Tendenza Rcs

I tormenti dei montiani che non vogliono fare la costola della sinistra

Salvatore Merlo

I montiani Rcs sono guardinghi, non ancora delusi, ma impegnati a premere sul professore, nel tentativo di riorientare Mario Monti, lui che per il momento si fa pericolosamente accarezzare da Repubblica ed è pure, temono loro, destinato a ricongiungersi in maggioranza con il Pd di Pier Luigi Bersani, così come vorrebbero Pier Ferdinando Casini e Andrea Riccardi. Come sostiene Angelo Panebianco, che ne ha scritto il 22 dicembre scorso sul Corriere della Sera, “Monti potrebbe scegliere la strada più rischiosa e ambiziosa, potrebbe cioè porsi come federatore di una vasta area di elettorato che è delusa da Berlusconi”.

    I montiani Rcs sono guardinghi, non ancora delusi, ma impegnati a premere sul professore, nel tentativo di riorientare Mario Monti, lui che per il momento si fa pericolosamente accarezzare da Repubblica ed è pure, temono loro, destinato a ricongiungersi in maggioranza con il Pd di Pier Luigi Bersani, così come vorrebbero Pier Ferdinando Casini e Andrea Riccardi. Come sostiene Angelo Panebianco, che ne ha scritto il 22 dicembre scorso sul Corriere della Sera, “Monti potrebbe scegliere la strada più rischiosa e ambiziosa, potrebbe cioè porsi come federatore di una vasta area di elettorato che è delusa da Berlusconi”. Oppure, sostiene sempre l’editorialista del Corriere, “Monti potrebbe immaginare per sé e per quelli che lo seguono un ruolo e un compito molto più modesti: rovinare solo in parte la festa al centrosinistra, puntare a impedire di fare la maggioranza al Senato, costringerlo alla trattativa nel dopo elezioni”. Detto in altre parole: “Monti – conclude Panebianco – deve scegliere fra quelle che potremmo chiamare la vocazione maggioritaria e la vocazione alla trattativa”.

    Ed è ovviamente la vocazione alla trattativa (su cui punta Bersani: “Vedremo se Monti sarà super partes”, ha detto ieri intervistato dal Tg2) quella giudicata un errore da una parte consistente dei simpatizzanti del professore. Dove vuole stare Monti? Forse al centro? Cioè in “un non luogo politico”, secondo la definizione di Piero Ostellino (o ancora “un luogo ambiguo del bipolarismo infantile” secondo Antonio Polito)? O piuttosto il professore Monti vuole piazzarsi nel centrodestra per costruire il Partito popolare europeo d’Italia, come vorrebbero Sergio Marchionne, Luca Cordero di Montezemolo, Marco Tronchetti Provera, John Elkann e Diego Della Valle?

    Insomma al professore, ancora indeciso su molte cose, persino sulla qualità del suo impegno politico nelle prossime settimane, viene chiesto di costruire una destra più normale, dai tratti occidentali, non populista, non iper concertativa, alternativa all’alleanza tra Bersani eVendola: un genere di partito che in Italia, per ragioni di cultura e storia politica, forse non si è mai visto prima. Il dubbio è che Monti possa non riuscire nella missione che gli è congeniale – lui gollista nei toni e thatcheriano nel metodo – anche per la qualità dei compagni di strada che si è scelto, o che si è trovato al fianco: Udc, Acli, Cisl (con l’ombra potente del Vaticano e della Cei).

    Come diceva D’Alema
    Problema numero uno: i compagni di strada di Mario Monti, dunque. Ovvero un gruppo eterogeneo, un’armata Brancaleone composta da liberisti e riformatori “thatcheriani” come il professore, ma pure fortemente orientata da personalità e associazioni di cultura democristiana e solidarista che hanno sempre guardato a sinistra (la Cisl di Raffaele Bonanni, le Acli di Andrea Olivero, e anche Sant’Egidio di Andrea Riccardi) o incarnato con straordinaria furbizia tattica la teoria dei due forni (l’Udc di Casini, che Massimo D’Alema ha sempre immaginato come “costola” della sinistra). “Non credo affatto che il nostro orizzonte sia quello del centrodestra”, ha detto giorni fa ospite di “Omnibus” Andrea Olivero, che ha lasciato la guida delle Acli per aderire al progetto di Monti, quello stesso agglomerato che ha accolto l’ex berlusconiano Franco Frattini il quale invece sostiene esplicitamente che “noi guardiamo al Ppe” ovvero alla famiglia del centrodestra europeo, al gruppo alternativo al Pse cui aderisce Bersani, quello stesso partito che – presente Angela Merkel – il 13 dicembre ha investito Monti della missione di rifondare il centrodestra in Italia.

    Il professor Monti adesso pensa a una sua, personale, lista civica alleata dei cattolici di Riccardi-Olivero-Casini-Bonanni, ma più in sintonia con il mondo liberale e liberista dell’associazione montezemoliana ItaliaFutura. Almeno così pare. Monti crede forse, con una sua lista, di potersi rendere egemone, di poter dominare questo mondo composito che sa benissimo, lui per primo, essere eterogeneo non meno di quanto siano lontani tra loro gli ambienti più riformisti del Pd dal postcomunismo egalitario di Nichi Vendola. Il problema a Monti non sfugge ed è anche per questo che non ha ancora sciolto le sue riserve. Per adesso, in attesa, restano i montiani del Corriere. Una raffica di dubbi, e avvertimenti natalizi: Ernesto Galli della Loggia (“Un sentiero assai stretto”, 19 dicembre); Angelo Panebianco (“Le due strade di un leader”, 22 dicembre); Antonio Polito (“La solitudine dei numeri primi”, 23 dicembre) e Massimo Franco (“La chiarezza che non c’è”, 24 dicembre). Sintesi: attento professore, se farai la costola del Pd saremo tutti delusi.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.