Perché un bel pezzo di Pd sogna una lista Monti non debole

Claudio Cerasa

Nonostante le critiche ricevute in questi giorni da chi gli rimprovera di aver “passato il limite” (Dario Franceschini), di aver scelto un atteggiamento “moralmente discutibile” (Massimo D’Alema), di essere stato protagonista di “un’operazione sleale” (Nichi Vendola) e di essere diventato espressione di una “cultura integralista” (Stefano Fassina), la candidatura di Mario Monti, che da ieri è ufficiale come da annuncio del Prof bocconiano, a ben vedere non spaventa più di tanto Pier Luigi Bersani.

    Nonostante le critiche ricevute in questi giorni da chi gli rimprovera di aver “passato il limite” (Dario Franceschini), di aver scelto un atteggiamento “moralmente discutibile” (Massimo D’Alema), di essere stato protagonista di “un’operazione sleale” (Nichi Vendola) e di essere diventato espressione di una “cultura integralista” (Stefano Fassina), la candidatura di Mario Monti, che da ieri è ufficiale come da annuncio del Prof bocconiano, a ben vedere non spaventa più di tanto Pier Luigi Bersani. Il ragionamento fatto in queste ore dal segretario del Pd è che la forza attrattiva esercitata del presidente del Consiglio uscente non potrà che agire su un bacino elettorale più vicino al centrodestra che al centrosinistra; e seppure i sondaggi consultati dal segretario del Pd (Swg, Ipsos) dicono che gli elettori che mostrano un atteggiamento maggiormente positivo nei confronti della lista Monti al momento si trovano più nel mondo del Pd che in quello del Pdl, la convinzione di Bersani è che il grosso dei voti il professore è destinato a rubarlo al centrodestra di Silvio Berlusconi: e in questo senso, un Monti non debole che sottrae voti al Pdl viene visto da Bersani non come una minaccia impellente ma, al contrario, come un fattore di stabilità potenziale per il centrosinistra futuro (a condizione, va da sé, che la lista Monti arrivi dietro a Bersani…). In particolare, il segretario del Pd – forte della convinzione che dopo le elezioni il centrosinistra, come prevede la Carta d’intenti firmata anche da Nichi Vendola, dovrà “cercare un terreno di collaborazione con le forze del centro liberale” e dovrà impegnarsi “a promuovere un accordo di legislatura con queste forze” – crede, per quanto possa sembrare paradossale,  che un centro forte sia una garanzia di governabilità per la coalizione dei “progressisti-moderati”: non tanto per quanto riguarda la prossima composizione della Camera (dove Pd e Sel dovrebbero arrivare facilmente al premio di maggioranza) quanto soprattutto il prossimo Senato.  “In effetti – conferma al Foglio Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera – la nascita di un’area pro Monti che possa governare con noi sul modello della grande coalizione tedesca, e che si spenda per trasformare il centrodestra italiano in un soggetto a vocazione europea, sinceramente non ci preoccupa affatto: in campagna elettorale saremo avversari ma sappiamo che nel futuro dovremo governare insieme, soprattutto al Senato”.

    E a proposito di Senato, a quanto risulta a Bersani, i montiani che si stanno occupando della compilazione delle liste “Per l’agenda Monti” avrebbero scelto di concentrare gran parte delle proprie energie proprio nelle tre regioni che, sondaggi alla mano, risultano essere maggiormente in bilico per l’attribuzione dei seggi a Palazzo Madama (dove il porcellum prevede una distribuzione su base regionale): la Lombardia, la Sicilia e in parte anche il Veneto. Tre regioni cioè in cui la vittoria del centrosinistra è più difficile e in cui i montiani intravedono buone possibilità di conquistare un numero consistente di seggi al Senato (solo in queste tre regioni, per capirci, si assegna un terzo dei seggi di Palazzo Madama: 49 in Lombardia, 25 in Sicilia, 24 in Veneto). In queste tre regioni, tra l’altro, Monti non solo coinvolgerà alcuni volti di peso (in Lombardia sono già in campo Ichino e Albertini e nelle prossime ore, nonostante tutto, anche Passera potrebbe annunciare la sua discesa in campo) ma è anche convinto di poter far leva sul contributo che dovrebbe offrire il sindacato guidato da Raffaele Bonanni, la Cisl: che proprio in Veneto, in Sicilia e in Lombardia conta il grosso dei suoi tesserati: 794 mila in Lombardia, 436 mila in Veneto, 381 mila in Sicilia (dati 2011). Bonanni, in realtà, non scenderà direttamente in campo, non si candiderà in nessuna lista, cercherà di mantenere un profilo equilibrato tra Monti e Bersani (nonostante un uomo a lui vicino come il siciliano Benedetto Adragna, ex senatore Pd, sia finito nel centro montiano, il suo braccio destro alla Cisl, Giorgio Santini, sarà candidato nelle liste Pd); ma in privato ha già promesso a Monti e Riccardi di essere pronto a mobilitare le truppe per dare un aiuto alla lista Monti. “Se in queste tre regioni – spiega Salvatore Vassallo, senatore del Pd – Monti svuoterà il Pdl, come credo, il centro-sinistra al Senato potrebbe avere la certezza di governare senza ritrovarsi nelle stesse condizioni in cui si ritrovò Romano Prodi nel 2006”.

    Già, Prodi. Numeri a parte, infatti, il vero incubo di Bersani non riguarda il “pre” campagna elettorale ma soprattutto il “post”. La necessità di allearsi dopo le elezioni con Monti potrebbe infatti mettere la coalizione guidata da Bersani oggettivamente in una condizione simile a quella vissuta in passato dai governi di Prodi. E alla lunga tenere insieme Monti e Vendola – considerando anche che dal 2014 in Italia scatterà il famoso Fiscal compact (che costringerà il governo a qualcosa come circa 45 miliardi di manovra ogni anno) – rischia di essere più complicato e logorante che tenere insieme quella maggioranza che andava da Mastella a Turigliatto. Bersani è consapevole del rischio, ed è proprio partendo da questo presupposto che il segretario, per evitare che come ai tempi di Prodi sia la sinistra della coalizione a esercitare la sua golden share sul governo, si augura che il centro riesca a raggiungere un risultato che consenta al Pd e alla lista Monti di avere insieme i numeri per essere in qualche modo autosufficienti da Nichi Vendola (e naturalmente dalla linea Camusso). Un ragionamento, quello di Bersani, condiviso non soltanto da Walter Veltroni, da Enrico Letta e da Giuseppe Fioroni ma che coincide anche con le preoccupazioni di molti investitori stranieri che negli ultimi tempi hanno offerto al segretario numerose aperture di credito ma che non hanno nascosto comunque di temere uno sbilanciamento a sinistra nella coalizione Bersani-Vendola-Camusso. “Per quanto ci riguarda – dice al Foglio Fabio Fois, Economista per il Sud Europa di Barclays al Foglio – ci aspettiamo che il prossimo Governo continui sulla strada del rigore e delle riforme strutturali, e siamo anche convinti che, dovesse verificarsi il rischio di impasse politica (quale sarebbe ad esempio la costituzione di un Senato con una maggioranza esile) che la disponibilità di Mario Monti a guidare nuovamente il paese sia la migliore garanzia per i mercati che l’Italia non abbandoni il percorso positivo fin qui intrapreso”. Tradotto significa che anche per alcuni osservatori del mondo della finanza la presenza in campo di Monti è importante non solo perché Monti potrebbe essere tecnicamente ancora il prossimo presidente del Consiglio ma anche perché la sua lista, se dovesse ottenere un buon risultato, avrebbe la possibilità di controbilanciare il peso della sinistra nella prossima coalizione dei progressisti – sottraendo così di fatto agli eredi di Turigliatto e Bertinotti il diritto di veto nel prossimo esecutivo.

    E dunque, certo, Bersani durante la campagna elettorale potrà continuare a dire che nel prossimo governo il centrosinistra sarà coeso e coerente e non si spaccherà perché si esprimerà “a maggioranza qualificata in caso di dissenso su temi rilevanti”. Ma dall’altro lato il segretario del Pd non potrà che essere giorno dopo giorno sempre più convinto di un fatto elementare: che un centro forte guidato da Monti più che una minaccia costituisce una garanzia di lunga vita per il suo governo. E per questo, dunque, nei prossimi giorni, non ci sarà da stupirsi se il Pd cambierà strategia nei confronti del Prof. e passerà da una condanna della discesa in campo “moralmente discutibile” di Monti a una sobria legittimazione del ruolo di Monti come capo dei moderati. Il tutto, naturalmente, per far passare un messaggio chiaro: che Monti e Bersani sono alternativi, sì, ma sono comunque parte di un’alleanza di fatto contro i populisti alla Berlusconi. Un messaggio su cui Bersani punta molto e che a giudicare dai toni della conferenza stampa di fine anno non mancherà di essere anche uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Mario Monti. “Il tema di fondo – dice con un sorriso Enrico Letta al Foglio – è che sempre difficile capire qual è la soglia che differenzia un centro non troppo debole e uno troppo forte; ma di sicuro posso dire che un centro non asfittico aiuta il Pd in termini di allargamento della maggioranza. E lo aiuta per una ragione precisa: perché un centro non debole che si allea con il Pd ci mette al riparo da possibili ricatti futuri”. E ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti, naturalmente, non è puramente casuale.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.