Toh, l'animalista è di destra

Stefano Di Michele

Michela Vittoria Brambilla – l’on. Brambilla, l’ex ministro Brambilla, la pasionaria berlusconiana MVB – ha una vena dorata di bella follia, e abbastanza buonsenso e bastevole compassione per gettarsi nel combattimento in battaglie che, pur vorticosamente avanzando su alti tacchi e scuotendo la chioma rossa, la convenienza consiglierebbe di evitare. Per essere animalisti bisogna essere un po’ matti (matti con ragione, di ragionevole pazzia, si capisce).

    “Per quanta giustizia possa esserci in una città, basterà la presenza del mattatoio a farne una figlia della maledizione. Per quanto nobile possa essere una ricerca della medicina, la sperimentazione su esseri viventi ne farà sempre una figlia della maledizione” (Guido Ceronetti, “Il silenzio del corpo”)
     
    Si può fare nel nome di Ugo – asino. Di Zigulì – gatto. Di Diva e di Giulietta e di Ramira e di Why Wait e di Zorlando, “il mio grande amore” – cavalli. Di Valentina, Martina, Natalina, Minni, Pippo, Orazio e Clarabella – caprette salvate dal rito orrendo del macello. Nel nome di Tracy – cane, cagnetta. Cagnetta che il suo padrone aveva provato ad uccidere così: “Giunto sul posto, l’ha tenuta ferma con un forcone, perché non scappasse, e con ferocia l’ha colpita in testa, fino a tramortirla, con lo stesso badile che poi ha usato per scavarle la fossa. L’ha seppellita e se ne è tornato a casa dalla famiglia. Ma Tracy non era morta, aveva solo perso i sensi. Così è riuscita a portare la punta del muso appena a filo della terra, alla disperata ricerca di aria…”. Ed ecco Michela Vittoria che corre, che si mette a scavare con la mani la terra, che libera la bestia. Tracy visse, si salvò. Il padrone, orgogliosamente (meritoriamente orgoglioso) cacciatore, che voleva assassinarla, disse a Michela Vittoria: “Per colpa sua, i compagni di scuola di mio figlio gli dicono che il suo papà è un assassino”. “E hanno ragione”, rispose lei. Michela Vittoria Brambilla – l’on. Brambilla, l’ex ministro Brambilla, la pasionaria berlusconiana MVB – ha una vena dorata di bella follia, e abbastanza buonsenso e bastevole compassione per gettarsi nel combattimento in battaglie che, pur vorticosamente avanzando su alti tacchi e scuotendo la chioma rossa, la convenienza consiglierebbe di evitare. Per essere animalisti bisogna essere un po’ matti (matti con ragione, di ragionevole pazzia, si capisce), sopportare a volte lo scherno, avere una sorta di proprio “doppio sguardo” (come quello evocato dalla Yourcenar: così da vedere il dolore dove altri il dolore non vede), che trascende persino l’essere suo deputata e pidielle, e di triplice burrascosa pazienza. Ora ha scritto un libro. Un bel libro – ché di solito i libri dei politici belli non sono, interessanti meno (quasi quasi pareggiano il conto con quelli dei giornalisti): un bel libro perché è utile, è un bel libro perché è pieno di passione e rabbia e saggezza, un bel libro perché sfiora e illumina un tema vero che da qualche anno si fa strada sulla scena politica: quello che chiamano “animalismo di destra”.

    E appunto il “Manifesto animalista. Difendiamo i loro diritti” (Mondadori) è una sorta di ragionato catalogo delle battaglie fatte, di quelle da fare, del senso forte e civile di una lotta del genere. Con qualcosa di più: ci sono pagine anche emotivamente intense, dal racconto di tutti gli animali salvati alla cronaca terrificante di una visita della deputata Brambilla all’allevamento di Green Hill – quasi a sfiorare certe pagine di “Una donna e altri animali” di Brunella Gasperini, uno dei libri più belli (semplice e intenso) sul rapporto tra un essere umano e le bestie amate. “I cani di Green Hill non avevano mai la possibilità di uscire da quelle gabbie, di vedere la luce del sole, di respirare a pieni polmoni la brezza autunnale della verde collina bresciana – scrive la Brambilla –. Non sapevano che cosa volesse dire correre sull’erba. Utilizzate come macchine per produrre tanti piccoli sventurati come loro, le riproduttrici accudivano con disperata tenerezza i loro piccoli, perché avevano imparato che, prima o poi, qualcuno sarebbe venuto a portarglieli via”. All’onorevole spiegano, con tecnica consapevolezza (che nell’assoluta ragionieristica esposizione duole e toglie il respiro): “Tanto queste cagne durano solo tre anni” – vittime che verranno. E anche: “Guardi che questo posto non ha niente di diverso da un allevamento di polli in batteria” – appunto. “All’esito delle prime indagini mi dicono che tutto è regolare. Regolare? Può darsi. Premesso che la legalità formale non è sempre una garanzia, resta sempre e soprattutto un problema morale”. Che è esattamente la questione che tocca molte delle battaglie animaliste. Spesso combattute a sinistra, sempre più spesso, però, fortunatamente, anche a destra. Con qualche curiosa sorpresa.
    Alcuni anni fa la rivista Charta minuta, della fondazione FareFuturo, vicina a Gianfranco Fini, pubblicò un intero numero intitolato “Dalla parte degli animali”, insieme a un sondaggio da cui risultava che “il 45 per cento degli elettori di centrodestra e il 37 per cento degli elettori di centrosinistra ritiene che gli animali sono in grado di provare sentimenti e non è giusto fare loro violenza”. E sempre nello stesso sondaggio, l’elettorato di centrodestra giudicava la caccia al 47 per cento “un’inutile crudeltà” da vietare, mentre per il 28 per cento doveva “essere ridotta istituendo regole più rigide”. Un’iniziativa che fece scalpore, quella di Charta minuta, che sdoganava definitivamente – e al massimo livello politico-istituzionale, si potrebbe dire – il fenomeno dell’animalismo di destra. “Avatar a destra”, titolò così il suo editoriale Adolfo Urso. “Ci sono temi – spiegava la rivista – che non sono né di destra né di sinistra. Come la lotta per i diritti degli animali, che appartiene a chiunque creda che la vita sia sempre un bene che merita attenzione e che il dolore gratuito deve essere risparmiato a qualunque essere sia in grado di provarlo. Auspicando che presto l’uomo la smetta di sentirsi ‘altro’ dal mondo che lo accoglie”. E poneva la questione che in fondo muove ogni animalista, su un fronte o sull’altro: “Siamo così certi di essere gli unici esseri viventi la cui vita abbia un valore?”. Ai lettori venivano offerte tanto le riflessioni di un mito della musica come il vegetariano Paul McCartney, “non si può mangiare ciò che ha un volto”, e la bella e commovente riflessione di un Papa come Paolo VI: “Anche gli animali sono creature di Dio, che nella loro muta sofferenza sono un segno dell’impronta universale del peccato e della universale attesa della redenzione”. E un richiamo a vari leader (allora) di caratura mondiale – da Cameron a Reinfeldt, da Sarkozy a Schwarzenegger – amichevoli con gli animali. In più, anche l’elenco dei trenta deputati “ribelli” del centrodestra per un impegno più deciso in difesa degli animali e contro la caccia, da Cazzola a La Loggia, dalla Biancofiore a Maglieri, da Lunardi a Versace, dalla Perina a Della Vedova. “Quella per i diritti degli animali è e deve essere la battaglia di chiunque la voglia combattere”. E appunto fu giudicata, dagli stessi che avevano messo in campo l’iniziativa, “una cosa impensabile fino a qualche anno fa” – ché dura ancora è a morire l’idea della destra come “sponsor dei cacciatori”, che pure regge, che pure resiste, e ottanta parlamentari sostenitori dello schioppo, quando si presentò l’occasione, chiesero a Berlusconi di far dimettere l’appassionata Brambilla. Il Cav., fortunatamente, non intese. O forse, accortamente, fece finta di non intendere.

    Mica solo la Brambilla. C’è stata la sottosegretaria leghista (e certo la Lega un partito anticaccia mai è stato), Francesca Martini, che gagliardamente si è battuta negli anni passati. Franco Frattini ha firmato per primo il disegno di legge contro i maltrattamenti agli animali. L’ex An Basilio Catanoso stoppò in Aula un emendamento che provava ad allungare la stagione triste e crudele (pure Mina cantava e deprecava “i cacciatori senza mira e senza cuore” – mica sono, quelli, i delfini o i vecchi mendicanti o gli amanti) della caccia: “Il cittadino italiano è sicuramente, rispetto a dieci-venti anni fa, più attento alle tematiche anticaccia, animaliste e protezioniste in generale”. Persino Maurizio Gasparri ha tuonato, quando è stato il momento, sia contro Trenitalia che aveva avuto la bella pensata di non far salire i cani sui suoi vagoni, sia contro la fesseria di una tassa (pure?) sui cani e sui gatti che vivono in casa: “Un’idea assurda. Non so se questa proposta andrà avanti, ma certamente al Senato non passerà mai”. Una discussione che è scivolata, negli ultimi anni, dagli ambienti della destra, diciamo così, istituzionale, a quella più estrema. Con tanto di (comica) allerta antifascista sul fronte opposto – e così il discorso si ampliava, si complicava, perdeva spesso di senso pratico. Partendo, magari, proprio dall’iniziativa di Charta minuta. “Ancora più a destra di Futuro e libertà, scriveva e allertava ad esempio la Rivista anarchica, “si sono formati gruppi neofascisti che abbinano a un messaggio anticapitalista rivendicazioni contro lo sfruttamento animale e di propaganda del veganismo, spingendosi fino a definirsi antispecisti, o come dicono loro ‘antispe’ (…). In realtà il discorso è più complicato e coinvolge anche il movimento antispecista che deve interrogarsi su come è possibile che gruppi ideologicamente legati a idee conservatrici, o addirittura fasciste o neonaziste possano definirsi antispecisti. O meglio: questo loro definirsi antispecisti è concettualmente possibile oppure no?”. I due autori del lungo saggio, Luca Carli e Adriano Fragaro, sostenevano chiaramente il contrario. “Eppure i tentativi di sdoganamento di una destra animalista e persino antispecista ci sono e sono sempre più numerosi. Tutto avviene subdolamente e mediante una cortina fumogena che avvolge e confonde le idee, una sorta di foschia che appiattisce e livella non permettendo più chiare identificazioni, ma causando un’incredibile e assurda commistione di idee, principi e intenti”. C’è stato il caso di una manifestazione contro Green Hill in cui i milianti di Ideopolis sono stati invitati a restare fuori dal corteo. “Appartenete a un’area politica con la quale c’è una divergenza ideologica abissale, per cui vi chiediamo di non prendere parte al corteo – fu il messaggio che gli organizzatori fecero recapitare –. Siete un movimento di destra e cercate di infiltrarvi in quello animalista, che invece lotta per le uguaglianze e i diritti sociali che vogliamo espandere a tutti gli esseri viventi”. E molto fece discutere un articolo su Left di Antonio Musella, “Animalismo nero”, che così iniziava: “Odiano i diversi, gli immigrati, gli omosessuali, ma si ergono a difensori di cagnolini e scimmiette. La passione per gli animali nel nostro paese unisce molte figure nere. Militanti di organizzazioni xenofobe come Forza nuova, spesso a fianco di Michela Brambilla, ex ministro del governo Berlusconi, passata dalla difesa a oltranza dell’ex premier a quella degli amici a quattro zampe…”. Un articolo fortemente criticato a sinistra su “Gli Altri”, rivista poco ortodossa di Piero Sansonetti.

    Invece, su Umanità Nuova, settimanale anarchico, alcuni anni fa l’allarme veniva ripreso e amplificato – e nel mirino finiva l’associazione 100% Animalisti (titolo, per capire l’argomentare: “Animalismo di destra, cento per cento nazisti”): “Ma questo non è l’unico esempio della ‘sensibilità’ animalista della destra radicale: articoli contro la vivisezione sono apparsi in questi anni su varie testate, da Azione Giovani ai comunitaristi passando per la Nuova Acropoli, e recentemente un raggruppamento come la Comunità politica di Avanguardia ha solidarizzato con l’animalista militante Marina Berati di Agireora…”. E spiegavano, sulle pagine del settimanale anarchico: “Il rapporto ‘ecologia e tradizione’ rientra infatti perfettamente nel paradigma nazista del ‘Sangue e Suolo’, ed in esso va inscritta la visione ‘conservatrice’ della natura e delle sue leggi che stabiliscono la sopravvivenza e il prevalere delle razze e degli individui più forti, ispiratrice di una concezione ‘eco-biologica’ della caccia (e della guerra)”. Ma anche una militante femminista, pur decisamente schierata contro l’animalismo di destra, “non ci sono dubbi riguardo al fatto che non vi sia posto per ‘destrorsi’ nel nascente movimento”, alla fine gettava l’allarme nel campo opposto: “Ed esorto perciò noi tutti, che abbiamo a cuore la lotta antifascista, a renderci conto che quando i fascisti si fanno spavaldi è perché sentono una debolezza, un vuoto, uno spazio in cui possono cercare d’infiltrarsi: perciò se ciò dovesse accadere nell’ambito della lotta di liberazione animale, il primo esame di coscienza dovrebbe venire proprio dal movimento antagonista e da quei tantissimi militanti e attivisti che a oggi, nei confronti del nascente movimento antispecista, non hanno dimostrato che perplessità e indifferenza”. E un gran dibattere, intanto, sui vari forum, tanto su Hitler supposto vegetariano, quanto su Stalin parimenti crudele ma onnivoro. “Io ho tanti amici di sinistra (abitando in Emilia) e sono tutti carnedipendenti. Io sono vegan e più di dx”. “Oggi io vedo vegetariani, vegani e animalisti vari che stanno attenti a non calpestare una formica ma che poi giustificano i crimini dei regimi comunisti (circa 120 milioni di morti)…”. E su Occidentale, sotto il non poco impegnativo (e surreale) titolo “La nascista dell’animalismo in Italia si deve solo alla morte del comunismo”, si argomentava nel maggio scorso: “La zoofilia ha una lunga tradizione di destra, aristocratica e antiprogressita soprattutto nelle sue origini inglesi, ma un po’ anche in Italia. Soprattutto la tematica antivivisezionista è stata, fin da fine ’800, tipica della destra antiprogressista e forse anche antimoderna…”.

    E così non pochi animalisti di destra, per difendere le loro posizioni – tanto nel dibattito con la sinistra, tanto e soprattutto per parare i colpi (di schioppo, di esultante schioppo) a destra – citano spesso i grandi nomi della cultura di riferimento che hanno mostrato amore per gli animali, da Nietzsche a Lorenz, da Jünger a Mann. E sono proprio loro, in qualche modo, a offrire sostegno – intellettuale, filosofico – allo stesso ardente comportamento della Brambilla che l’ex ministro ammette nel suo libro. “L’uomo non può fare tutto ciò che gli permetterebbe la fredda ragione – secondo Lorenz –: può accadere che il sentimento si opponga in modo inequivocabile a un’azione i cui motivi etici siano del tutto ineccepibili, e guai a colui che in questo caso darà ascolto alla voce dell’intelletto e non a quella del sentimento” (un po’ come il quesito brambilliano di fronte alla carcerazione dei piccoli beagle: la regola sarà a posto, ma la coscienza?). O Nietzsche – Nietzsche che abbracciava i cavalli e piangeva: “In tutti i tempi gli uomini più profondi hanno avuto compassione degli animali, proprio perché essi soffrono della vita, ma non hanno la forza di rivolgere la punta del dolore contro se stessi e di comprendere metafisicamente la loro esistenza; il vedere il dolore senza senso suscita anzi ribellione nel più profondo dell’animo” – ecco che quasi torna il “doppio sguardo” dell’inizio. Guido Ceronetti, nei nostri giorni: “Tutte le torture, i patimenti, i terrori (per Némesis, imperdonabili) inflitti agli animali appartengono legittimamente al dolore infinito della storia e ne modificano il senso, se ne abbia uno”. O il sorprendente – meno impegnativo apparentemente, straordinario sempre, ironico e adesso compassionevole – Ennio Flaiano, certo un altro intellettuale non apparentabile alla sinistra: “Questa umanità che si considera figlia di Dio, divina e portata a dominare la terra, in realtà la sta sconvolgendo e non tiene conto degli altri ospiti che sono su questo pianeta, o ne tiene conto soltanto per farsene delle pellicce, per utilizzarli come cibo, per utilizzarli nel lavoro. E’ la più grossa impresa di schiavitù della storia”. Ed è così che vanno (forse, per fortuna, le cose cominciano ad andare) certi nuovi pensieri, anche a destra. Nonostante la lamentazione di un Roger Scruton per la caccia che fu, nonostante la passione langoniana, a forgiatura “destra divina”, per la stessa discutibile attività quale “profondamente morale”, così che pure la marmotta s’ha da ingurgitare, pure l’istrice (in salmì) s’ha da divorare.

    Michela Vittoria Brambilla fa, con il suo libro, un grande favore (oltre che alla buonissima causa dell’animalismo) alla sua parte politica, che mica per troppe battaglie onorevoli ultimamente si è segnalata. Butta lo scalpo rosso nella mischia, e saggiamente misura poco le parole – ché mica da moderati si può essere su tutto moderati, così da non schiattare sempre di convenienza e di noia. Da ministro (del Turismo, nientemeno) persino del Palio di Siena auspica la chiusura, “il manuale prevede le dimissioni o, in alternativa, una visita psichiatrica. Ma io non seguo il manuale e non ho paura”, schiera Tolstoj contro i cacciatori – “in questo costante suicidio morale è il male supremo della caccia” – nel paese che piazza armi ovunque, ha vinto una causa mossa contro di lei dai diretti interessati dopo che aveva definito la loro attività “un atto stupido e crudele”, che senza il politicamente corretto di comodo si scaglia contro ogni macellazione rituale, e annota soddisfatta e temeraria – un’occhiata all’emiciclo di Montecitorio, tra le sue colleghe, sarebbe istruttivo: “Trovo davvero volgari le donne impellicciate. Anche se sono bellissime, sembrano tutte caricature di Crudelia De Mon…”. Ci vuole a volte, nelle battaglie migliori che succede di combattere, un po’ di divertito e vero “scapocciamento”. E poi, si tratta di esseri che o vivono o crepano – per mano nostra, crepano: è il diverso che sempre persiste tra bestia e belva. Debbono vivere, pensano i migliori – a sinistra, come a destra.