La dottrina russa

In Siria Putin lavora per togliere agli occidentali ogni ragione d'intervento

Daniele Raineri

La Russia toglie ai paesi occidentali ogni possibile ragione d’intervento in Siria in modo sistematico e preventivo. Crescono i rumor sulle chance di un’azione militare di Washington per mettere in sicurezza i depositi delle armi chimiche che rischiano di uscire dal controllo dell’esercito siriano e di cadere nelle mani dei gruppi ribelli? Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, dice ai giornalisti – sabato, su un volo di ritorno da Bruxelles – che “le armi chimiche della Siria sono state portate al sicuro, in uno o due posti, dall’esercito, che opera con l’aiuto di consiglieri militari russi”.

    La Russia toglie ai paesi occidentali ogni possibile ragione d’intervento in Siria in modo sistematico e preventivo. Crescono i rumor sulle chance di un’azione militare di Washington per mettere in sicurezza i depositi delle armi chimiche che rischiano di uscire dal controllo dell’esercito siriano e di cadere nelle mani dei gruppi ribelli? Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, dice ai giornalisti – sabato, su un volo di ritorno da Bruxelles – che “le armi chimiche della Siria sono state portate al sicuro, in uno o due posti, dall’esercito, che opera con l’aiuto di consiglieri militari russi”. Questa valutazione è stata condivisa anche dal governo israeliano, che ha detto: “In questo momento le armi sono al sicuro, non c’è il rischio che cadano in mano ai ribelli” – una rassicurazione significativa, considerando che nei mesi scorsi (la data non è stata specificata) il rischio era stato così alto che il primo ministro Benjamin Netanyahu è stato in Giordania per convincere il governo di Amman a dare l’assenso a uno strike aereo israeliano preventivo contro i siti delle armi chimiche. Ora, pare, non ci sarebbe più motivo, e in questo campo il parere degli israeliani è considerato Cassazione.
    La Nato schiera sulla frontiera tra Turchia e Siria sei batterie di missili Patriot, capaci se fosse il caso anche di colpire gli aerei dei piloti di Damasco dentro lo spazio aereo siriano? Esce la notizia speculare del rafforzamento del sistema di difesa antiaereo del governo, grazie all’arrivo di sistemi d’arma dalla Russia, che sarebbero sorvegliati e maneggiati da staff di militari russi – notizia pubblicata sul Guardian del 23 dicembre. “I missili di Putin complicano ogni eventuale piano d’intervento americano in Siria”, commenta il quotidiano britannico.

    Le navi da guerra americane abbandonano le acque al largo della Siria? Arrivano quelle russe, un po’ perché – come spiega l’agenzia Interfax – Mosca vuole essere pronta in caso di evacuazione di massa dei russi dalla Siria, e un po’ per una grande manovra militare nelle acque del Mediterraneo, anche nella base di Tartous sulla costa siriana.
    Nelle ultime due settimane Mosca ha mandato segnali forti al presidente Bashar el Assad: non deve riporre speranze nell’aiuto russo, non c’è alcun sostegno cieco e incondizionato da parte del Cremlino. Anzi, Vladimir Putin nella conferenza stampa di fine anno ha detto di considerare il cambiamento a Damasco inevitabile dopo “quarant’anni al potere di una sola famiglia”. Queste dichiarazioni, assieme al ping pong militare descritto sopra, formano la dottrina russa nella fase terminale del governo Assad: la priorità è in ogni caso tenere i paesi stranieri alla larga dalla Siria, se è il caso anche aiutando il governo a mettere in sicurezza le armi chimiche. Il presidente Bashar è funzionale a questa dottrina, ma non è indispensabile. Ci sono altri membri dell’establishment che possono offrire garanzie di collaborazione con Mosca.
    Per questo la Russia si è posizionata al centro dei nuovi colloqui per trovare una soluzione alla crisi. Due giorni fa il viceministro degli Esteri siriano, Faisal al Miqdad, è andato via terra a Beirut per volare a Mosca (l’aeroporto internazionale di Damasco non è più agibile, causa combattimenti con i ribelli troppo vicini). Miqdad ha incontrato Lavrov. Sabato è atteso a Mosca anche l’algerino Lakhdar Brahimi, inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, dopo cinque giorni passati a Damasco. Da quanto trapela, pare che la nuova proposta di trattativa parta dal negoziato di Ginevra di giugno, poi abortito rapidamente, che prevedeva la formazione di un governo di transizione di cui farebbe parte anche il presidente Assad, condizione che fu rifiutata dall’opposizione. L’esistenza di un piano di pace congiunto russo-americano è stata smentita dai russi e anche da Brahimi: “Vorrei che esistesse davvero”, ha detto l’inviato Onu.

    Una disperata battaglia urbana a Damasco
    Se il negoziato russo fallisce, cosa che pare assai probabile dal momento che Mosca è considerata troppo vicina al governo siriano dai ribelli, si va verso l’opzione peggiore: una lunga, disperata battaglia urbana a Damasco, sul modello di quella che non è ancora finita a nord, ad Aleppo, ma anche più cruenta, perché sarebbe quella decisiva e finale. Già il bollettino quotidiano delle vittime indica uno spostamento della guerra, ora la maggioranza dei civili uccisi cade nei dintorni della capitale, e non più nel centro e nel nord del paese: è il segno che la battaglia sta arrivando al centro del potere.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)