“Usate anche armi chimiche”

In Siria il regime spara sulle code per il pane. E' una tattica di guerra

Matteo Matzuzzi

Sono più di ottanta i morti causati dagli ultimi bombardamenti su città e villaggi della Siria da parte dei lealisti del regime di Bashar el Assad. Il bilancio più grave è a Qahtania, un piccolo centro nella provincia di Raqqa, nel nord del paese. Qui, i carriarmati di Damasco ieri hanno aperto il fuoco sulla folla, uccidendo almeno venti persone, fa sapere l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha diffuso sul Web un video in cui si vedono gli effetti della strage.

    Sono più di ottanta i morti causati dagli ultimi bombardamenti su città e villaggi della Siria da parte dei lealisti del regime di Bashar el Assad. Il bilancio più grave è a Qahtania, un piccolo centro nella provincia di Raqqa, nel nord del paese. Qui, i carriarmati di Damasco ieri hanno aperto il fuoco sulla folla, uccidendo almeno venti persone, fa sapere l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha diffuso sul Web un video in cui si vedono gli effetti della strage. “Tanto per essere chiari, qui non ci sono jihadisti del Fronte al Nusra né altri gruppi ribelli organizzati. Le vittime erano solo contadini”, ha detto il capo dell’Osservatorio, Abdel Rahman. I civili sono ormai il bersaglio preferito delle forze di Assad. Sempre più numerose sono le stragi di donne e bambini che in fila aspettano il proprio turno per comprare il pane, all’esterno dei forni aperti a singhiozzo. La motivazione ufficiale dei governativi è sempre la stessa: in mezzo a quei civili si annidano ribelli armati, terroristi. Ed erano almeno in mille, domenica scorsa, in fila davanti a un forno di Halfaya, nella provincia di Hama, in Siria. “Da giorni non apriva, non c’era farina”, ha detto un testimone locale alla tv al Arabiya: “Appena il panificio ha ripreso il lavoro, si è formata una fila lunghissima con tante donne e bambini”. Poi, di colpo, un bombardamento aereo e i morti fatti a pezzi davanti al forno. Un centinaio di vittime secondo gli attivisti, addirittura trecento per al Arabiya. L’ordine di bombardare Halfaya è arrivato direttamente da Damasco, dopo che una settimana fa un gruppo di ribelli era arrivato in città, dopo l’offensiva (andata male) per conquistare territorio attorno a Hama, centro strategico in mano alle truppe di Assad.

    E’ lo stesso identico schema che in almeno altri dieci casi, come testimonia il rapporto di Human Rights Watch dello scorso agosto, i lealisti hanno applicato per fare fuoco sui civili, indiscriminatamente. Il 16 agosto, alle 5.45 del mattino, a Qadi Askar (quartiere di Aleppo), almeno due colpi d’artiglieria furono sparati contro una base dell’Esercito libero siriano, senza fare danni. Quindici minuti dopo, altri tre colpi colpirono in rapida successione lo spiazzo davanti al panificio della zona, dove diverse centinaia di persone stavano aspettando il proprio turno per comprare il pane.  Difficile verificare il numero dei morti: i soccorritori si facevano largo tra i corpi dilaniati tentando di recuperare i feriti e di trasportarli al vicino ospedale di Dar al Shifaa. Il bilancio ufficiale è di 49 morti identificati e 76 feriti. Undici i cadaveri per i quali è stato impossibile dare un nome. La stessa tecnica si è ripetuta altre volte, sempre uguale, in altre zone di Aleppo mentre infuriava la battaglia tra i ribelli e i lealisti, la scorsa estate. Sparare su chi in fila vuole comprare il pane è diventata una tattica di guerra. Il governo non fa nulla per ridurre il numero dei morti civili, non avverte la popolazione di quanto sia rischioso affollare aree in cui si potrebbero nascondere ribelli armati.
    L’obiettivo è di fare più morti possibili, come spiega il rapporto di Human Rights Watch: spesso, infatti, prima del bombardamento un elicottero sorvola la strada o la piazza che di lì a poco colpirà. I lealisti aspettano che si formino le lunghe file all’esterno dei forni, quindi sparano dall’alto. A volte, direttamente sui panifici, come accaduto il 21 agosto a Bab al Hadid, quando nel bombardamento morirono ventitre persone.

    L’esercito “non protegge più” la popolazione
    Ieri il generale  Abdulaziz al Shalal, il capo della polizia militare siriana, ha annunciato in un video diffuso dalla tv satellitare al Arabiya il passaggio con i ribelli che fino a ieri combatteva: “L’esercito ha rinunciato alla sua missione fondamentale, la protezione del paese. Si è trasformato in tante bande di morte e distruzione che massacrano il nostro popolo innocente che chiede libertà”. Al Shalal, che nel breve filmato appare in divisa, parla da una zona vicina al confine con la Turchia e assicura che oltre a lui altri ufficiali sono pronti ad abbandonare Assad.
    Il capo della polizia militare di Damasco è l’ufficiale più alto in grado ad aver disertato, anche se fonti del regime minimizzano parlando con la Reuters l’importanza della sua defezione: avrebbe comunque lasciato l’incarico entro un mese e ha voluto fare un gesto da “eroe”, sostengono sprezzanti. “L’eroe” accusa gli uomini che ha guidato fino a poche ore fa di avere usato “qualche tipo di arma chimica” contro la popolazione, come i gas velenosi in grado di soffocare o di provocare attacchi epilettici in chi li inala, come accaduto a Homs la scorsa settimana.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.