Populista a chi?

Nicoletta Tiliacos

Populista: giudizio politico tombale, qualifica spregiativa tra le più usate nella politica italiana, che di ventate classificate come populiste ne ha sperimentate parecchie, anche in anni recenti. Oggi il principale destinatario dell’insulto è diventato il Movimento 5  stelle di Beppe Grillo, ma c’è il sempreverde Berlusconi, così come il suo acerrimo avversario Di Pietro, e la verdissima Lega Nord, che al suo esordio conquistò a furor di opinionisti il podio olimpico del populismo (addirittura) europeo. E’ difficile trovare qualcuno che negli ultimi vent’anni si sia salvato da quell’anatema.

    Populista: giudizio politico tombale, qualifica spregiativa tra le più usate nella politica italiana, che di ventate classificate come populiste ne ha sperimentate parecchie, anche in anni recenti. Oggi il principale destinatario dell’insulto è diventato il Movimento 5  stelle di Beppe Grillo, ma c’è il sempreverde Berlusconi, così come il suo acerrimo avversario Di Pietro, e la verdissima Lega Nord, che al suo esordio conquistò a furor di opinionisti il podio olimpico del populismo (addirittura) europeo. E’ difficile trovare qualcuno che negli ultimi vent’anni si sia salvato da quell’anatema. Il quale è lanciato, va detto, soprattutto da sinistra verso destra. Il politologo Marco Tarchi, che nel 2003 ha pubblicato con il Mulino “L’Italia populista. Dal qualunquismo ai girotondi”, pensa che “il problema non stia nel definire populisti i soggetti citati, che in misura e forma diverse populisti lo sono davvero. Quel che trovo sgradevole è che si usi come un epiteto un termine che definisce, semplicemente, una mentalità, caratterizzata da un modo particolare di vedere la politica e la società. Su questo tema si è accumulata da decenni una letteratura scientifica consistente – ovviamente, spesso venata di riserve e pregiudizi, e tuttavia capace di prendere sul serio il fenomeno –, ma in bocca ai politici e agli opinionisti il concetto è diventato un banale insulto. Lo si confonde con la demagogia, che non è certo una sua esclusiva (chi, in politica, non proclama di fare il bene del popolo, della gente, sperticandosi in lodi delle sue virtù? Neanche l’algido Mario Monti è esente da queste tirate demagogiche, e tantomeno i Bersani o i Casini o i Montezemolo…). Lo si apparenta all’estrema destra, da cui molte caratteristiche lo allontanano. Se ne fa il ricettacolo di ogni male. E’ un surrogato di altre parole-talismano, che sono servite a lungo per squalificare ogni avversario, come ‘fascista’ (ma anche ‘comunista’, per  esempio nell’uso quasi onnicomprensivo che ne ha fatto Berlusconi). Va di moda, suona bene, evita di argomentare, tanto che nessuno degli spregiatori sente il bisogno di spiegare cosa intende vituperare nel populismo. Basta la parola. Che lo si usi, attualmente, più da sinistra, è inevitabile, perché la mentalità populista ha trovato, in Europa, più spazio per esprimersi sul versante opposto. Ma per un liberale, ad esempio, non è difficile individuare dosi sostanziose di populismo a sinistra. Castro è stato un populista, Chávez lo è, Grillo – che pure mi pare si collochi piuttosto al di là e al di fuori del discrimine sinistra/destra, come già si poteva dire di Di Pietro – pure”.

    Capita che certe accuse parlino più di chi le fa rispetto a chi le riceve. In particolare, nota Tarchi, lanciare l’anatema di populismo si addice “a chi è a corto di idee, programmi e serie prospettive di futuro da offrire e sa, o crede di sapere, che oggi è più facile convincere il pubblico a votare ‘contro’ qualcuno o qualcosa, piuttosto che ‘per’. In altre parole, all’intera classe politica italiana (e non solo), che da decenni è in uno stallo intellettuale sconcertante”. E se in Italia non passa mai di moda l’accusa di populismo è perché, effettivamente “è stata definita, e non a caso, da studiosi seri, come il francese Hermet o l’italiano Zanatta, il ‘laboratorio’ o, addirittura, il ‘paradiso’ del populismo. Concordo. Nel nostro paese c’è un ampio settore di opinione pubblica disposto a recepire il discorso populista. Anni fa, nel mio libro sull’Italia populista, ho compilato un catalogo degli attori politici classificabili in questo ambito. Fra costoro, non pochi sono ancora in attività: Berlusconi, Bossi (che peraltro, lasciando il posto Maroni, pone un interrogativo interessante: può il partito-prototipo del populismo peninsulare, ovvero la Lega nord, rinunciare a incarnare il modello che l’ha portata al successo? Io ne dubito, ma staremo a vedere), Di Pietro, Pannella (che però era più sbilanciato su questo versante vent’anni fa), parecchi degli ex girotondini (quelli che pretendono di incarnare il popolo ‘vero’ e virtuoso: la ‘gente’ che si contrappone alle corrotte classi dirigenti) e così via. Il nuovo ingresso più significativo è Grillo (lui, non il suo Movimento, che peraltro senza la sua voce colerebbe a picco in breve tempo), ma bisogna tener d’occhio anche De Magistris e dintorni”. Mentre, a livello europeo, ogni critica alla linea merkeliana (e montiana, in Italia) passa subito per populista: “Mi pare scontato. Ai populisti non piacciono i poteri sovranazionali, men che meno quelli che non hanno legittimazione elettorale, come la Commissione di Bruxelles, la Bce, il Fmi, né i tecnocrati. Che dal popolo sono distanti mille miglia. Quindi, chi vuol squalificare i critici di Monti o Merkel ci mette poco a fare d’ogni erba un fascio. Anche se ci sono molti motivi diversi da quelli esposti dai populisti per non apprezzare le politiche messe in atto dai due personaggi”.

    Lo storico Ernesto Galli della Loggia ha parlato più volte, da editorialista del Corriere della Sera, della natura non negativa di un populismo “dal basso”, visto come contenuto naturale della protesta contro le oligarchie democratiche. L’accezione dispregiativa di quel termine di nobili natali (vedi l’articolo di Maurizio Stefanini in questa pagina) secondo lui ha una genesi riconoscibile “nel Ventesimo secolo, quando la lotta politica ha avuto bisogno di insulti ideologici (e, in un certo senso, già con la Rivoluzione francese era così). L’ideologizzazione della politica non può che comportare lo scambio di accuse ideologico-politiche caricate di contenuti negativi. Negli ultimi decenni, in Europa, questo è stato consentito soprattutto alla sinistra, mentre l’unica accusa che la destra ha continuato a usare è quella di ‘comunista’; che  non è riuscito a essere un insulto, in quanto rivolto a persone che spesso rivendicavano proprio l’essere comunisti. La sinistra, al contrario, ha affibbiato definizioni negative, come quella di ‘fascista’, a democristiani o a socialdemocratci. ‘Populista’ rientra in questa categoria, e nel momento in cui la sinistra lo usa in modo denigratorio, lo diventa per tutti. Tanto che oggi capita di trovare anche cattolici – coloro che più di altri hanno idolatrato il popolo, che hanno avuto un Partito popolare e Il Popolo come testata storica – pronti a usare come pappagalli, a mo’ di marchio infamante, la parola ‘populista’. Termine che fa il paio con ‘liberista selvaggio’, anche questo usato e adottato in modo pappagallesco da tutti. Sono due termini che vogliono richiamare, nell’ascoltatore, caratteristiche denigratorie, capaci di far suonare sgradevoli campanelli d’allarme: ‘populista’ allude a fascista, ‘liberista selvaggio’ a sfuttatore”. Secondo Galli della Loggia, “l’equivalenza tra populista e demagogico è tutta da dimostrare. Ogni posizione può esporsi alla demagogia. Si può essere un liberista demagogico, un cattolico demagogico, un comunista demagogico e anche un montiano demagogico. La demagogia è una degenerazione di qualunque posizione politica, ed equipararla sic et simpliciter al populismo è indebito”. Anzi, aggiunge lo storico, una certa dose di populismo è implicita nella democrazia, “se vogliamo dar retta ad Abramo Lincoln, il quale ebbe a dire che la democrazia è il governo ‘del popolo, dal popolo e per il popolo’; attenendomi alla sua lezione, penso che la democrazia non possa fare a meno di un legame stretto con il popolo. E nel Ventesimo secolo il popolo ha conosciuto una grande rivincita sul concetto di classe, che invece si è offuscato. L’uomo della strada si è rivelato il grande vincitore sociale del Novecento”.

    Per Ernesto Galli della Loggia, c’è una  chiave fondamentale per capire lo straordinario successo dell’insulto “populista”: “Quell’accusa, così dilagante in Italia, corrisponde alla grande trasformazione politico-sociale intervenuta dopo il 1945 in tutti i paesi dell’Europa occidentale. Fino a quel momento le élite avevano avuto un marcato carattere liberale e altoborghese, e la protesta contro di esse aveva un riconoscibile contenuto di classe. Dal secondo Dopoguerra in poi, in tutto l’occidente hanno governato le élite cristiano e socialdemocratiche. Oggi assistiamo a una grande protesta contro il potere rappresentato da queste élite, verso le quali è molto più difficile, se non impossibile, scagliare accuse di classe. Dietro il dilagare dell’uso negativo di populismo, insomma, c’è il grande fenomeno storico di un avvicendamento delle classi egemoni e c’è una degenerazione oligarchica delle élite democratiche. Sono loro che lanciano l’accusa di populismo verso chi le contrasta. Ed è vero: la protesta ha caratteri populisti, ma non potrebbe essere diversamente. Come si fa a protestare contro le élite democratiche senza essere populisti? Non è possibile, e allora si demonizza la  protesta usando un termine in forma spregiativa”. In questo senso, Grillo, la Lega nord, Berlusconi, Di Pietro, “sono, ognuno a suo modo, populisti, perché non hanno fatto parte delle élite uscite dal 1945 e dalle culture cattolica, socialdemocratica o comunista. Incarnavano e incarnano, in modi diversi, magari anche demagogici, una protesta contro le politiche di quelle élite. Ma non è demagogico anche Vendola, quando promette grandi programmi di risanamento economico che facciano a meno di misure di feroce austerità?”. 

    Certo, i toni contano “e il discorso populista ha una grande difficoltà ad articolarsi in maniera ragionevole. Rischia subito il bercio, l’urlo sguaiato. La sinistra tradizionale – che spesso è demagogica – conserva invece nel suo discorso aspetti di ragionevolezza, ha un lessico civile e una narrazione, come direbbe proprio Vendola, più piana, che conta su materiali lessicali ai quali il nostro orecchio è abituato. ‘Roma ladrona’ (e infatti s’è visto a Milano e in Lombardia che cosa succedeva…) è invece insulto demagogico allo stato puro. Ma anche dire ‘cancelliamo la riforma Fornero’ è demagogia, e Vendola l’ha fatto; così come è demagogia pura quella di Berlusconi che promette di abolire l’Imu”.
    Il critico Alfonso Berardinelli osserva che “l’accusa di populismo, da destra e da sinistra, si intensifica fatalmente in epoca elettorale. Mentre, di per sé, ‘populismo’ non dovrebbe essere una parolaccia. Alla base c’è l’idea che al popolo, e non alle élite intellettuali o politiche, vadano attribuite qualità positive e diritti prioritari. Ma oggi quella di popolo è nozione generale, varia e oscillante. I marxisti dottrinari e ortodossi di una volta criticavano il populismo per attribuire ai soli operai di fabbrica ruolo sociale e politico privilegiato. L’operaismo era una specie di populismo settoriale, con pretese scientifiche, secondo l’idea che l’intera società non contava ma contava la sua essenza, cioè la classe operaia di fabbrica: una sorta di radice della società, l’unica di cui valesse la pena occuparsi. La situazione di oggi è molto diversa, ed è interessante sia per la sua incertezza sia perché le parti politiche in competizione sembrano ignorare la società. La considerano un’incognita e per questo si sente volare così frequentemente l’accusa di populismo. Ma tanto a sinistra quanto a destra temono il popolo, vale a dire il novanta per cento della popolazione”.

    Anche Berardinelli, come Tarchi e Galli della Loggia, distingue “tra populismo e demagogia. Il populista classico degli ultimi vent’anni è stato Berlusconi. La sinistra, convinta di tenere in pugno lo scettro della storia e il polso della società, ha scoperto che ignorava storia e società, e si è trovata di fronte a un fenomeno totalmente imprevisto. Allora la destra sorprese la sinistra, ma oggi anche la destra teme il popolo, perché ha esaurito il suo ciclo. Le novità sono la crisi internazionale e gli equilibri di politica estera, rispetto ai quali sia Berlusconi sia la Lega non si muovono agevolmente. Si parla tanto di populismo, anche rispetto al movimento di Grillo, proprio perché c’è surriscaldamento elettorale”. Il popolo è diventato un’incognita, dice Berardinelli, e non c’è sondaggista che possa rimediare a questo: “Il popolo è un’incognita perché nella sua composizione sociale c’è ormai una miriade di categorie spaventate e litigiose. A unirle c’è la paura dell’impoverimento e del declassamento, e l’odio per la classe politica. La stessa ambiguità nei confronti di Monti, non amato per i sacrifici inflitti ma capace di rispondere a un bisogno di fiducia, nasce da qui. Populista o meno, la domanda alla quale credo che molti italiani  pensano di voler trovare una buona risposta è: quale governo sarà più affidabile, per competenza e per onestà? E il popolo,  avrà più paura del controllo di stato o più paura del mercato?”.