa saggia per il presidente del Consiglio. Dall’altra parte sono convinto però che la sua candidatura possa essere un’opportunità importante per tutto il centrosinistra. Sia per distinguere bene i campi da gioco, sia per spiegare a tutti che in campagna elettorale non ci potranno essere fraintendimenti su un principio elementare: l’agenda Monti non è il programma elettorale del centrosinistra ma più semplicemente è l’agenda di Monti: punto”. Matteo Orfini – 35 anni, esponente della segreteria Pd, testa d’ariete della corrente laburista del Partito democratico, i giovani turchi – di fronte alla possibilità che Monti si candidi davvero alla presidenza del Consiglio non vede un pericolo per il Partito democratico, ma intravede piuttosto un’occasione formidabile non solo per indirizzare in una direzione precisa la rotta del centrosinistra, ma anche per rafforzare in qualche modo la candidatura di Pier Luigi Bersani. Orfini non crede ai sondaggi che descrivono la corsa di Monti come un pericolo per la tenuta del Pd, ma crede che se Bersani proseguirà nella strada imboccata durante le primarie la sfida con il dimissionario presidente del Consiglio potrebbe essere, alla lunga, un fatto positivo. “Dico che si tratta di un ‘fatto positivo’ per il centrosinistra perché con Monti in campo la discontinuità tra la sua agenda e la nostra diventa un fatto che avrà una sua rappresentazione plastica durante la campagna elettorale. Il Pd, da adesso in poi, potrà dire con ancora maggiore chiarezza che il suo programma non è in necessaria continuità con il professore, ma che è invece in discontinuità con quello di un primo ministro che, con il suo governo, non ha offerto al paese le ricette adeguate per uscire dalla crisi economica. A questo, poi, va aggiunta un’altra riflessione legata alla candidatura di Monti: una riflessione che in qualche modo si lega con quello che a questo punto è oggettivamente il profilo politico scelto dal premier uscente”.

    “Monti – prosegue Orfini – se riuscirà a federare i così detti moderati farà di sicuro un buon servizio al paese perché aiuterà la nostra coalizione a isolare i populismi e a tenere a freno la retorica anti europeista di Grillo e di Berlusconi. In più, il Pd ha sempre detto che dopo le elezioni non si potrà che aprire un dialogo con i moderati e se dunque Monti riuscirà a mettere insieme un buon gruzzolo di voti il centrosinistra non potrà che avere una ragione in più per stringere un patto con il centro”. Dall’altra parte, poi, secondo Orfini la discesa in campo di Monti, se è vero che mette a repentaglio il suo profilo super partes da perfetta riserva della repubblica, offre uno scenario interessante in cui per la prima volta in Italia succede una cosa che mai la sinistra avrebbe immaginato di vedere: le élite che a sorpresa decidono non più di pesarsi ma, semplicemente, di contarsi. “In questo senso – continua Orfini – bisogna dire che Monti ha avuto coraggio: perché, se davvero si candiderà alle elezioni e se davvero si butterà nella mischia, è il primo a sapere che il suo ruolo non sarà più legato al peso della sua leadership ma molto soltanto ai voti che prenderà: dunque, se prenderà molto avrà molto; se prenderà poco diventerà un leader come molti altri”.

    Orfini, infine, ha seguito in questi giorni le dichiarazioni battagliere degli ultramontiani del Pd e ha ascoltato i consigli rivolti a Bersani dai vari Pietro Ichino, Giorgio Tonini ed Enrico Morando di fare proprio il Memorandum che domani Monti presenterà a Palazzo Chigi. Orfini però insiste e ricorda ai renziani-montiani del Pd che, a suo modo di vedere, le primarie hanno archiviato la pratica e hanno già indicato la rotta che dovrà prendere il centrosinistra nelle prossime settimane per vincere le elezioni. “Non possiamo – conclude Orfini – fare in eterno questa discussione sull’agenda Monti sì, agenda Monti no. Noi siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto con Monti in questo anno, ma per il futuro serve qualcosa in più. L’agenda Bersani, a mio modo di vedere, saprà produrre crescita partendo dalla necessità di ridurre le disuguaglianze, che sono poi il vero fattore che inibisce la crescita, ed è per questo dico che l’agenda Bersani non è l’agenda Monti. Capisco quando Ichino chiede al Pd di discutere con i moderati e con Monti, cosa che Bersani dice da sempre, non lo capisco però quando, in sostanza, chiede che il Pd debba essere guidato praticamente da Monti. Le nostre idee sono abbastanza precise e oggi più che mai rappresentano un’alternativa chiara a molte delle politiche di questo governo. E’ chiaro?”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.