I segreti del gioiello di Francia

Matteo Matzuzzi

A indagare sugli affari segreti di Edf, il primo produttore mondiale di elettricità e gestore di cinquantaquattro reattori nucleari in tutto il mondo, c’è ora anche l’intelligence di Parigi, rivela il settimanale satirico (ma spesso autore di grandi scoop) Canard Enchaîné. I servizi segreti cercano di ricostruire la rete di legami tra i dirigenti del colosso energetico francese e i manager del gigante cinese Cgnpc. In gioco c’è la sicurezza nazionale, la divulgazione di segreti di stato, numeri e codici che dovevano e devono rimanere riservati.

    A indagare sugli affari segreti di Edf, il primo produttore mondiale di elettricità e gestore di cinquantaquattro reattori nucleari in tutto il mondo, c’è ora anche l’intelligence di Parigi, rivela il settimanale satirico (ma spesso autore di grandi scoop) Canard Enchaîné. I servizi segreti cercano di ricostruire la rete di legami tra i dirigenti del colosso energetico francese e i manager del gigante cinese Cgnpc. In gioco c’è la sicurezza nazionale, la divulgazione di segreti di stato, numeri e codici che dovevano e devono rimanere riservati. Ma a essere messo in discussione è anche il prestigio, la grandeur francese svilita da un’economia al collasso e dalla messa in vendita dei gioielli nazionali.
    Al centro c’è il contratto negoziato nell’autunno del 2011 da Henri Proglio, che di Edf è il potente capo, per la costruzione di un reattore in Cina. Fino a qualche giorno fa questo contratto non esisteva, stando alle dichiarazioni ufficiali dei vertici di Edf che poi, incalzati dalla stampa e dalle rivelazioni di qualche fonte anonima, hanno ammesso che il partenariato è sì stato negoziato, ma che il board l’ha bocciato nell’aprile del 2012. Secondo il dossier di ventitré pagine pubblicato dal settimanale Nouvel Observateur, pur di firmare l’accordo, Proglio avrebbe concesso molto alla controparte, forse troppo, al punto che sono entrati in scena i servizi segreti.

    Tradimento è la parola che viene sussurrata negli ambienti vicini al governo e a Edf. In cambio della firma dei manager cinesi, Proglio avrebbe promesso codici di calcolo riservati, strumenti di simulazione, pieno accesso all’unità di crisi e alla documentazione di Edf, rinunciando anche ai diritti di proprietà intellettuale. “Si è spinto troppo in là”, commenta una fonte anonima del gruppo francese: “Ha dato a Pechino l’accesso ai nostri segreti tecnologici”.
    Troppo spregiudicato, Proglio. Tant’è che anche il suo grande protettore, l’amico fraterno nonché ex presidente di Francia Nicolas Sarkozy che al vertice di Edf l’aveva messo nel 2009, bocciò il progetto. La motivazione ufficiale è il mancato coinvolgimento di Areva, il partner (che è anche rivale, tra i due colossi è guerra) di Edf al quale fornisce le tecnologie di costruzione. A quanto pare Sarkozy aveva imposto ai due giganti dell’energia francese di negoziare assieme il contratto con Cgnpc, e si sarebbe infastidito a causa della mossa azzardata di Proglio. Decisivo, per bloccare l’accordo, è stato il parere dell’Agenzia delle partecipazioni statali che controlla le imprese pubbliche francesi (Edf è la maggiore): troppe concessioni a Pechino, si legge nel documento inviato al ministro dell’Economia dell’epoca, François Baroin.

    Henri Proglio non si arrende, aspetta le elezioni e con il cambio della guarda all’Eliseo torna alla carica. A guidare il governo socialista c’è un suo vecchio amico (le amicizie di Proglio, figlio di fruttivendoli piemontesi, sono trasversali e vanno da Chirac a Strauss-Kahn), Jean-Marc Ayrault, e la speranza è che il via libera arrivi in breve tempo. Ma ancora una volta il numero uno di Edf si sente dire che deve coinvolgere Areva, e a quel punto Edf accantona il progetto iniziale e rinegozia l’accordo. Alle nuove condizioni. Nel frattempo l’ispettorato generale delle finanze apre un’inchiesta: vuole capire a che condizioni (e soprattutto perché) Proglio – che ora rischia il posto e si dice sarà sostituito a breve dal capo delle ferrovie Scnf, Guillaume Pepy – abbia offerto così tanto ai cinesi.
    Per l’Edf sono tempi duri: oltre alla decisione del governo del presidente, François Hollande, di ridurre (anche se entro il 2025) la produzione di energia nucleare dal 75 al 50 per cento, i debiti della società hanno toccato lo scorso giugno quota 40 miliardi di euro, con il titolo che nel 2012 ha perso in Borsa più del 25 per cento. E’ più difficile del previsto anche l’affare Epr, la costruzione dei reattori di nuova generazione come quello di Flamanville, in Normandia: l’entrata in funzione era prevista nel 2010 per un costo complessivo di 3 miliardi. La stima è stata rivista e ora suona così: avvio nel 2014 per una spesa totale di 8,5 miliardi di euro. Ecco perché il contratto con i ricchi cinesi – gli unici che possono ancora permettersi investimenti miliardari nelle infrastrutture e nel nucleare – è vitale per Edf, e Proglio ai suoi più stretti collaboratori l’ha spiegato: si è trattato di “un’esplicita cooperazione”. Pechino garantiva a Parigi canali privilegiati nel suo mercato industriale e finanziario. Criticare e indagare a fondo è pericoloso: “Si mette psicologicamente a rischio l’intesa con i nostri partner cinesi”, dice Hervé Machenaud, numero due della società.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.