Sogno di una notte in convento, tra padre Carlo e le Olgettine redente

Umberto Silva

Mi fanno paura l’eternità, la cucina giapponese e soprattutto la mia cattiveria, sicché sotto Natale compio atti espiatori di varia natura. Giorni fa sono andato a trovare un mio compagno di scuola, il Carlone, ora padre Carlo, che con i soldi ereditati e quelli dei benefattori ha messo su, vicino a Varese, una comunità di recupero riadattando un antico convento e un paio di cascine. Nessuno al liceo pensava che il Carlone si sarebbe fatto prete; gli piaceva mangiare, bere e fare scherzi del cavolo.

    Mi fanno paura l’eternità, la cucina giapponese e soprattutto la mia cattiveria, sicché sotto Natale compio atti espiatori di varia natura. Giorni fa sono andato a trovare un mio compagno di scuola, il Carlone, ora padre Carlo, che con i soldi ereditati e quelli dei benefattori ha messo su, vicino a Varese, una comunità di recupero riadattando un antico convento e un paio di cascine. Nessuno al liceo pensava che il Carlone si sarebbe fatto prete; gli piaceva mangiare, bere e fare scherzi del cavolo. Poi però mi dava le chiavi dello studio del papà avvocato per portarci di notte le ragazze.
    Non ci vedevamo da cinquant’anni ma l’incontro è stato cordialissimo. Il Carlone, alias padre Carlo, era eguale a come l’avevo lasciato, panciuto e bonario, pronto alla risata. Mi ha portato in giro per la comunità dove c’erano ragazze che filavano tessuti e cucivano borsette, mi ha mostrato i campi coltivati, mi ha invitato a cena e a passare la notte nel convento. Ho accettato di buon grado: una pace che da tempo non conoscevo si era impadronita di me.

    La cena, squisita, ci fu servita nel refettorio da ragazze vestite con una lunga tunica bianca. “Ma quella con lo chignon…”, mormorai sorpreso. Padre Carlo sorrise: “Sì, è proprio lei. Fino a qualche mese fa si offriva a Satana per trenta denari, ora si offre a Nostro Signore per il paradiso”. E sempre più compiaciuto continuò: “C’è l’ordine delle Celestine, quello delle Marcelline e delle Orsoline, perché non quello delle Olgettine? Sì, ci sono alcune di loro nella mia comunità, e adesso, ti assicuro, filano diritto”. Era vero, filavano diritto, come appurai la notte aggirandomi per i corridoi dell’antica dimora, l’orecchio appoggiato sulla porta delle loro stanze. Non so perché ma a un certo punto mi trovai con l’indice della mano destra così profondamente infilato in una toppa al punto che non riuscivo più a estrarlo. Lo ruotai e tirai finché venne fuori sanguinante e dolente.
    Non scoprii niente di strano, era tutto tranquillo. Filavano tanto diritto, le Olgettine, che la mia pace fu irrimediabilmente turbata dall’idea che filassero davvero così diritto. Se ne accorse l’indomani padre Carlo mentre facevamo colazione. “Sei sempre stato diffidente, tu”, mi rimbrottò bonario, “e finché non trovi traccia del diavolo non ti dai pace”. “Vieni”, mi disse, “adesso sentirai con le tue orecchie la trasformazione di quelle giovinette”. Mi portò nella cappella del convento e m’invitò a prendere posto nel confessionale. “Ne hai il diritto, sei uno psicoanalista” mi disse, “ma noi preti siamo arrivati prima”.

    Entrarono delle ragazze, s’inginocchiarono e pregarono. All’improvviso dalla grata tuonò un vocione che mi diceva: “Ho peccato padre!”. Pensai fosse il Carlone che mi prendeva in giro e mi sporsi dal confessionale, e invece no, era una graziosissima fanciulla a parlare. Certo, pensai, le donne un tempo erano più bruttine ma avevano delle voci molto calibrate. La giovane donna rivelò la sua colpa: “Ho mangiato la mozzarella di bufala, padre, tutta quella del frigo. E anche le uova”. Padre Carlone aveva fatto un ottimo lavoro, dovetti ammettere, il peccato era minimo; quel che invece m’impressionava era la voce che a ogni parola cresceva sempre più di tono, portando con sé strani suoni, antropofagi direi, gutturali e animaleschi, che ben poco si addicevano alla snella ed elegante silhouette. Guardai ancora fuori dal confessionale, era proprio la ragazza di prima, dal visetto d’angelo. Rimisi la testa dentro e m’investì l’odore di un violento reflusso gastroesofageo: “Mi assolva padre, la mozzarella mi sta tutta sullo stomaco!”. “Ego te absolvo…”. Farfugliai la formula magica, ma non riuscivo a ricordarla bene. “Sbrigati, coglione!”, urlò la Bestia.

    Mi risvegliai nella celletta del convento succhiandomi il dito che, peraltro, non presentava ferita alcuna. Il sogno mi aveva sconvolto, ero tutto sudato e ci misi un po’ a raccapezzarmi. Non avevo vagato nei corridoi né confessato alcuno, mi ero accontentato di mettermi a letto in compagnia di un paio di libri. Bussavano alla porta, portando il vassoio della colazione entrò una ragazza. Mi avvicinai alla sua bocca, odorava di fragrante rugiada. Qualche ora dopo padre Carlo con un gruppetto di recuperate m’accompagnò all’auto. Mi sedetti al posto di guida, accesi il motore, strinsi il volante e le mani… vi restarono appiccicate. Il solito vecchio Carlone!