Lento collasso a Damasco
La prima e discreta operazione della Cia dentro il regime di Assad
E’ passato un mese esatto dal 2 dicembre e dalla sparizione di Jihad Makdissi, il portavoce del governo siriano. Makdissi è ora in America e sta collaborando con la Cia, che è in cerca di informazioni sulla struttura del potere a Damasco attorno al presidente Bashar el Assad, dice Martin Chulov, giornalista del Guardian che entra ed esce clandestinamente dalla Siria. Makdissi lavorava con il ministro degli Esteri, Walid al Moallem, e con il ministro dell’Informazione, Adnan Mahmoud.
E’ passato un mese esatto dal 2 dicembre e dalla sparizione di Jihad Makdissi, il portavoce del governo siriano. Makdissi è ora in America e sta collaborando con la Cia, che è in cerca di informazioni sulla struttura del potere a Damasco attorno al presidente Bashar el Assad, dice Martin Chulov, giornalista del Guardian che entra ed esce clandestinamente dalla Siria.
Makdissi lavorava con il ministro degli Esteri, Walid al Moallem, e con il ministro dell’Informazione, Adnan Mahmoud. Per sette anni ha ricoperto un incarico diplomatico all’ambasciata di Londra ma all’inizio della crisi – nella primavera 2011 – è stato richiamato a Damasco per fare da portavoce, perché è uno dei pochi che parla inglese con scioltezza (si è laureato a Westminster, il ministro al Moallem è meno sicuro). Makdissi è un uomo prudente perché non ha portato la famiglia in Siria e l’ha lasciata a Beirut, nel vicino Libano, dove ogni settimana andava in visita (per questo negli ultimi tempi “lavorava tre giorni ogni sette”, dice chi era con lui al ministero). Fare uscire la famiglia dalla Siria – al riparo da ritorsioni – senza destare sospetti è il problema più grande per chi diserta, in questo caso la famiglia era già fuori.
Il nome arabo, Jihad, non è legato all’islam, anzi, è piuttosto diffuso tra i cristiani del Levante (l’area del Libano e della Siria) e un tempo si riferiva alla “lotta” dei cristiani sotto l’impero ottomano per farsi rispettare. Il portavoce siriano appartiene alla minoranza cristiana, che – assieme a quella di confessione alawita – ha accesso alle posizioni privilegiate nel governo del presidente Assad.
Ci sono versioni differenti sulla sparizione. La tv libanese al Manar – di Hezbollah e quindi alleata del governo siriano – ha detto che Makdissi è stato “licenziato per avere fatto dichiarazioni non in linea con la posizione del governo”. Altre voci sostengono che sia stato catturato mentre si trovava in Libano e riportato in Siria, o anche che da Beirut sia volato a Londra. Un canale tv iraniano dice che gli sono stati concessi “tre mesi di aspettativa”. Due attivisti siriani hanno pubblicato gli scambi di messaggi privati su Twitter (il suo account fermo al 20 ottobre è @makdissi), in cui il portavoce sfoga i suoi dubbi sul governo, ma bolla anche l’opposizione politica fuori dalla Siria come “ridicola”. Il dipartimento di stato americano ha smentito al giornale arabo Asharq al Awsat la presenza di Makdissi in America e la Cia non ha risposto alle richieste di conferme definitive da parte del Guardian. Si tratta della prima operazione della Cia per portare al sicuro un funzionario del governo siriano – un campo dove finora sono stati attivi i servizi francesi, il governo di Parigi ha dichiarato a luglio di “avere lavorato a una dozzina di defezioni” di alto livello. Un’ipotesi: forse il contatto tra il siriano e i servizi americani è avvenuto a ottobre a New York, dove Makdissi ha partecipato all’Assemblea generale al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite con il resto della delegazione ufficiale mandata da Damasco.
Jihad Makdissi è il portavoce che a luglio 2012 ha ammesso implicitamente l’esistenza delle armi chimiche a disposizione del governo di Assad e ne ha minacciato l’uso “non contro il popolo siriano”, ma contro “i nemici esterni”. Non è un generale o un leader politico e non è a conoscenza diretta di decisioni importanti. Cosa può dire alla Cia? I servizi americani potrebbero essere interessati a sapere da una fonte interna cosa succede dentro il circolo del potere a Damasco. Il presidente Bashar el Assad che da settimane non appare più sulla tv di stato e non rilascia interviste né dichiarazioni è ostaggio dell’establishment militare, come si dice? Intende davvero resistere fino alla morte e assistere alla distruzione di Damasco come è successo ad Aleppo, la città più popolosa del paese che dopo sei mesi di combattimenti urbani è ridotta a un paesaggio di macerie? C’è una possibilità di penetrare o entrare in contatto con il nucleo politico-militare che prende le decisioni in Siria?
Vive “in un costante stato di paura”
Il Washington Post ha sentito alcuni uomini “di servizi segreti di paesi mediorientali” in contatto con disertori siriani, per fare il punto sul presidente Assad. Vive “in un costante stato di paura”, dorme ogni notte in un letto diverso, fa assaggiare il cibo, non esce alla luce del giorno per timore dei cecchini, si sente isolato, ha abbandonato ogni tentativo di incoraggiare i sostenitori con apparizioni pubbliche e si concentra sulla sua sicurezza personale. “Ma lui e i suoi consiglieri non sono disposti a scendere a un compromesso”.
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