Si parla tanto di nozze gay mentre il matrimonio sparisce ovunque

Nicoletta Tiliacos

“Matrimonio? No, grazie!”. L’ultimo numero del settimanale francese Courrier International, che mette in copertina una sposa urlante di terrore in stile “Psycho”, racconta che “mentre in Francia si moltiplicano i dibattiti appassionati attorno al matrimonio omossessuale, altrove, nel mondo, ci si interroga sull’eternità di questa istituzione”. Non si tratta di dichiarare obsoleta l’idea di coppia, “e nemmeno la necessaria uguaglianza di diritti – spiega l’editoriale di apertura – ma di chiedersi se sia davvero utile e benefico passare per l’anello al dito”.

    “Matrimonio? No, grazie!”. L’ultimo numero del settimanale francese Courrier International, che mette in copertina una sposa urlante di terrore in stile “Psycho”, racconta che “mentre in Francia si moltiplicano i dibattiti appassionati attorno al matrimonio omossessuale, altrove, nel mondo, ci si interroga sull’eternità di questa istituzione”. Non si tratta di dichiarare obsoleta l’idea di coppia, “e nemmeno la necessaria uguaglianza di diritti – spiega l’editoriale di apertura – ma di chiedersi se sia davvero utile e benefico passare per l’anello al dito”. Dei tanti proverbi contro il matrimonio, quello nazionale francese è particolarmente feroce: “Ni bague au doigt, ni corde au cou”, dicono da quelle parti, “né anello al dito, né cappio al collo”. Gli articoli raccolti dal Courrier International suggeriscono però che la fine del matrimonio – come progetto, come aspirazione, come possibilità e dunque come realtà – incomba anche in posti inaspettati, come l’India o il Libano, per non parlare dell’Italia (vedi l’articolo di Roberto Volpi in questa pagina), dell’Olanda, della Germania e della stessa America. Dove, in particolare, l’apertura dell’istituzione a modalità innovative, come quella rappresentata dal matrimonio tra persone dello stesso sesso, risulta sempre più accompagnata, nei fatti, dal declino dell’istituzione stessa.

    Ci si sposa sempre meno, insomma, e accade ovunque. L’idea di nozze – intese come legame tendenzialmente stabile e riconosciuto, da celebrarsi in un tempio di culto o in forma civile – se la passa dunque molto male, a dispetto dei mille reality sulla cerimonia ideale, e finirà che la figura del wedding planner sopravviverà solo nelle serie televisive, come gli spazzacamini nei film d’epoca. A proposito di televisione, negli Stati Uniti la Sony sta lavorando a una nuova serie per la Cbs, che prende le mosse dall’articolo fluviale, pubblicato sull’Atlantic alla fine del 2011, con cui la trentanovenne giornalista Katie Bolick raccontava la sua ragionata e incrollabile repulsione per il matrimonio, concepita al termine di una storia di tre anni. Gratificante, ma non abbastanza per indurla a rinunciare alla libertà. L’evoluzione della specie femminile catalogabile come “giovane single, non restia alle storie disimpegnate ma, in fondo, aspirante a un bel matrimonio d’amore”, celebrata in “Sex and The City”, sarebbe dunque la “giovane single che non idealizza affatto il matrimonio d’amore ma guarda con diffidenza a un mondo maschile sempre più in crisi, anche economica”. Brutale ma sincera, Katie Bolick spiega che l’esplosione della disoccupazione maschile e il brusco ridimensionarsi del tenore di vita per molti uomini ha messo in crisi un “mercato romantico” nel quale la scelta è sempre più ristretta “tra fannulloni (il cui numero è in aumento) e playboy (il cui potere è in crescita)”. Non è una tragedia, secondo lei, ma un’opportunità  per riconoscere “la fine del matrimonio tradizionale come supremo ideale della società”.