Chiacchierata con l'ex senatore

La versione di Ichino

Claudio Cerasa

E dunque, addio caro Pd. Pietro Ichino alla fine ha deciso di farlo davvero e nonostante le numerose critiche ricevute in questi giorni dai suoi ex compagni di partito dalla prossima settimana comincerà a lavorare a fianco di Mario Monti per dare un senso alla discesa a bordo campo del professore e, più pragmaticamente, per organizzare in Lombardia la lista unica (si chiamerà “Per l’agenda Monti”) che al Senato aggregherà le anime centriste che si riconosceranno con il programma dell’ormai dimissionario presidente del Consiglio.

    E dunque, addio caro Pd. Pietro Ichino alla fine ha deciso di farlo davvero e nonostante le numerose critiche ricevute in questi giorni dai suoi ex compagni di partito dalla prossima settimana comincerà a lavorare a fianco di Mario Monti per dare un senso alla discesa a bordo campo del professore e, più pragmaticamente, per organizzare in Lombardia la lista unica (si chiamerà “Per l’agenda Monti”) che al Senato aggregherà le anime centriste che si riconosceranno con il programma dell’ormai dimissionario presidente del Consiglio. Ichino – che è stato a lungo il volto chiave della campagna elettorale di Matteo Renzi e che la scorsa settimana, prima di annunciare il suo endorsement a Monti, aveva annunciato una sua candidatura alle parlamentarie del Pd – ha scelto di lasciare il Partito democratico non solo per una questione legata a una forte affinità con il programma del Professore (con cui ha un rapporto personale da quindici anni) ma anche perché non si sentiva più in grado di farsi portavoce di fronte ai suoi elettori della linea politica portata avanti dal trio Bersani-Fassina-Vendola. Ichino in questi giorni è finito al centro di una piccola polemica per essere stato individuato come uno degli autori occulti del programma di Monti; ma nonostante la traccia del suo nome e del suo cognome presenti in un file contenente il testo dell’Agenda, il professore nega di aver scritto alcunché di quel testo, e dopo aver spiegato l’origine del malinteso affronta in questa conversazione con il Foglio le ragioni che hanno portato al suo addio al Pd. Lo fa invitando i riformisti del centrosinistra (renziani in primis) ad “aprire gli occhi” sul nuovo scenario e sul vero significato della candidatura di Mario Monti. “In questi giorni – dice Ichino – in molti mi hanno sollecitato a mantenere nonostante tutto la candidatura nel Pd, ricordandomi che così si deve fare in un grande partito moderno e in un sistema bipolare. Conosco questo discorso per averlo praticato, con alterne vicende, lungo quarant’anni di lavoro politico all’interno della sinistra.

    Senonché questo ragionamento vale in una situazione ordinaria, nella quale si può contare su qualche anno di tempo per le proprie battaglie politiche e quando insomma la posta in gioco è di ordinaria amministrazione o poco più; lo stesso discorso, al contrario, non può valere in una situazione di emergenza grave, nella quale se i fatti ti danno ragione il paese rischia di rompersi l’osso del collo. Perché oggi la posta in gioco è questa. Il discrimine fondamentale della politica è tra chi è convinto che la strategia migliore per uscire dalla crisi sia quella concordata con i nostri partner europei, e chi invece è convinto che proprio questa strategia sia la rovina del paese. E’ su questo punto che nel Pd vivono due anime diverse, e un riformista e un europeista convinto come me non può accettare che sul problema dei problemi si possa balbettare”. Scusi professore, ma non era lei che appena un mese fa aveva detto, testualmente, che la sfida tra Bersani e Renzi aveva fatto riscoprire al Pd “la propria natura originaria, di grande partito capace di rappresentare tutto il centrosinistra?”. Che cosa è successo? “Ricordo quelle parole, e ricordo anche di aver preso un impegno partecipando alle primarie e firmando la Carta degli intenti. Il punto però, non mi stancherò di ripeterlo, è che quella Carta era viziata da un’ambiguità di fondo proprio sulla questione cruciale della strategia europea per l’uscita dalla crisi: era nata come professione di fedeltà agli impegni europei assunti dall’Italia, ma il giorno dopo la chiusura delle urne abbiamo sentito il principale alleato del Pd, Nichi Vendola, affermare che quella Carta è ‘la pietra tombale’ sui nostri impegni europei. Non è un equivoco da poco. Un testo che si presta a due letture opposte non può essere vincolante né in un senso né nell’altro. E proprio l’ambiguità di quel documento è all’origine dell’ambiguità che affligge la coalizione di centrosinistra guidata da Bersani sul tema decisivo. Per quanto riguarda l’agenda Bersani – continua Ichino – ci sono molte cose su cui sono d’accordo, mentre su altre ho qualche riserva. Ma quello che mi sembra grave in tutto questo è che Bersani non corregga esplicitamente Stefano Fassina – ovvero, insisto, il suo responsabile dell’economia, non uno qualunque – quando dice il contrario di quello che Bersani dice in Europa ai nostri partner. Fassina dice che l’operato del governo Monti è l’adempimento di impegni sciagurati, irresponsabilmente assunti dal governo precedente; e che occorre immediatamente cambiare strada, chiedere la rinegoziazione di quegli accordi. La verità è che se davvero un nuovo governo di centrosinistra partisse in questo modo taglierebbe l’erba sotto i piedi a Mario Draghi e a tutti quelli che in Germania hanno fatto sponda a Monti in quest’ultimo anno. L’Italia, in sostanza, perderebbe un’occasione irripetibile di attivare un processo di allineamento ai migliori standard europei, e rischierebbe di ricadere in una crisi economico-finanziaria grave, e i miei amici riformisti del Pd sanno perfettamente che questo è un punto chiave per il futuro non solo del centrosinistra ma di tutto il paese”.

    Gli amici riformisti, già. Pietro Ichino, prima di uscire dal Pd, ha partecipato attivamente alla nascita di una piccola ma significativa creatura nata in seno al Partito democratico e che nei mesi si è fatta conoscere con la definizione di “corrente dei montiani del Pd”. Tra questi montiani, oltre a Ichino, ci sono altri liberal di matrice veltronian-renziana come Enrico Morando, Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini che durante l’esperienza del governo tecnico si sono spesi quotidianamente per spiegare perché per il futuro dei riformisti non c’è altra strada se non quella di dire “sì” all’agenda Monti”. I montiani del Pd, tra l’altro, ospiteranno il 12 gennaio a Orvieto proprio Mario Monti nel corso di un convegno organizzato da LibertàEguale e in un qualche modo Ichino si augura che la presenza in campo di Monti possa convincere i montiani del Pd a fare, da subito, una nuova scelta di campo. Dice Ichino: “Ci si può battere per tenere il governo saldamente sul versante giusto rispetto allo spartiacque fondamentale sia restando nel Pd, sia sostenendo la nuova forza politica che sta nascendo intorno all’agenda Monti. Detto questo, viste le contraddizioni nella linea del Pd, credo che oggi il modo più efficace per conseguire l’obiettivo sia quest’ultimo, andare con Monti, e credo che questa sia una scelta da fare in modo laico, senza atti di fede e senza fatwe. Tenendo conto che le due forze politiche, nella prossima legislatura, dovranno necessariamente collaborare tra loro per arginare il populismo anti europeista montante”. Questo discorso vale pure per Renzi? “Certo. Anche se nel suo caso valgono alcuni impegni personali come quello di sindaco di Firenze. Per tutti gli altri vale invece il discorso che facevo prima sulla profonda ambiguità sulla Carta degli intenti…”. Professore, ma non è una contraddizione per uno come lei che ha sempre teorizzato la necessaria presenza a sinistra della vocazione maggioritaria andare in un partito più piccolo che non può che coltivare una sorta di vocazione minoritaria? “E chi l’ha detto? – dice Ichino con un sorriso – la lista Monti non sarà un partito più piccolo, avrà anch’esso una vocazione maggioritaria secondo una bipartizione nuova e diversa rispetto a quelle del secolo scorso; e comunque andrà a finire sarà un’esperienza importante che aiuterà il Pd a irrobustirsi, avendo un benchmark su cui confrontarsi migliore rispetto a quello che ha avuto fin qui. L’importante però è che in questa vicenda non si inneschi il gioco consueto per cui chi lascia un partito viene squalificato da chi resta, e a sua volta chi lascia un partito reagisce squalificando i propri ex compagni”. Il cronista fa notare a Ichino che l’investitura europea ricevuta da Monti al vertice del Ppe è suonata come una certificazione plastica che le idee del Prof. bocconiano in fondo sembrano porsi in alternativa con le posizioni del centrosinistra e con quelle delle varie sezioni europee del Pse, come il Pd. Ichino però dice che la proposta Monti non c’entra nulla con il centrodestra e nemmeno con le vecchie operazioni targate Dc – “questo si vedrà molto chiaramente fin dai prossimi giorni” – e che anzi Monti oggi rappresenta su alcuni fronti la sinistra più di quanto non lo faccia Bersani. “Se guardiamo l’operazione Monti con gli occhi dei giovani, delle donne e degli over 55 esclusi dal mercato del lavoro e di tutti gli outsider, oserei dire che l’agenda Monti è più dalla parte dei deboli e degli ultimi di quanto non sia il programma del Pd”.

    Per concludere: ma il giallo sulla stesura dell’agenda Monti? Che cosa è successo? “Fin dal settembre scorso ho messo on line sul mio sito un documento intitolato ‘l’agenda Monti al centro della prossima legislatura’, scritto con Morando, che si proponeva di delineare i contenuti di un memorandum su cui tutte le forze della maggioranza avrebbero dovuto e potuto impegnarsi per la prossima legislatura. E’ evidente che, per il capitolo sul lavoro, a quel documento lo staff di Monti ha attinto largamente; ma in questo si è concretato soltanto un mio contributo indiretto, e tutto alla luce del sole, al memorandum pubblicato alla fine dal premier. Che Monti poi condividesse le mie proposte in materia di riforma del lavoro lo aveva detto lui stesso nel suo discorso al Senato del 17 novembre 2011. Ma se l’accusa è di avere concordato con lui di nascosto la mia candidatura, questa è falsa. Tanto è vero che ancora venerdì e sabato Monti non aveva deciso se porre la sua candidatura a guidare il nuovo governo. E ricordo, solo per la cronaca, che non solo ho rifiutato fin dal 16 dicembre l’offerta di essere collocato nel listino dei ‘garantiti’ del Pd, ma ho rinunciato a presentare la mia candidatura alle primarie dei candidati del Pd quando è scaduto il relativo termine, il 20 dicembre, quando ancora neppure Monti sapeva se si sarebbe candidato o no. Comunque non riesco a sentirmi in colpa per avere mantenuto un rapporto stretto di amicizia e collaborazione con il capo del governo che fino a venerdì scorso il mio partito ha sostenuto. Per questo mi chiedo sinceramente come possono accusarmi nel Pd di avere tramato nell’ombra. Ma come si fa?”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.