La fase-due di Grillo si apre all'insegna del paternalismo morbido

Marianna Rizzini

E’ la sua fase-due e il Beppe Grillo da sfondamento deve farci i conti, tanto più che quel che è fatto è fatto: le parlamentarie-flop del M5s; il “fuori dalle palle” detto a chi non è d’accordo; i sogni di gloria resi meno trionfali dall’affollamento nel campo prima sgombro del populismo magico che ora sembra piacere molto pure al Cav. tornato in scena, non a caso a suo tempo “studioso” del Grillo da sconfiggere sparandole “più grosse delle sue”.

    E’ la sua fase-due e il Beppe Grillo da sfondamento deve farci i conti, tanto più che quel che è fatto è fatto: le parlamentarie-flop del M5s; il “fuori dalle palle” detto a chi non è d’accordo; i sogni di gloria resi meno trionfali dall’affollamento nel campo prima sgombro del populismo magico che ora sembra piacere molto pure al Cav. tornato in scena, non a caso a suo tempo “studioso” del Grillo da sconfiggere sparandole “più grosse delle sue” (questo emergeva da una ricostruzione fatta sul Corriere della Sera da Francesco Verderami, qualche mese fa, ma oggi il Cav. dice che Grillo è “la testimonianza della possibilità del ritorno dell’uomo alla scimmia”).

    E’ la fase-due e il cappello da Babbo Natale sfoggiato da un Grillo-re degli ultimi sul suo blog è il simbolo plastico della necessità di blandire all’interno per non perdere altri punti all’esterno, ché ai sondaggi dice di non credere, Grillo, ma quando erano al 21 per cento gongolava come non mai. E infatti in questi giorni ha girato senza sosta il centro-sud, l’ex comico, a sostegno della campagna di raccolta firme, sfoderando un repertorio di paternalismo morbido utile a rassicurare gli attivisti meno ortodossi e meno terrorizzati di arretrare nel gradimento del capo, resi diffidenti dall’allontanamento dei dissidenti emiliani Giovanni Favia e Federica Salsi e dalla prospettiva di una sempre più insondabile diarchia Grillo-Casaleggio. Ecco Grillo che, prima di lanciarsi sulla folla a Spoleto, nuotando non nel mare, stavolta, ma in un lago di braccia sollevate a sorreggerlo, si descrive come un pensionato bonario costretto dalle circostanze a cambiar vita (potevo anche fregarmene, fare il vecchio ricco, stare in pantofole, parlare con i miei figli in Nuova Zelanda, invecchiare sul sofà); ecco Grillo che, in piazza, tra gente infreddolita che lo guarda come fosse una reliquia e urla “buffoni” all’indirizzo di un generico bau-bau politico, insiste più sull’Imu che sugli attivisti disobbedienti da zittire, e più sul ritornello della finanza ladra e dell’Europa canaglia che sulle regole del non-statuto da non infrangere (ma sì, in tv si può anche andare, basta saperla usare, ve lo dico io che l’ho fatta, ha detto un Grillo improvvisamente mansueto sul peccato originale della fronda interna poi espulsa). Seduto su uno scivolo o in piedi in mezzo a palloncini colorati, tra curiosi e furiosi, Grillo punta sul contenimento dell’eventuale danno da concorrenza incrociata (con Antonio Ingroia vuole combattere battaglie comuni, ma non se Ingroia fa “la foglia di fico”; con Berlusconi non si scontra sulle parole d’ordine acchiappa-voti, in alcuni casi troppo simili, ma la butta sulla derisione innocua del Cav. “roba da Simpsons”). Coccola la “fatica” del povero cittadino, Grillo, parla di microcredito, si mette a livello del “buon padre di famiglia” per far dimenticare la sua faccia bisbetico-teatrale e picchia in alto (Giorgio Napolitano o Mario Monti) per silenziare gli effetti collaterali della “democrazia dal basso” che soltanto due settimane fa lo facevano andare fuori dai gangheri. E, a due mesi dal voto, Grillo glissa sugli intoppi pre-elettorali di casa sua, compreso l’ancora misterioso nome del candidato premier a Cinque stelle, per riproporre in forma nuova il solito drappo rosso che chiama a sé gli adepti. Il suo ultimo post, infatti, parla dei colpevoli abituali: i candidati “scambisti” che fanno il “ballo delle sedie” (“… i posti sono sempre di meno e gli aspiranti sempre di più. Al cessare della musica, a fine febbraio, chi può si getterà sulla sedia più vicina”).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.